Mono No Aware è un concetto che si esprime nella trama e nella struttura del grande classico Genji Monogatari (La storia di Genji), un romanzo dell’XI secolo scritto dalla dama di corte Murasaki Shikibu vissuta nel periodo Heian.
Considerato uno dei capolavori della letteratura giapponese così come della letteratura di tutti i tempi, i critici letterari si riferiscono ad esso come al “primo romanzo”, il “primo romanzo moderno” o il “primo romanzo psicologico”.
La narrazione ruota intorno al figlio illegittimo di un imperatore, che si trova al centro sia di numerosi intrighi politici sia di complesse e molteplici vicende sentimentali: in questo il romanzo ci offre un quadro prezioso di come poteva essere la vita alla corte imperiale.
Il libro è attraverso da una delicata sensibilità per la caducità della vita, la maniera che hanno di affievolirsi e poi scomparire tutte le cose viventi, e persino gli oggetti inanimati. Il risultato è un sentimento che viene chiamato Mono No Aware.
Mono No Aware significa “il pathos (aware) delle cose (mono)”. Spesso viene descritto come una sorta di sospiro rivolto alla provvisorietà della vita.
Ci possiamo ritrovare moltissime sfumature di significato: la tristezza e la serenità che derivano dall’ammissione dell’inevitabilità di un cambiamento; quel genere di lutto preventivo che si prova al pensiero delle perdite ancora di là da venire; e quel sapore piccante che guadagna un piacere quando sai che prima o poi finirà.
La sensibilità estetica del Wabi-Sabi
Radicato com’è nel concetto buddhista del mujo (impermanenza), il Mono No Aware è legato anche a una precisa sensibilità estetica, detta Wabi-Sabi.
Si tratta di una questione complessa, e molto dibattuta, ma possiamo dire che il principio chiave del wabi-sabi è quella speciale bellezza che appartiene soltanto alle cose incompiute o imperfette, belle soprattutto perché i loro piccoli difetti sono segni esteriori del degrado e della temporaneità.
Il wabi-sabi è una sensibilità particolare per la bellezza della crepa che attraversa un vaso di porcellana, per esempio, oppure dei margini avvizziti di una foglia d’acero caduta dal suo albero.
Il primo capitolo del secondo libro della Storia di Genji, “L’albero sacro”, coglie molto bene la malinconia che può essere evocata dalla bellezza passeggera.
Genji, vestito di sete rare e costose, attraversa a piedi una grande pianura selvaggia coperta di giunchi per andare in visita alla sua amante, Dama Rokujō, prima di dirle addio per sempre: lui sposerà un’altra donna, lei si rifugerà nell’isolamento del tempio di Ise.
«I fiori d’autunno stavano appassendo; nei canneti lungo il fiume il penetrante stridio degli insetti si mescolava col luttuoso flautato del vento tra i pini.» Il giorno seguente, Genji «riprese sconsolatamente, tra i prati sommersi dalla guazza, la strada verso la Capitale».
Ultima revisione
Tratto da: “Atlante delle emozioni umane” di Tiffany Watt Smith
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