Last Updated on 29 Marzo 2020 by Samuele Corona
Vediamo quali sono i principi fondamentali della comunicazione non violenta, quella comunicazione che fa passare il messaggio senza alienare il destinatario, ispirandogli invece rispetto per noi e desiderio di aiutarci.
Uno dei maestri in questo campo è lo psicologo Marshall Rosenberg. Nato in Ohio da genitori di origine ebraica, ma cresciuto in un quartiere popolare di Detroit, spesso al centro di forti contrasti razziali tra bianchi, neri e altre etnie, Rosenberg si è appassionato fin da ragazzino ai modi intelligenti di risolvere le contese senza passare alle vie di fatto.
Allievo dello psicologo umanista Carl Rogers, mise a punto un processo che consiste nel concentrare l’attenzione su ciò che è vivo in noi e negli altri.
- Editore: Esserci
- Autore: Bertram Rosenberg Marshall , Deepak Chopra , Vilma Costetti , Federica Rossi
- Collana: Dire, fare, comunicare
- Formato: Libro in brossura
- Anno: 2017
Rosenberg abbandonò i metodi professionali psicoterapeutici correnti caratterizzati da distanziamento emotivo, diagnosi e da ruoli gerarchici dottore-paziente trovandoli inefficaci, instaurando invece relazioni di tipo reciproco, genuino ed autentico, che permettessero uno scambio tra le parti.
In seguito ha insegnato ed esercitato la comunicazione non violenta in tutte le circostanze e in tutte le parti del mondo dove la gestione dei conflitti è indispensabile, che si tratti di scuole situate in luoghi svantaggiati, di grandi aziende in via di riorganizzazione, del Medio Oriente o del Sudafrica.
La Comunicazione non violenta di Marshall Rosenberg: 2 principi fondamentali
#1. Sostituire ogni giudizio con un’osservazione obiettiva
Il primo principio della comunicazione non violenta è sostituire ogni giudizio, cioè ogni critica, con un’osservazione obiettiva.
Invece di dire: “Lei ha dimostrato di essere un incompetente”, oppure: “Questa relazione non è ben fatta” (frasi che mettono subito l’interlocutore sulla difensiva), è molto meglio mostrarsi pacati e precisi: “In questa relazione mi sembra manchino tre idee essenziali per esprimere il nostro messaggio”.
In tal modo le nostre parole sono interpretate dall’altro come un legittimo tentativo di dialogo, invece che come una potenziale critica.
Rosenberg cita uno studio che ha preso in considerazione la letteratura di un Paese e la violenza dei suoi abitanti: secondo questa ricerca, più le opere letterarie contengono termini che classificano le persone (marchiandole come «buone» o «cattive»), più nelle strade di quel Paese la violenza ha libero sfogo.
#2. Evitare ogni giudizio sull’altro per concentrarsi interamente su ciò che si sente
Il secondo principio della comunicazione non violenta è evitare ogni giudizio sull’altro per concentrarsi interamente su ciò che si sente. Questa è la chiave determinante della comunicazione emotiva: quando racconti quello che provi, nessuno può avanzare obiezioni.
Se esclami: “Sei in ritardo, sei il solito egoista!” l’altro non può che contestare la tua affermazione. Se invece dici: “Sei in ritardo. Quando succede mi sento frustrata e qualche volta addirittura umiliata”, l’interlocutore non potrà mettere in discussione i tuoi sentimenti, perché sono soltanto tuoi!
Lo sforzo, come fa notare David Servan-Schreiber, psichiatra francese e autore del libro “Guarire: Una nuova strada per curare lo stress, l’ansia e la depressione senza farmaci né psicanalisi” sta tutto nel descrivere la situazione tramite frasi che iniziano con “io”, invece che con “tu” o “lei”.
- Servan-Schreiber, David(Autore)
Parlando di me e soltanto di me, io non critico più l’altro, non lo attacco, sono sul piano emotivo, quindi dell’autenticità e dell’apertura. Se mi impegno e sono davvero onesto con me stesso, arriverò fino a rendermi vulnerabile indicando alla persona come mi ha ferito, rivelandogli una mia debolezza.
Quasi sempre è proprio questo candore a disarmare l’avversario e a invogliarlo a collaborare, se anche lui tiene a salvaguardare il rapporto.
Secondo Rosenberg, è ancora più efficace non solo esprimere quello che si sente, ma rendere l’altro partecipe di una speranza delusa.
“Quando arrivi in ritardo all’appuntamento per andare al cinema, mi sento frustrata perché mi piace molto vedere l’inizio di un film. Per me è importante per seguire bene tutto il resto.”
O, ancora: “Quando non mi telefoni per darmi tue notizie per una settimana, ho paura che ti sia successo qualcosa. Ho bisogno di sentirmi sicura che va tutto bene”.
Oppure, in un contesto professionale: “Quando lei fa circolare un documento con degli errori di ortografia, io mi sento personalmente in imbarazzo, perché a essere chiamate in causa sono la mia immagine e quella di tutto il gruppo. Tengo molto alla nostra reputazione, soprattutto dopo che abbiamo lavorato così duramente per farci rispettare”.
- Marshall B. Rosenberg(Autore)
Rosenberg racconta che un partecipante a un corso sulla comunicazione da lui tenuto aveva predisposto un memorandum per mettere in pratica con i suoi figli quello che aveva imparato. All’inizio la cosa era stata un po’ imbarazzante, per non dire francamente ridicola, e i bambini non avevano mancato di farglielo notare.
Allora l’uomo aveva consultato il suo foglietto come ogni principiante coscienzioso e aveva risposto: “Quando mi dite che sono ridicolo mentre mi sforzo di migliorare le nostre relazioni e di svolgere meglio il mio ruolo di padre con voi, provo un grande dolore. Ho bisogno di sapere che anche per voi è importante che possiamo parlarci in modo diverso da come facciamo da mesi”.
Aveva funzionato, così per settimane lui aveva continuato nello stesso modo. Poi, un giorno, mentre discuteva con i ragazzi a proposito della televisione, il suo temperamento impulsivo aveva avuto la meglio su tutti i propositi di comunicazione non violenta. A quel punto il figlio di quattro anni era intervenuto in tono allarmato: “Vai subito a cercare il tuo foglio, papà!”
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Bibliografia:
- “Le parole sono finestre (oppure muri). Introduzione alla comunicazione nonviolenta” di Marshall Rosenberg
- “Guarire: Una nuova strada per curare lo stress, l’ansia e la depressione senza farmaci né psicanalisi” di David Servan-Schreiber