Nel corso della storia della psicologia, molti esperimenti hanno tentato di rispondere a queste domande. Alcuni tra questi sono stati molto influenti nel campo della psicologia e vengono discussi ancora oggi.
Agli esperimenti di laboratorio si è affiancata una pratica di ricerca con maggiore validità ecologica, vale a dire capace di studiare i fenomeni nel loro contesto di svolgimento reale.
Ne è derivata la diffusione di un approccio che è stato talvolta definito critico perché tiene costantemente viva l’attenzione per le ricadute applicative delle consapevolezze scientifiche nonché per la dimensione socio-politica, ideologica e di potere che caratterizza in modo non neutro i diversi sistemi esistenti di relazione tra gli individui.
3 Famosi esperimenti di Psicologia che tutti dovrebbero conoscere
L’enorme quantità di ricerche ed esperimenti condotti nei vari settori d’indagine rischia di schiacciare sotto una mole impressionante di dati chi si avventuri nei territori della psicologia.
Di seguito 3 Famosi esperimenti di psicologia che tutti dovrebbero conoscere.
#1. L’esperimento della prigione di Stanford (Philip Zimbardo)
Nell’agosto del 1971, il professore di psicologia Philip Zimbardo condusse un esperimento nel seminterrato della Jordan Hall della Stanford University per scoprire come si sarebbero comportati degli individui messi in una posizione di autorità con potere illimitato.
Con “L’esperimento della prigione di Stanford”, servendosi di 24 studenti universitari che interpretavano i ruoli di finti prigionieri e finte guardie, Zimbardo avrebbe indagato le dinamiche di potere e le relazioni in un contesto carcerario per capire se il potere rende le persone brutali e sadiche o se quelle qualità sono intrinseche nella natura umana.
Con il lancio di una moneta, Zimbardo e il suo gruppo di ricerca assegnò casualmente i ruoli di “prigionieri” e “guardie”, l’esperimento iniziò di domenica mattina, il 17 agosto 1971.
Quelli a cui era toccato il ruolo dei prigionieri furono arrestati e schedati in una vera stazione di polizia a Palo Alto, poi bendati furono trasferiti nel seminterrato del dipartimento di psicologia della Stanford University, trasformato in una finta prigione.
* La prigione
La prigione necessaria all’esecuzione dell’esperimento fu ricavata dal seminterrato del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Stanford. Le celle furono realizzate sostituendo le normali porte dei laboratori con porte speciali fatte di sbarre d’acciaio.
Ogni cella era dotata di un citofono dentro il quale venne installato un microfono-spia per controllare i discorsi dei prigionieri. Telecamere collegate a videoregistratori che permettevano di controllare ogni attività vennero collocate in punti strategici della struttura. Nella prigione non c’erano finestre né orologi che aiutassero a rendersi conto del trascorrere del tempo.
Per rendere l’esperienza il più reale possibile dal punto di vista psicologico, dopo aver rilasciato le impronte digitali i prigionieri furono spogliati, perquisiti e privati degli effetti personali, irrorati con uno spray disinfestante e costretti a indossare un ampio camice riportante un numero di identificazione, dei sandali di gomma e un copricapo ricavato da una calza di nylon.
Per accresce il senso di disumanizzazione, erano chiamati soltanto con il numero loro assegnato e ognuno indossava una cavigliera di metallo a cui era fissata una catena, per ricordare la mancanza di libertà.
Le guardie indossavano vere uniformi della guardia carceraria con occhiali da sole per impedire il contatto visivo con i prigionieri, tenendo bene in vista chiavi, fischietti, manette e manganelli. Erano in servizio 24 ore al giorno.
Sebbene la violenza fisica non fosse permessa, le guardie potevano, molestare i prigionieri, trattenere il cibo o togliere privilegi a loro discrezione.
* Come indurre delle brave persone a comportarsi in modo malvagio
Con stupore dei ricercatori, l’ambiente divenne ben presto minaccioso per i partecipanti. Molte guardie mostrarono una marcata tendenza ad assumere atteggiamenti crudeli verso i prigionieri, e questi ultimi a rimanere passivi.
I ricercatori dovettero ricordare più volte ai carcerieri di astenersi da azioni violente, che aumentavano nelle ore notturne, quando le guardie erano convinte di non essere osservate.
Mentre le guardie aumentavano la loro aggressività, i prigionieri diventavano sempre più stressati. Dopo circa 36 ore di prigionia e maltrattamenti da parte delle guardie, uno studente, il detenuto n. 8612, fu rilasciato perché manifestava disturbi depressivi gravi, pensiero disorganizzato, pianto irrefrenabile e attacchi d’ira.
Già il secondo giorno cinque soggetti vennero rispediti a casa perché accusavano sintomi di depressione, turbe emotive e persino eruzioni cutanee di natura psicosomatica. Quando i detenuti vennero visitati da un autentico sacerdote, alcuni gli chiesero di metterli in contatto con un avvocato.
