Quando Viktor Frankl giunge ad Auschwitz, lui e i suoi compagni di deportazione vengono accolti da un gruppetto di internati vestiti a strisce e con il cranio rasato, ma con l’aspetto energico e il tono amichevole.
A quella vista lui e i suoi compagni reagiscono con il sintomo noto come “delirio di grazia”, comune tra i condannati a morte che cominciano a vaneggiare che saranno graziati poco prima della loro esecuzione. Anche Frankl e i nuovi arrivati si aggrappano a una simile illusione.
Questa gente che ci accoglie, pensano, ha un bell’aspetto e persino voglia di ridere: forse capiterò anch’io nella situazione abbastanza felice e fortunata di questi detenuti.
Non sapevamo ancora, commenta Frankl, che quel gruppo di internati scelti per accogliere i nuovi prigionieri rappresentavano una piccola cerchia di privilegiati.
Nelle ore successive, di fronte all’estrema brutalità della vita nel campo, cadono tutte le illusioni. Eppure i prigionieri si sorprendono constatando la propria resistenza alle condizioni più avverse.
I libri medici, commenta Frankl, mentono, perché sottovalutano enormemente quello che può sopportare un uomo. Ad esempio, non è vero che un uomo non può stare sveglio più di un certo numero di ore.
Frankl racconta che gli internati stavano nudi al freddo autunnale dopo le docce, ma nessuno si ammalò; non si lavarono mai denti, ma le gengive furono più sane di prima malgrado la grande carenza di vitamine; non si lavarono per molti giorni, ma nessuno ebbe piaghe purulente nonostante le ferite alle mani sporche per il lavoro.
La vita all’interno del lager
- Frankl, Viktor E.(Autore)
Passato il primo stadio di choc, il detenuto scivola nel secondo stadio, quello dell’apatia. Poco a poco, muore internamente. Soffre innanzitutto di una sconfinata nostalgia per la gente di casa, e prova disgusto per tutte le brutture che lo circondano.
Successivamente l’abitudine lo porta ad assistere con indifferenza a tutti gli episodi più crudeli.
Ogni aspirazione si concentra in un solo compito: la pura conservazione della vita. Questa insensibilità dell’internato lo porta a svalorizzare tutto ciò che non può essere utile ai fini della sopravvivenza. L’istinto della nutrizione prende il sopravvento, e la vita psichica regredisce a un livello primitivo.
I prigionieri uccidono in sé ogni interesse culturale, con l’esclusione della ricerca di informazioni sull’andamento della guerra e della religione.
In un campo di concentramento il prigioniero rischia di perdere la sensazione di essere ancora un individuo dotato di dignità e libertà spirituale. Gli pare di essere una pecora in un gregge, e tende a farsi assorbire dalla massa per non farsi notare.
Uno dei comandamenti di autodifesa più importanti nel lager è infatti quello di non attirare su di sé l’attenzione delle SS con un qualsiasi, anche minimo, gesto appariscente.
Un’altra regola di vita, seguita anche da Frankl, è quella di non interferire mai con il destino. L’internato sfugge a ogni iniziativa e teme ogni decisione, preferendo sempre che la sorte lo liberi dalla costrizione di decidere, in quanto una scelta sbagliata può determinare, per motivi imprevedibili, la vita o la morte.
La scoperta dell’interiorità
Anche nel campo di concentramento è possibile rivolgersi al regno interiore della libertà spirituale.
Frankl, come molti altri prigionieri, pensa spesso alla moglie che ha voluto fedelmente seguirlo nella deportazione, ma che non rivedrà mai più. Con lei ha un dialogo interiore, la sente rispondere, vede il suo sguardo.
In questi momenti comprende che l’amore è il punto più alto al quale l’essere umano possa innalzarsi, e che l’uomo, anche quando non gli resta più niente, può sperimentare, sia pure per qualche attimo, la beatitudine suprema nella contemplazione interiore dell’essere amato.
