Last Updated on 24 Gennaio 2021 by Samuele Corona
Molto prima che venisse coniato il termine narcisismo maligno, i filosofi si sono scontrati in merito al posto che deve avere il sé nelle nostre priorità morali.
Aristotele. Nel 350 a.C., Aristotele si chiedeva: “Chi deve amare di più l’uomo buono? Se stesso o gli altri?”. E si rispondeva: “L’uomo buono è particolarmente egoista”.
Buddha. In India, due secoli prima, il Buddha aveva espresso la concezione opposta: il sé è un’illusione, un trucco che ci giocano le nostre menti per farci credere che abbiamo una qualche importanza. Il buddhismo suggeriva che questo sé illusorio non deve mai essere al centro della nostra attenzione.
Cristianesimo. Quattro secoli dopo Aristotele, la dottrina cristiana vi aggiungeva un lato negativo: stimarsi troppo costituisce il peccato di superbia (ed è una strada che porta rapidamente all’inferno). L’eccessiva considerazione del sé porta anche ad altri peccati capitali – accidia, avarizia, gola e invidia.
Attraverso i secoli la contrapposizione si è riproposta spesso, coinvolgendo i filosofi da Thomas Hobbes (l’amore di sé fa parte della natura umana bruta) a Adam Smith (l’interesse egoistico è vantaggioso per la società, ovvero “l’avarizia è bene”).
Introduzione al Narcisismo di Sigmund Freud
Solo verso la fine del Diciannovesimo secolo il dibattito è arrivato nel dominio della medicina e della psicologia e ha fatto la sua comparsa la parola narcisismo.
Nel 1898 l’inglese Havelock Ellis, uno dei primi sessuologi, raccontava di pazienti che si erano letteralmente innamorati di se stessi, si coprivano il corpo di baci e si masturbavano all’eccesso e li descriveva come affetti da un disturbo “simile a quello di Narciso”.
Un anno più tardi un medico tedesco, Paul Näcke, scrivendo di analoghe “perversioni sessuali”, coniò il termine narcisismo, dimostratosi più efficace.
È stato però il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, nel 1914, a rendere famosa quell’espressione in un saggio rivoluzionario: Introduzione al narcisismo.
Freud ha liberato il termine dalle sue connotazioni sessuali e ha descritto invece il narcisismo come una fase necessaria dello sviluppo infantile.
Da bambini, scriveva Freud, siamo convinti che il mondo, o almeno tutte le sue parti attraenti, abbiano origine in noi. Chiamava “narcisismo primario” questo stadio e pensava che fosse non solo sano, ma anche fondamentale per la nostra capacità di stringere relazioni forti e dotate di significato.
La nostra passione per noi stessi da bambini ci fornisce l’energia per arrivare agli altri. Dobbiamo sovrastimare la nostra importanza nell’universo prima di poter considerare importante qualcun altro.
Freud però non sapeva come trattare il narcisismo oltre l’infanzia. Per gli adulti era una cosa buona o cattiva?
Da un lato, sentiva che narcisismo e amore erano strettamente collegati; ogni persona che ama spesso eleva l’oggetto del suo amore al di sopra del resto dell’umanità.
Citava poi i leader carismatici e gli innovatori a dimostrazione di come gli individui che si sentono speciali possano produrre un gran bene per il mondo. Ma era anche propenso a condannare il narcisismo degli adulti.
Se non riusciamo a liberarci da quell’infatuazione infantile per noi stessi, ammoniva, potrà portarci alla vanità e a gravi disturbi mentali, allontanandoci dalla realtà e trasformandoci in megalomani illusi.
La duplice concezione freudiana del narcisismo ha generato una confusione enorme e ha preparato il terreno per un’aspra disputa, cinquantanni più tardi, fra due giganti della salute mentale: Otto Kernberg e Heinz Kohut.
I punti di vista di Kohut e Kernberg: la speranza contro l’oscurità
e Heinz Kohut, entrambi nati a Vienna, di famiglia ebraica, ed entrambi avevano avuto una formazione psicoanalitica, ma avevano vissuto in circostanze estremamente diverse.
Kohut, nato nel 1913, aveva conosciuto una Vienna piena di speranza e di prosperità, ricca della sua tradizione artistica e animata da grande fervore intellettuale. L’ascesa di Hitler e del Terzo Reich, però, avevano cambiato tutto: subito dopo l’annessione dell’Austria nel 1938, Kohut lasciò la città natale per l’Inghilterra e poi per l’America, dove si stabilì nel 1940.
