Paul Watzlawick
(1921-2007) psicologo controcorrente e anticonformista, tra i fondatori della Scuola di Palo Alto, descrive la psicoterapia come un trattamento che troppo spesso fa affidamento sul fatto che i pazienti capiscano se stessi, la loro storia e il loro comportamento.
La psicoterapia “classica” si basa sulla convinzione che per combattere la sofferenza e cambiare il comportamento sia necessario comprendere le radici dei nostri schemi emotivi.
Per quanto le correnti classiche della psicoterapia differiscano e siano spesso tra loro in contraddizione, esse hanno una ipotesi in comune: che i problemi si possano risolvere soltanto scoprendone le cause.
Questo dogma è fondato sulla credenza in una causalità lineare e unidirezionale, che scorre dal passato al presente, e che a sua volta genera l’apparentemente ovvia necessità di raggiungere un “insight” sulle cause prima che possa avvenire un cambiamento.
Nel linguaggio psicologico (italiano) non è molto semplice dare una definizione precisa del significato di “Insight”.
Con questo termine, ossia “vedere dentro”, che assume significati diversi a seconda dei vari ambiti disciplinari, s’intende la risoluzione di un problema con un’intuizione improvvisa, vissuta come esperienza interiore, la quale consente di rivisualizzare la questione nella sua interezza e di raggiungere così, in pochi attimi, la soluzione cercata.
Nella pratica della psicoanalisi l’insight è quell’input che genera il cambiamento nel paziente.
Guardarsi dentro rende ciechi. Paul Watzlawick
Paul Watzlawick descriveva il processo di insight come “introspezione”. Per esempio, un uomo che continua a soffrire per molto tempo dopo che la compagna lo ha lasciato, potrebbe capire di avere problemi con l’abbandono perché la madre lo aveva abbandonato da bambino.
Alcuni psicologi però, sono giunti alla conclusione che l’introspezione potrebbe non servire a contrastare la sofferenza emotiva e altri, compreso Watzlawick, hanno sostenuto addirittura che può far stare peggio.
Nel libro Guardarsi dentro rende ciechi, Watzlawick ha dichiarato che non ricordava un solo caso in cui qualcuno era cambiato in seguito a una maggiore conoscenza di sé.
Lo psicologo austriaco scrive:
“Permettetemi di fare un osservazione per certi versi eretica: né nella mia vita personale né nella mia successiva attività di analista junghiano, né nelle vite dei miei pazienti mi sono mai imbattuto in questo magico effetto dell’ insight”.
L’insight e il Principio di falsificabilità
Mettendo da parte la sua “cecità”, Watzlawick approfondisce così il concetto:
“L’insight (in senso classico, psicodinamico) è un concetto che il filosofo Karl Popper avrebbe considerato non falsificabile, ovvero un ipotesi la cui certezza è provata sia dal successo sia dal fallimento della propria applicazione pratica”.
“Se i problemi del paziente diminuiscono (o spariscono del tutto) a seguito dell’insight sulle possibili cause, ciò prova la correttezza e l efficacia di questo approccio. Se, d’altro canto, non c è alcun miglioramento, ciò prova che la ricerca delle cause nel passato non è stata ancora spinta abbastanza in profondità e indietro nel tempo. L’ ipotesi è valida in ogni caso”.
Un esempio che Paul Watzlawick usava spesso, chiarirà meglio il concetto:
Prendiamo in considerazione la proposizione “La preghiera cura la malattia” applicandola al caso di un malato grave; si possono verificare due casi:
- Il malato guarisce, e allora si potrà dire che la preghiera ha funzionato.
- Il malato muore, e allora si potrà dire, per far salva la veridicità della proposizione, che non si è pregato abbastanza efficacemente da far guarire il malato.
Qualunque sia l’esito della malattia, la proposizione “la preghiera cura la malattia” non è falsificabile
quindi non può essere considerata scientifica.
L’insight e le false memorie
La convinzione che comprendere eventi passati aiuti a far luce sui problemi presenti è basata su una visione “lineare” di causa ed effetto. Watzlawick era invece attratto dall’idea di una causalità circolare del comportamento, che mostra come le persone tendano a tornare più e più volte alle stesse azioni.
L’introspezione, suggeriva, potrebbe persino rendere ciechi, tanto al problema reale quanto alla sua possibile soluzione. Watzlawick fa riferimento al tema dei “falsi ricordi” o “memorie represse”.
DA Guardarsi dentro rende ciechi:
“In anni recenti l’indiscussa credenza nella necessità assoluta dell’insight è diventata persino più pervasiva, a causa della sostituzione del concetto di Edipo, quale origine della maggior parte dei problemi umani, con la scoperta delle conseguenze eccezionali dei ricordi repressi di abusi fisici o sessuali nell’infanzia.
Pazienti che non riescono ad avere memoria di alcun abuso hanno chiaramente bisogno di aiuto per ottenere l accesso al ricordo di questi veri e propri incubi.
Nel trattamento dei bambini più piccoli in particolare, sembra che talvolta questa ricerca crei una situazione che per il bambino ha un significato totalmente diverso: è un esame che possono superare soltanto se riescono a scoprire quale risposta sarà considerata quella giusta dal maestro.
Elizabeth Loftus nel suo articolo molto interessante (e naturalmente eretico) Remembering Dangeorusly, si riferisce a questi ricordi come a “ricordi che non esistono fino a che una persona si imbatte nella terapia”.
Ho parlato di falsi ricordi nel post: IL CASO HOLLY RAMONA E LE FALSE MEMORIE
Watzlawick era un sostenitore della Terapia Breve, un approccio che prende di mira e affronta i problemi specifici in modo più diretto per ottenere risultati più rapidi.
È stato una delle figure più importanti della psicologia e della psicoterapia contemporanea e uno dei pochi autori in grado di parlare di tematiche complesse in modo semplice e lineare.
Riteneva che una terapia potesse avere successo soltanto se offriva al paziente un rapporto in cui si sentisse sostenuto.
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