- Frankl, Viktor E.(Autore)
Si verifica inoltre un’accresciuta sensibilità per la bellezza della natura o per l’arte. Nelle baracche si organizzano degli spettacoli molto seguiti, e coloro che hanno una bella voce sono molto invidiati e fortunati, dato che, intonando qualche famosa aria italiana, riescono a ottenere porzioni di rancio supplementari o altri vantaggi.
Anche l’umorismo è un’arma dell’anima nella lotta per l’autoconservazione, perché permette per qualche secondo a creare un distacco rispetto alla realtà. Il dolore umano, osserva Frankl, si comporta come un gas, che riempie ogni spazio vuoto.
Grande o piccolo che sia, occupa per intero l’animo umano, e quindi è sempre relativo. I prigionieri possono così provare autentiche gioie per piccole cose, ad esempio quando vengono assegnati a lavorare al chiuso o quando ricevono un giorno di riposo per malattia.
L’analisi di Viktor Frankl
La vita nel campo di concentramento smentisce secondo Viktor Frankl l’idea secondo cui l’uomo è fatalmente condizionato dall’ambiente in cui si trova.
Egli ha assistito ad esempi di persone che non si sono lasciate sopraffare dall’apatia e dall’irritabilità, ma che hanno scelto di dire una buona parola ai propri compagni o di regalare l’ultimo boccone di pane.
Questi casi dimostrano che all’uomo nel lager si può togliere tutto, eccetto una cosa: la libertà spirituale di affrontare, in un modo o nell’altro, una situazione imposta.
Nel modo in cui l’uomo affronta la sofferenza può realizzare una conquista interiore e dare così un senso alla propria vita. Alcune persone raggiunsero, nella catastrofe esterna e perfino nella morte, una grandezza umana che non avrebbero mai raggiunto prima, nella loro esistenza quotidiana.
Nel campo di concentramento chi non sa credere più nell’avvenire è perduto, si lascia cadere interiormente e decade nel fisico e nello spirito.
Viktor Frankl riuscì a darsi uno scopo immaginando di vivere nel futuro e di tenere una conferenza sui meccanismi psicologici degli internati in un lager, in una sala calda, ben illuminata, e davanti a un pubblico attento e interessato. In questo modo prese le distanze dal presente, guardandolo come se fosse già passato.
L’unica cosa che può indurre l’internato a non lasciarsi morire e a non darsi per vinto è la sua capacità di scorgere uno scopo che dia valore alla sua esistenza.
Gli scopi della vita sono sempre concreti e variano da persona a persona. Ci sono dei compiti che solo quell’individuo può portare a termine, perché nessuno può sostituirlo.
Il ritorno alla libertà
Nell’ultimo capitolo Viktor Frankl parla della psicologia dei guardiani del lager, e rileva che anche se che parecchi di loro erano dei sadici, alcuni compivano degli atti di umanità verso i prigionieri. Le personalità sadiche erano presenti anche tra i detenuti.
Questo dimostra che sulla terra esistono soltanto due tipologie di persone: gli uomini per bene e i “poco di buono”, che penetrano e s’infilano in tutti i gruppi umani.
Analizzando lo stato d’animo del detenuto rimesso in libertà, Viktor Frankl nota che all’inizio soffre di spersonalizzazione. Tutto gli pare irreale, inverosimile, come in un sogno. Non riesce a crederci, e non riesce nemmeno a provare la felicità perché prima deve imparare nuovamente che cosa è l’emozione della gioia.
A volte subentra la delusione di non ritrovare la persona amata, o l’amarezza di chi non riesce a comprendere quanto il detenuto ha sofferto. In ogni caso, conclude Frankl, l’esperienza dell’uomo tornato a casa dal lager è coronata dalla splendida sensazione: non deve temere più nulla al mondo, tranne il suo Dio.
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Bibliografia:
Tratto dal libro: “Uno psicologo nei lager” di Viktor Frankl
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