Kernberg, nato nel 1928, quindici anni dopo Kohut, è cresciuto in una Vienna cupa e spaventosa, sotto l’ombra del nazismo. La famiglia di Kernberg fuggì in Cile quando Otto aveva solo dieci anni e in quel paese passò i vent’anni successivi, assai lontano dalla patria che aveva conosciuto; si trasferì poi negli Stati Uniti nel 1959.
Secondo Craig Malkin, docente di Psicologia alla Harvard Medical School, le loro esperienze contrastanti hanno colorato anche le loro concezioni della natura umana: l’oscurità del narcisismo maligno pervade la concezione di Kernberg, mentre quella di Kohut è piena di speranza.
Heinz Kohut: l’ascesa del narcisismo sano
Per la maggior parte della sua carriera, Heinz Kohut è rimasto uno dei più saldi difensori di Sigmund Freud, ma negli anni settanta si è staccato dalla comunità freudiana ortodossa per fondare una nuova scuola, La Psicologia del sé, dedita allo studio di come le persone sviluppino (o meno) una immagine salutare di sé.
Kohut era convinto che Freud avesse sbagliato nel collocare il sesso e l’aggressività al centro dell’esperienza umana. Secondo Kohut non sono i nostri istinti fondamentali a guidarci ma il nostro bisogno di sviluppare un senso solido del sé.
Mentre Freud vedeva nel narcisismo un segno di immaturità, una dipendenza infantile che deve essere superata, Kohut lo considerava fondamentale per il benessere in tutta la vita.
Kohut era convinto che i bambini imparino gradualmente che nulla e nessuno può essere perfetto, e così il loro bisogno di perfezione alla fine lascia il posto a una immagine del sé più realistica. Vedendo i modi in cui gli adulti sani gestiscono i propri difetti e i propri limiti, cominciano a reagire più pragmaticamente, senza il bisogno costante di fantasie di grandezza o di perfezione.
Al termine del loro viaggio, acquisiscono il narcisismo sano: orgoglio genuino, valore del sé, capacità di sognare, provare empatia, ammirare ed essere ammirati. Questo, diceva Kohut, è il modo in cui ogni essere umano sviluppa un senso robusto del sé.
Quando i bambini subiscono abusi, incuria e altri traumi che li fanno sentire piccoli, insignificanti e privi di importanza, passano tutto il loro tempo in cerca di ammirazione o di persone a cui ispirarsi. In breve, concludeva Kohut, diventano narcisisti vulnerabili, fragili e vuoti interiormente; arroganti, pomposi e ostili esteriormente, per compensare quanto si sentono privi di valore.
Se i nostri genitori svolgono bene il loro compito, non perdiamo mai i nostri momenti di grandiosità, né dovremmo perderli.
Agli occhi di Kohut, era follia pensare che sogni elevati siano intrinsecamente un male. Se non altro, danno profondità e vitalità alla nostra esperienza, alimentando le nostre ambizioni e ispirando la creatività.
In tutta la storia, notava, compositori e artisti hanno avuto spesso momenti in cui si sentivano importanti. Per produrre qualcosa di davvero grande (o anche semplicemente per cercare di produrlo) è necessario avere la sensazione di esserne capaci, certo non il più umile degli stati mentali.
Kohut rifiutava di considerare alcune delle creazioni più grandi della nostra civiltà semplicemente come il risultato di una malattia. Anziché estirpare il narcisismo, sosteneva, dovremmo imparare a goderne da adulti.
Il narcisismo diventa pericoloso, spingendoci verso la megalomania, solo quando ci aggrappiamo al sentirci speciali come fosse un talismano, invece di giocarci di tanto in tanto. Tutto dipende dalla misura in cui lasciamo che grandiosità e perfezionismo prendano il controllo su di noi.
Mentre il narcisista di Freud è infantile, un Peter Pan che rifiuta ostinatamente di crescere, quello di Kohut è, nel migliore dei casi, un avventuriero, che scivola dentro e fuori da inebrianti sogni di grandezza.
Otto Kernberg: l’ascesa del narcisista patologico
Otto Kernberg
era d’accordo con Kohut sul fatto che il narcisismo sano ci dia autostima, orgoglio, ambizione, creatività e resilienza, ma si allontanava nettamente dalla teoria del collega per quanto riguarda il narcisismo patologico.
Mentre Kohut vedeva persino il narcisismo pomposo in una luce abbastanza benevola, Kernberg lo considerava intrinsecamente pericoloso e dannoso.
