” Un grafologo mi ha detto che sono un isterico e che potrei anche diventare schizofrenico ma fortunatamente non lo diventerò perché la mia forma di isteria non si evolverà in quella direzione”.
Queste le parole di un ragazzo 24 enne che parlando del più e del meno, cercava un sostegno alla sua diagnosi grafologica. Pensavo che termini come isteria fossero in disuso anche se, ovviamente, il grafologo non poteva sbagliarsi perché aveva delle certezze. Il ragazzo gli aveva rivelato dei dettagli “segreti” sulla sua vita privata, cose che nessuno poteva sapere, come ad esempio il suo conflitto coi genitori in età adolescenziale…un adolescente in conflitto coi genitori è cosa rara…
Leggere la vita delle persone per poi azzardare diagnosi non è solo pratica di grafologi, maghi , stregoni o ciarlatani vari; è pane quotidiano anche di psicologi e psichiatri di alta scuola determinista.
Il Potere delle Aspettative è stato confermato da un esperimento condotto dallo psicologo David Rosenhan.
Un gruppo di otto persone composto da: una casalinga, uno studente, un pittore, un pediatra, uno psichiatra e tre psicologi; fissò degli appuntamenti in una serie di ospedali.
Tutti i soggetti erano stati istruiti nel dichiarare nomi e professioni false, descrivendo le proprie vite con totale onestà, delle vite normalissime. Prima di congedarsi dal medico di turno, gli otto pseudopazienti dovevano affermare di sentire delle strane voci. Il risultato fu che sette di loro furono ricoverati immediatamente nelle strutture di igiene mentale con una diagnosi di schizofrenia, mentre l’ottavo fu ricoverato per psicosi maniaco depressiva.
Al momento del ricovero, come da istruzioni di Rosenhan, tutti cessarono di simulare sintomi di anormalità e riferirono di non sentire più le voci. Gli pseudopazienti dovevano soltanto attendere che lo staff di “igienisti della mente” si accorgesse che in realtà i ricoverati non erano affatto pazzi. Ma nessun medico si accorse di nulla.
Tutti i comportamenti degli pseudopazienti venivano interpretati a sostegno della diagnosi psichiatrica. Quando uno di loro scriveva sul proprio diario personale gli psichiatri identificarono l’atto dello scrivere come sintomo di malattia mentale. Quando uno di loro arrivò in mensa prima che aprisse per il pranzo fu visto come sintomo di pazzia. Anche il fatto di rispondere con degli scatti d’ira alle provocazioni o maltrattamenti dei sorveglianti erano chiari sintomi di follia.
Gli unici che si accorsero che gli pseudopazienti erano stati ricoverati per errore furono i pazienti “reali” che si lamentavano con gli psichiatri dell’intrusione di quei “giornalisti” che stavano raccogliendo informazioni sull’ospedale. I medici invece continuavano a perfezionare i loro quadri diagnostici con annotazioni tipo “il paziente presenta una lunga storia di forte ambivalenza nelle relazioni interpersonali strette, a partire dalla prima infanzia…”
Dato che gli pseudopazienti tardavano ad essere dimessi, i medici furono informati sull’esperimento in atto condotto da David Rosenhan, ma questi negavano che uno scenario simile fosse plausibile. Infine gli pseudopazienti furono dimessi per buona condotta perché non considerati pericolosi per la società, ma nessun ospedale ritrattò la diagnosi di psicosi.
Il rischio è che quando una persona viene classificata anormale, specialmente da una autorità nel campo come ad esempio il grafologo (?), tutti i suoi altri comportamenti e caratteristiche verranno colorati da quell’etichetta che troverà conferma in ogni gesto quotidiano.
Fai attenzione ai deterministi !
CIT. David L. Rosenhan , On Being Sane in Insane Places, Science 179 (1973), pp. 237-55.
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