Nel 1927 Freud definì il feticismo come una “anomalia” che può essere annoverata tra le perversioni. Secondo la teoria freudiana, il feticcio in origine non è altro che il surrogato del pene della donna, il sostituto di qualcosa che non c’è ma che ci dovrebbe essere.
Lo sguardo sbigottito del bambino, prima di spiare il genitale della madre, corre lungo il suo corpo a partire dai piedi, dalle scarpe o da qualche indumento che la donna non si è ancora tolto.
Questo elemento, dice Freud, rimane nella memoria del fanciullo come ultimo ricordo prima dell’evento traumatico, che è costituito dalla visione del genitale femminile. Il rinnegamento della “realtà minacciosa” rimane ancorato a quest’ultimo ricordo.
L’elemento piede, scarpa o indumento, visto un attimo prima del genitale materno, sta per quel pene che avrebbe dovuto esserci ma che poi non c’era. Il feticcio è dunque l’effetto di un’allucinazione che dipinge una realtà priva di vuoti e mancanze.
- Freud, Sigmund (Autore)
Questa patologia viene inquadrata nelle cosiddette perversioni sessuali a cui gli psicopatologi di fine Ottocento dedicano un’attenzione particolare. Come ricorda Freud, nel primo dei Tre saggi sulla teoria sessuale, Binet aveva già pubblicato uno studio monografico su questa particolare perversione.
Feticismo di Freud
Nello scritto intitolato Feticismo, Freud mostra come questa patologia sia caratterizzata da un paradosso: il rinnegamento della rappresentazione del genitale materno convive con l’atteggiamento opposto, cioè con il riconoscimento della castrazione.
La coesistenza di percezioni opposte è connessa, secondo Freud, ad una scissione dell’Io: questi disconosce da una parte ciò che dall’altra riconosce. L’assenza del pene nella donna viene simultaneamente riconosciuta e rinnegata. Si trovano così a convivere nell’Io due distinte e opposte consapevolezze che non interferiscono l’una con l’altra.
La personalità scissa che caratterizza il feticismo e tutte le perversioni, si comporta come se allo stesso tempo sapesse e non sapesse. La realtà viene negata e riconosciuta.
Il rinnegamento della realtà si alimenta del fatto che si è riconosciuto in essa qualcosa di cui non si vuole sapere assolutamente niente, e la rappresentazione di questo qualcosa viene sostituita con un surrogato. Il surrogato rinnega qualcosa ma al tempo stesso lo presuppone e lo sottintende.
Nel feticismo, così come descritto da Freud, ciò che viene escluso dalla consapevolezza per essere rimpiazzato è la mancanza, cioè quell’aspetto del reale che non è compatibile con un progetto narcisistico che si attende dal mondo una piena aderenza alle proprie aspettative.
Così, laddove il fallo viene negato dalla realtà, il feticista pone al suo posto il feticcio.
Questo, secondo Freud è il segno della vittoria di una creazione della mente sull’angoscia. Una rassicurazione solo apparente, perché il feticcio è l’equivalente simbolico del fallo femminile, cioè di una realtà inesistente. È solo un fantasma, anche se potente ed efficace.
Nella teoria psicoanalitica la negazione feticista diviene il prototipo di una più ampia fenomenologia del rinnegamento che caratterizza l’universo della psicosi.
All’origine della psicosi c’è un disconoscimento della realtà e questo differenzia la psicosi da una semplice nevrosi il cui meccanismo determinante è la rimozione di una pretesa pulsionale. C’è quindi una differenza sostanziale fra disconoscimento e rimozione: il primo è rivolto alla realtà esterna, la seconda alle pulsioni dell’Es.
Alla “perdita di realtà” che si verifica nella psicosi Freud dedica un saggio che ha appunto per titolo “La perdita di realtà nella nevrosi e nella psicosi”. Qui il rinnegamento della realtà esterna viene considerato come la prima fase della psicosi; nella seconda fase la realtà disconosciuta viene rimpiazzata da una sostitutiva e fittizia.
- Calabria, Raffaele (Autore)
Il feticcio contiene sempre un’allusione implicita a ciò che nega, alla castrazione, alla mancanza, alla perdita, alla separazione, all’annientamento e questa allusione contribuisce al potere fascinatorio del feticcio, potere che consiste nel suo ambiguo riferimento al piacere e alla morte.
Il soggetto feticista non realizza la propria identità attraverso il conflitto edipico e il confronto con l’ideale dell’Io proiettato sul padre. Egli privilegia un’altra via, quella del miraggio, e costruisce la propria identità attorno ad un oggetto fantasmatico, dal quale diviene dipendente.
Il mondo dei feticci si distingue, come dice Freud, per la sua particolare “accessibilità” e per il fatto che si presenta sostanzialmente privo di tensioni e contrapposizioni dolorose. L’angoscia, lo scacco, le pretese della vita e l’alterità del mondo vengono abilmente elusi, senza scalpore.
Tuttavia l’angoscia “ritorna” come un sentimento diffuso, un’inquietudine irrigidita che investe l’oggetto a cui si aggrappa il feticista. Il suo attaccamento è diverso da quello del collezionista che esulta per ogni oggetto acquisito; è sempre colorato di amarezza perché quanto più vuole possedere l’oggetto, tanto più ne percepisce l’inconsistenza e percepisce il possesso come deludente.
La sua identità dipende da oggetti illusori ed egli tende ad assomigliare loro, ad assimilare l’equivoca consistenza che essi veicolano. Il feticcio è un falso Sé che colonizza totalmente, senza residuo, la psicologia del soggetto.
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Bibliografia:
- “Manuale di Psicologia Dinamica” di Giorgio Concato
- “Tre saggi sulla teoria sessuale” di Sigmund Freud
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Mi sembra una spiegazione più del feticismo maschile che di quello femminile.
Si sa, infatti, che il 99% delle donne ha una vera e propria passione per le scarpe…
Qual è l’interpretazione di Freud, o della psicoanalisi (non mi sembra una cosa generalmente discussa)?
grazie…
Ciao Marco,
Si in effetti, da un punto di vista psicoanalitico “classico” il feticismo, come originariamente descritto da Freud, è considerato una “perversione” che si verifica nei maschi.
Dagli anni ‘70 in poi, la costruzione freudiana di una sessualità femminile “passiva” è stata severamente criticata dal movimento femminista. Alcune esponenti del movimento hanno affrontato la questione del feticismo femminile e il coinvolgimento delle donne con questa forma di sessualità.
Secondo le femministe, il “fallocentrismo” freudiano avrebbe impedito agli psicoanalisti di vedere le prove davanti ai loro occhi.
Vi sono studi pubblicati, a partire dagli anni ’80, da psicoanalisti americani (APsaA) dove vengono discusse le somiglianze e le differenze tra il feticismo maschile e quello femminile, prestando attenzione alla maggiore complessità della “perversione” come si verifica in una donna.
Gli esempi clinici, oggetto di tali studi, confermerebbero l’esistenza del feticismo nelle donne e suggerisce che forme sottili di perversione possono passare inosservate ed essere più prevalenti di quanto si pensasse in precedenza.
Bell’articolo! Grazie
Una collega
Grazie collega 🙂