La sua esperienza durante il periodo della formazione psicoanalitica aveva rafforzato le sue concezioni negative della natura umana: Kernberg aveva lavorato in ospedali e cliniche con pazienti affetti da disturbi mentali gravi, inclini all’aggressività e alla psicosi, mentre Kohut aveva sviluppato le sue teorie trattando pazienti privilegiati nei suoi lussuosi uffici privati.
Nella visione di Kernberg, i narcisisti, nelle loro forme più distruttive, sono masse di risentimento ribollente. Sono stati traditi in modo tanto orribile da bambini, per trascuratezza o abuso, che il loro obiettivo principale è evitare di non sentirsi mai più dipendenti.
Adottando l’illusione di essere creature umane perfette, in sé complete (e che gli altri siano al di sotto di loro) non devono mai temere di sentirsi di nuovo insicuri e privi di importanza.
Di gran lunga più fedele all’eredità freudiana di quanto non fosse Kohut, Kernberg si rifiutava di abbandonare l’idea che sesso e aggressività alimentino gran parte del nostro comportamento. Come Freud, vedeva gli esseri umani come calderoni ribollenti di ostilità e libido, dominati dalle loro passioni più oscure e spesso più crudeli.
Un individuo affetto da narcisismo maligno (quello più pericoloso) nella concezione di Kernberg, potrebbe essere nato con un eccesso di aggressività “cablato” al suo interno. Il narcisista maligno sarebbe animato da una spinta più forte a invidiare, attaccare e distruggere i suoi simili quando si sente ferito.
Dopo essersi sentiti privi di valore da bambini e alimentati dalla sovrabbondanza di odio, tormentano il resto dell’umanità per vendetta, usando le persone per soddisfare i propri bisogni per poi buttarle via non appena non sono più di alcuna utilità. Kernberg definiva “narcisisti maligni” i più spaventosi fra questi esemplari.
L’unica risposta sensata a questa minaccia, secondo Kernberg, è smantellare l’immagine distorta del sé e ricostruirla in una forma più benevola.
Kernberg era convinto che i narcisisti possano rimodellarsi e che metterli a confronto con la verità del pericolo che pongono sia il primo passo per modificare il loro comportamento. Sicuramente non possiamo fermare la minaccia del narcisismo distruttivo nutrendo il loro bisogno di sentirsi speciali: sarebbe un po’ come lasciare libero il mostro per terrorizzare gli abitanti del villaggio.
Sarebbe stato un anatema per Kohut, che era alfiere di un approccio empatico ai narcisisti. Hanno bisogno della nostra comprensione, diceva, perché possano avere qualche speranza di stare meglio. Kernberg, ancora allineato alla concezione pessimistica dell’umanità tipica di Freud, poteva considerare solamente ingenua la posizione di Kohut.
Perché Narcisismo è diventata una brutta parola? La cultura del narcisismo maligno
Le teorie contrapposte di Kohut e Kernberg hanno generato una guerra combattuta nei convegni e nei saggi scientifici, senza vincitori né vinti.
Negli anni settanta il movimento della psicologia del sé di Kohut era diventato una grande forza e le sue idee sul narcisismo erano ampiamente accettate.
Quando nel 1980 fu pubblicata la terza edizione del Diagnostic and Statistical Manual (DSM), la guida alla classificazione dei disturbi mentali realizzata dalla American Psychological Association (APA), conteneva una nuova descrizione del narcisismo patologico molto simile a quella proposta da Kohut.
A quel punto molti esperti di salute mentale erano convinti che sentirsi speciali potesse portare a molte cose buone; e che i pericoli, sebbene del tutto reali, fossero stati enfatizzati.
Quando però Kohut è scomparso, nel 1981, a causa di un tumore, Kernberg è rimasto solo sotto i riflettori e le sue idee, in particolare sul narcisismo maligno, si sono ampiamente diffuse.
Secondo il professore di Harvard, Craig Malkin, questo sarebbe l’elemento scatenante del perchè, nella mente della maggior parte delle persone, il narcisismo è diventato sinonimo di narcisismo maligno.
Malkin sostiene che il narcisismo maligno è entrato nella consapevolezza pubblica attraverso il libro dello storico e critico sociale Christopher Lasch, pubblicato nel 1979 La cultura del narcisismo largamente basato sull’immagine spaventosa del narcisismo distruttivo di Kernberg.
Se siamo nel pieno di una epidemia di “narcisismo maligno” e perché dagli anni ’80 in poi gli autori più influenti che hanno affrontato l’argomento “narcisismo” lo hanno descritto come una malattia “cronica”che si va diffondendo.
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Bibliografia:
- Tratto (con modifiche e integrazioni)da:“Che c’è di male nel sentirsi speciali?” di Craig Malkin
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