Amy Wrzesniewski
, psicologa di Yale, studia i modi in cui l’atteggiamento mentale che abbiamo del nostro lavoro influenza le performance.
Dopo parecchi anni e centinaia di interviste con lavoratori di ogni professione immaginabile, Amy ha scoperto che ognuno di noi ha uno di tre possibili “orientamenti professionali” o atteggiamenti mentali rispetto al lavoro; possiamo considerarlo semplicemente: un “Lavoro”, oppure una “Carriera” o, ancora, una “Vocazione”.
Lavoro
Gli individui che hanno un “Lavoro”, lo reputano un’attività obbligatoria e noiosa e la loro ricompensa è lo stipendio che percepiscono. Lavorano perché devono e non fanno che pensare al tempo che possono trascorrere lontano dall’ambiente lavorativo.
Carriera
Per contrasto, le persone che considerano la propria professione una “Carriera” lavorano non per necessità, ma anche e soprattutto per avanzare di stato e raggiungere il successo. Investono tutto nel lavoro e vogliono farlo bene.
Vocazione
Infine, coloro che hanno una “Vocazione” vedono il lavoro esclusivamente fine a se stesso: il lavoro è appagante non grazie a ricompense esterne, ma perché sentono che contribuisce a un bene superiore, attinge ai loro punti di forza personali e dà loro un significato e uno scopo.
Non c’è da sorprendersi se le persone che hanno un orientamento vocazionale non solo considerano la propria professione più gratificante, ma grazie a ciò si impegnano di più e più a lungo. Ne consegue che sono proprio queste le persone che generalmente hanno più probabilità di avere successo.
Per quelli che già considerano il lavoro una vocazione, si tratta di un’ottima notizia. Quelli che non lo fanno non devono comunque disperare.
La scoperta più interessante della Wrzesniewski, tuttavia, non è il fatto che gli individui vedano il proprio lavoro in uno di questi tre modi, bensì la consapevolezza che fondamentalmente non ha alcuna importanza il tipo di lavoro che viene svolto.
Amy Wrzesniewski ha scoperto che ci sono medici che considerano la propria professione solo un “Lavoro” e bidelli che la considerano una “Vocazione”.
Lavoratori infelici possono trovare modi per migliorare la loro vita professionale
In uno studio che ha coinvolto 24 assistenti amministrativi, ciascun atteggiamento mentale era rappresentato da circa un terzo del totale, nonostante la situazione oggettiva dei singoli lavoratori (job description, stipendio e livello di istruzione) fosse pressoché identica.
Ciò significa che un orientamento vocazionale può avere a che fare con l’atteggiamento mentale tanto quanto con il lavoro effettivo che viene svolto.
In altre parole, lavoratori infelici possono trovare modi per migliorare la loro vita professionale senza dover necessariamente lasciare il posto di lavoro, cambiare azienda o carriera o mollare tutto per cercare sé stessi.
Gli psicologi organizzativi chiamano questo concetto “job crafting”, cioè il plasmare il proprio lavoro, ma in sostanza si tratta semplicemente di apportare qualche modifica al modo di pensare.
Come dice Amy Wrzesniewski, “nuove possibilità si aprono per il significato del proprio lavoro” semplicemente attraverso il modo “in cui viene costruito mentalmente dall’individuo”.
Quale potenziale significato e piacere esistono già in ciò che fai?
Ma come funziona concretamente? Shawn Achor, autore del bestseller Il vantaggio della felicità offre un ottimo consiglio a riguardo. Se non riesci ad apportare cambiamenti concreti alla tua vita lavorativa quotidiana, chiediti quale potenziale significato e piacere esistono già in ciò che fai.
Pensa a due bidelli di una scuola elementare locale. Il primo si concentra solo sul disordine che dovrà risistemare ogni sera, mentre il secondo è convinto di contribuire a creare un ambiente più pulito e salutare per gli studenti.
Entrambi svolgono gli stessi compiti tutti i giorni, ma il loro diverso atteggiamento mentale determina la loro soddisfazione professionale, il loro senso di realizzazione e, infine, la qualità del loro lavoro.
Nella sua attività di consulente aziendale, Shawn Achor incoraggia i lavoratori a riscrivere la loro “job description” trasformandola in quella che Tal Ben-Shahar chiama calling description, cioè “descrizione della vocazione”.
Shawn Achor spinge i lavoratori a pensare come gli stessi compiti possano essere illustrati in un modo che sia in grado di invogliare gli altri a fare domanda per quel ruolo. L’obiettivo non è mentire in merito al lavoro che fanno, bensì sottolineare il significato che ne può essere tratto.
Poi chiedo loro di pensare agli obiettivi della loro vita personale. In che modo le attività del loro lavoro attuale si ricollegano a questi obiettivi più importanti?
I ricercatori hanno scoperto che perfino il compito più piccolo può essere impregnato di un maggiore significato se è connesso a valori e obiettivi personali.
Esercizio di atteggiamento mentale
Più riusciamo ad allineare le nostre attività quotidiane con la nostra particolare vision, più è probabile che consideriamo la nostra professione una vocazione.
Prova a fare il seguente esercizio. Prendi un foglio di carta e posizionalo orizzontalmente davanti a te; sul lato sinistro scrivi un compito che sei obbligato a svolgere al lavoro, ma che ti sembra totalmente privo di significato.
Quindi chiediti: qual è lo scopo di questo compito? Cosa mira a conseguire? Traccia una linea verso la parte destra del foglio e scrivete la risposta.
Se ciò che hai scritto sembra ancora poco importante, chiediti di nuovo: a cosa porta questo risultato? Disegna un’altra linea e scrivi la risposta.
Continua in questo modo finché non arrivi a un responso che sia significativo per te. In questa maniera potrai collegare ogni piccola cosa che fai al quadro generale, a un obiettivo che ti fa sentire realmente motivato ed energico.
Shawn Achor porta questo esempio: Se siete professori di giurisprudenza e odiate il lavoro amministrativo, continuate a tracciare linee finché non collegherete la vostra professione a qualcosa a cui tenete realmente, come, ad esempio, il fornire a una nuova generazione di giovani avvocati le risorse necessarie per avere successo.
Quando fate queste connessioni più ampie, non solo i vostri compiti quotidiani diventano più accettabili, ma voi li svolgete con una dedizione mille volte maggiore e, di conseguenza, le vostre performance aumentano in modo esponenziale.
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RIF. Tratto
(con modifiche e adattamenti al post) dal libro: “Il vantaggio della Felicità” di Shawn Achor