* L’esperimento durò solo 6 giorni
L’esperimento di 2 settimane durò solo 6 giorni. Il sesto giorno dell’esperimento, Christina Maslach, una dottoranda, fu chiamata per intervistare i detenuti. Rimase inorridita da ciò che vide e chiese a Zimbardo di porre fine all’esperimento.
Zimbardo, rendendosi conto che la dottoranda aveva ragione, decise di terminare lo studio. In seguito ha dichiarato che anch’egli, una volta entrato nella parte, ragionava come il direttore della prigione e non più come lo psicologo della ricerca.
L’esperimento ha dimostrato che è possibile indurre delle brave persone a comportarsi in modo malvagio immergendole in “situazioni totali” con un’ideologia che apparentemente le legittima con regole e ruoli approvati.
Leggi anche: L’esperimento della prigione di Stanford di Philip Zimbardo
#2. L’effetto Spettatore. Il caso Kitty Genovese
Il caso di omicidio di Kitty Genovese non può essere inteso come un vero e proprio esperimento psicologico, tuttavia questa circostanza ha fornito preziosi contributi per lo sviluppo di una teoria psicosociale.
Secondo un articolo del New York Times, quasi quaranta testimoni hanno assistito alla tragica circostanza in cui Kitty Genovese è stata brutalmente assassinata nel Queens, in New York, nel 1964, ma nessun testimone è intervenuto o ha chiamato la polizia per chiedere aiuto.
Il fenomeno psicologico noto come “effetto spettatore” fu reso popolare dagli psicologi sociali Bibb Latané e John Darley in seguito all’omicidio di Kitty Genovese.
Latané e Darley attribuiscono “l’effetto spettatore” alla percezione della diffusione della responsabilità (gli osservatori hanno più probabilità di intervenire se ci sono pochi o nessun altro testimone) e l’influenza sociale (gli individui imitano il comportamento degli altri).
Nel caso di Genovese, ogni osservatore vedendo che nessuno interveniva, concludeva che il proprio personale aiuto non era necessario.
Leggi: Apatia e indifferenza alle richieste di aiuto. Il caso Kitty Genovese
#3. L’esperimento sul Conformismo (Solomon Asch)
In questo esperimento, condotto negli anni ’50, lo psicologo Solomon Asch, si propose di studiare in laboratorio i fattori che inducono un soggetto a resistere o ad arrendersi alle pressioni di un gruppo coeso di estranei, quando quest’ultimo esprime giudizi sulla realtà che contraddicono le sensazioni del soggetto stesso.
Asch invitò 8 studenti di un college a partecipare a una ricerca sulla discriminazione visiva. I soggetti dovevano osservare un pannello e stabilire, per 18 volte, quale fra tre linee verticali che vi erano disegnate fosse di lunghezza uguale a una quarta linea di riferimento.
In ciascuna prova, una delle linee di confronto era della stessa lunghezza della linea di riferimento, mentre le altre due erano chiaramente diverse. I soggetti, seduti in semicerchio, dovevano esprimere il loro giudizio a turno, a voce alta, nell’ordine in cui erano disposti.
Nel gruppo c’era un solo soggetto sperimentale, che occupava la penultima posizione; gli altri erano tutti complici del ricercatore, che avevano ricevuto precise istruzioni per dare, in modo calmo e sicuro, una risposta prestabilita: in sei prove “neutrali” dovevano rispondere correttamente; nelle restanti dodici prove critiche dovevano dare tutti, concordemente, la stessa risposta errata.
* Conformarsi alla maggioranza
Asch inserì alcune prove neutrali per evitare che il soggetto si insospettisse o che attribuisse le risposte dei complici a problemi di vista.
Egli era interessato proprio al comportamento di questo individuo: come avrebbe reagito di fronte alla pressione del gruppo che, in modo compatto, contraddiceva palesemente l’evidenza suggerita dai suoi occhi? Si sarebbe contrapposto alla maggioranza oppure avrebbe smentito l’evidenza dei suoi stessi sensi?
Molti scelsero questa seconda strada.
- Rago, Marina (Autore)
Sulla base di interviste condotte al termine delle prove, Asch stabilì che il sottomettersi alla pressione del gruppo era il risultato di differenti condizioni psicologiche: alcuni soggetti accondiscendenti avevano scarsa fiducia nei loro giudizi e credevano che il parere espresso dagli altri partecipanti fosse più attendibile.
Altri individui non dubitavano veramente di ciò che avevano visto, ma preferivano conformarsi alla maggioranza per non esporsi pubblicamente come devianti: questi soggetti si preoccupavano che gli altri si formassero una buona impressione di loro e avevano paura di sentirsi socialmente esclusi.
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Bibliografia:
- “Gli esperimenti nelle scienze sociali” di Marina Rago
- “Il libro della psicologia” Gribaudo
- The 25 Most Influential Psychological Experiments in History
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