Il Dialogo Strategico rappresenta il punto d’arrivo di un percorso di ricerca, applicazione clinica e consulenza manageriale condotte da Giorgio Nardone presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo.
Tecnica evoluta per condurre un singolo colloquio “terapeutico”, il dialogo strategico è capace di indurre rapidi e radicali cambiamenti nell’interlocutore a partire già dal primo incontro.
Guidando la persona non solo a “capire” ma soprattutto a “sentire” in maniera differente la propria situazione problematica e cosa dovrebbe fare per cambiare, questa sofisticata tecnica produce una vera e propria “esperienza emozionale correttiva” in chi lo vive. In questo modo, il cambiamento non è reso solo auspicabile, ma inevitabile.
Dialogo Strategico punti di forza
La forza del dialogo strategico sta nella sua complessa semplicità. Ossia nell’essere una tecnica di colloquio strutturata che provoca un effetto scoperta di punti di vista alternativi rispetto a quelli presentati dall’interlocutore, che lo inducono al cambiamento delle proprie percezioni e, pertanto, delle proprie reazioni.
Il soggetto viene guidato, con domande discriminanti, prima a definire concretamente il suo problema e gli obiettivi che intende realizzare.
Successivamente, mediante domande orientanti, a comprendere come certe sue difficoltà vengano da lui superate oppure mantenute a causa delle sue percezioni disfunzionali e, pertanto, delle sue reazioni.
- Nardone, Giorgio (Autore)
Infine, con domande a illusione di alternativa di risposta, gli vengono fatte scoprire le prospettive alternative da assumere e le conseguenti differenti azioni da intraprendere.
All’interno di questa dirompente sequenza, vengono utilizzate formule linguistiche fortemente evocative in costante alternanza con un linguaggio logico descrittivo e un linguaggio analogico per immagini, in modo da rendere la comunicazione decisamente performativa anziché semplicemente esplicativa.
Parte importante della sequenza di indagine-intervento sono le parafrasi ristrutturanti, volte a ridefinire ogni singolo effetto scoperta realizzato e, così, imprimerlo nella mente dell’interlocutore. Alla fine di un dialogo strategico correttamente.
La struttura del dialogo strategico
#1. Le domande strategiche
Le domande strategiche sono domande strutturate con due opposte possibilità di risposta: l’interlocutore potrà “decidere” quale delle due calza al suo caso. Muovendo da interrogativi più generali, con un processo a spirale, queste domande si stringono “a imbuto” in base alle risposte dell’altro, portandolo gradualmente al punto di svolta rispetto alle sue percezioni.
La sequenza non è mai rigida e prestabilita, ma si adatta alla logica dell’interlocutore come un abito cucito su misura. Possono essere:
Domande discriminanti
Guidano a una rapida comprensione delle caratteristiche della situazione problematica da risolvere e dell’obiettivo da raggiungere (per esempio: “Questo problema si presenta sempre o solo in determinate circostanze?”).
Domande orientanti
Servono come strumento per indurre l’interlocutore a comprendere meglio le modalità di persistenza del problema e come egli stesso svolga un ruolo attivo in questo. Le domande orientanti sono in grado non solo di far capire, ma anche “sentire” differentemente, guidando la persona a cambiare le sue percezioni (per esempio: “Quando evita qualcosa che teme, questo la fa sentire meglio o peggio?”).
Domande con illusione di alternativa di risposta
Hanno lo scopo di indurre nell’altro l’esigenza ineluttabile di modificare il proprio comportamento, facendogli scoprire alternative differenti sia di prospettiva sia di azioni da intraprendere (per esempio: “Se continua a evitare, la sua situazione potrà migliorare o non potrà che peggiorare sempre di più?”).
#2. Le parafrasi ristrutturanti
Ogni due o tre domande segue una parafrasi che chiede conferma all’interlocutore se si è compreso bene quello che lui ha detto fin a questo momento (“Mi corregga se sbaglio, da quanto ha detto mi sembra di aver compreso che…”).
- Nardone, Giorgio (Autore)
La parafrasi ha un triplice scopo: verificare se siamo sulla strada giusta, fare sentire alla persona che la stiamo ascoltando e valorizzando (incrementando così la sua collaborazione), innescare un processo di sottile autopersuasione mediante tanti piccoli accordi progressivi.
La parafrasi è “ristrutturante” perché è il problem solver a decidere a quali aspetti dare più enfasi per promuovere il processo di cambiamento (per esempio: “Se ho compreso bene, mi corregga se sbaglio, quando si trova di fronte a qualcosa che teme lei tende a evitarlo, ma questo la fa sentire sempre più incapace e fa aumentare ancora di più la sua paura”).
#3. Evocare sensazioni
Fa riferimento all’utilizzo da parte del problem solver di un linguaggio fortemente evocativo, che faccia non solo capire ma anche sentire, in modo tale da amplificare l’effetto di cambiamento ottenuto grazie alle domande e alle parafrasi (per esempio: “Lei mi ricorda il poeta Pessoa quando diceva: porto ancora addosso tutte le ferite delle battaglie che ho evitato”).
Il problem solver deve miscelare sapientemente il linguaggio razionale-descrittivo e quello evocativo, come in una sorta di manovra a tenaglia, parlando a entrambi gli emisferi del cervello dell’altro.
#4. Riassumere per ridefinire
Prima di dare indicazioni operative, è importante fare una sorta di iper-parafrasi riassuntiva di tutto quanto è stato convenuto durante il dialogo. In questo modo, le indicazioni delle azioni da eseguire diventeranno una vera e propria “scoperta congiunta” tra problem solver e cliente/paziente, incrementandone così notevolmente l’efficacia e l’efficienza.
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