I messaggi trasmessi dai manipolatori sono incoerenti, confusi, contraddittori e imprevedibili. Sono fonte di stupore e perplessità per gli interlocutori, che come prima reazione tentano di dare coerenza a quel disordine.
Poiché i manipolatori ingannano con assoluta cognizione di causa e inducono apposta in errore, chi prova a effettuare una decodifica logica dei loro discorsi si sentirà presto sfinito e abbandonerà a poco a poco ogni pretesa di comprensione.
Secondo Christel Petitcollin, esperta in dinamiche da dipendenza psicologica, quando la vittima capitola è come se firmasse un patto inconsapevole con il suo persecutore in cui accetta di obbedirgli in tutto, per sempre, senza più porsi domande.
La Petitcollin nel suo libro Liberati dai manipolatori descrive gli elementi distintivi della comunicazione nei rapporti di dipendenza, ad opera di manipolatori. Vediamoli insieme:
Un linguaggio ingiuntivo
In un rapporto di dipendenza la comunicazione è a senso unico: non c’è dialogo né scambio di punti di vista. Il dominatore non dà ascolto all’altro; conta solo la sua volontà di ottenere il risultato prestabilito.
Dare un ordine lascerebbe un eventuale spazio alla protesta, perciò i manipolatori preferiscono utilizzare un linguaggio ingiuntivo in cui le direttive sono dissimulate al punto da non essere colte.
Esistono due tipi di ingiunzione: quella di “conformità” e quella di “colpevolezza”.
L’ingiunzione di conformità
Basata su opinioni personali presentate in modo perentorio come verità universali, impone all’altro di conformarsi alla norma proposta. “Le persone intelligenti…” “Tutti sanno che…” “I bambini che non… diventano tutti dei…” “Bisogna essere proprio idioti per non…”
L’ingiunzione di colpevolezza
Questo linguaggio mira a suscitare un senso di colpa all’idea di adottare comportamenti che non rispondono alle attese della persona manipolatrice. “Soffro per colpa tua…” “Rovinerai i tuoi figli…”
Il trasferimento di responsabilità
Con un sottile inganno, il manipolatore snatura il significato profondo delle espressioni “responsabilità” e “potere di agire”.
Sono due concetti inscindibili: si può avere la responsabilità solo di ciò su cui si ha il potere di agire. In un rapporto di dipendenza psicologica, invece, il manipolatore conserva il potere assoluto e attribuisce la responsabilità totale alla vittima.
La persona dipendente è quindi considerata responsabile del rapporto nel suo insieme: deve badare all’umore del padrone, a proteggere la sua immagine, a soddisfare le sue esigenze. Con una piccola eccezione: il positivo spetta di diritto al manipolatore.
Se la serata è stata un successo, se gli affari vanno bene, se i figli sono bravi a scuola, il manipolatore se ne attribuirà tutto il merito. Solo il negativo è attribuito alla vittima.
La responsabilità senza potere è un’alienazione che comporta senso di colpa e frustrazione. All’opposto, il potere senza la responsabilità porta al delirio e all’assurdo. Sta proprio qui il pericolo di questo tipo di relazioni.
- Petitcollin, Christel (Author)
La ritorsione
Il manipolatore fa capire in maniera perfida, spesso senza nemmeno proferire la minima minaccia, che ogni tentativo di cambiamento si ritorcerebbe contro la vittima. Con la ritorsione, il sistema relazionale è bloccato: non è ipotizzabile alcuna apertura al dialogo e al cambiamento.
Un rapporto falso
Nel descrivere il manipolatore si affronta sempre l’aspetto caratteristico delle sue “due facce”: una maschera affabile, simpatica, gioviale e disponibile all’esterno, un volto tetro, contrariato e astioso nell’intimità del suo rapporto con la vittima, e la capacità di passare da una faccia all’altra in un istante, a seconda di chi entra o esce dalla stanza.
La stessa vittima collabora alla mistificazione: manifesta anche lei uno sfasamento tra l’immagine esterna di benessere e ciò che le accade dentro. Persino con il terapeuta tenderà a dissimulare elementi importanti importanti del rapporto di dipendenza.
Christel Petitcollin scrive che a volte è solo alla fine della terapia che la persona le confessa l’alcolismo del suo oppressore o la violenza fisica che usa contro di lei. Questa omissione si spiega in parte con l’amnesia “la persona non ci pensa”, ma esiste anche un altro motivo: approfittare dei momenti di tregua che si hanno quando il manipolatore infila la “maschera simpatica”.
La Petitcollin spiega che quando c’è gente in casa, lui si mostra spiritoso e socievole; allora la vittima respira, si gusta la calma pensando “Se sapessero cosa vivo quando loro non ci sono…” così si nasconde ciò di cui ci si vergogna. Di conseguenza c’è da aspettarsi che la persona dipendente menta quanto il suo persecutore. Ecco perché questi individui nocivi godono di una tale impunità.
Aggiornamento
RIF. Tratto dal libro: Liberati dai manipolatori di Christel Petitcollin
- Petitcollin, Christel (Author)
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