Neuromarketing 7 Casi studio famosi che evidenziano come il neuromarketing abbia rivoluzionato l’approccio delle aziende alla comprensione e all’influenza del comportamento dei consumatori.
Il termine neuromarketing è stato coniato nel 2002 da Ale Smidts, premio Nobel in Economia e professore presso la Rotterdam School of Management.
Smidts lo definì come la raccolta di tecniche per identificare meccanismi cerebrali mirati a una migliore comprensione del comportamento del consumatore, facilitando lo sviluppo di strategie di marketing più efficaci.
Il primo esperimento di neuromarketing, condotto nel 1971 attraverso l’EEG da Herbert E. Krugman, ricercatore presso la General Electric, segnò l’inizio di un crescente interesse in questo campo emergente da parte delle imprese.
La fusione delle neuroscienze con strategie di marketing prometteva una comprensione profonda del comportamento del consumatore, suscitando un’attrazione tra le aziende.
Il matrimonio di queste discipline, pur ancora in evoluzione, promette di svelare l’intreccio intricato delle decisioni umane e delle preferenze, ridisegnando la mappa delle strategie di marketing con una profondità e ingegno senza pari.
Neuromarketing 7 casi studio famosi
Il neuromarketing ha rivoluzionato il modo in cui le aziende concepiscono e implementano le proprie strategie pubblicitarie. Utilizzando principi e strumenti delle neuroscienze, il neuromarketing mira a comprendere meglio il comportamento del consumatore e ad adattare le campagne pubblicitarie per massimizzare l’impatto sul pubblico target.
Numerose aziende, soprattutto grandi multinazionali come Coca-Cola, Google, Microsoft, Apple e McDonald’s, hanno compreso le potenzialità del neuromarketing e hanno investito in ricerche in questo settore.
Di seguito 7 casi studio famosi del neuromarketing.
#1. Il caso Pepsi vs Coca Cola
Nel 1975, la Pepsi-Cola Company decise di lanciare un evento denominato “Pepsi Challenge”, che consisteva in un esperimento condotto nei supermercati di tutto il mondo.
In appositi stand, venivano offerti due bicchieri anonimi, uno contenente Pepsi e l’altro Coca Cola. Successivamente, ai consumatori veniva chiesto di esprimere una preferenza.
I risultati di questo esperimento hanno rivelato che più della metà dei partecipanti preferiva la Pepsi alla Coca Cola.
Tuttavia, non si riusciva a comprendere perché ciò non si traducesse anche nel mercato reale, dove la Coca Cola deteneva una quota di mercato nettamente superiore rispetto alla Pepsi.
Una possibile spiegazione, avanzata da Malcom Gladwell, era che in un “test del sorso”, cioè assaggiando un solo sorso di bevanda, i consumatori tendono a preferire la bevanda più dolce, ovvero la Pepsi. Tuttavia, questa preferenza non si manteneva per quantità maggiori.
- Gladwell, Malcolm(Autore)
Nel 2003, il pioniere del neuromarketing Read Montague ha ripetuto lo stesso studio, analizzando l’attività cerebrale dei partecipanti attraverso la Risonanza magnetica funzionale (fMRI).
Questa volta, lo strutturò in due parti: inizialmente, i bicchieri rimasero anonimi, confermando il risultato del primo test, con circa metà del campione che prediligeva la Pepsi. Ciò fu confermato dall’intensa attività del “putamen ventrale”, un’area del cervello attivata quando si trova attraente un gusto.
Nella seconda parte dell’esperimento, ai volontari fu rivelato di quale bevanda si trattasse.
Sorprendentemente, il 75% dichiarò di preferire la Coca Cola e si osservò un cambiamento nell’attività cerebrale con l’attivazione, oltre al putamen ventrale, della corteccia prefrontale media, una parte del cervello sede del pensiero e del discernimento.
#2. Il caso Google
Nel 2008 è stata condotta una ricerca di neuromarketing per valutare l’efficacia degli spot pubblicitari di YouTube, noti come “overlay ads”. Questi spot venivano trasmessi all’inizio di ogni video e, a differenza delle pubblicità tradizionali proposte all’inizio del video, erano semitrasparenti, meno invadenti e facilmente eliminabili.
Tuttavia, molti clienti non avevano accolto positivamente questa innovazione. La ricerca di neuromarketing aveva l’obiettivo di dimostrare che questo nuovo formato attirava comunque l’attenzione dei consumatori, nonostante fosse più discreto.
I risultati dell’Elettroencefalogramma (EEG) hanno rilevato che gli “overlay ads” generavano nei soggetti un elevato coinvolgimento emotivo e indici elevati di attenzione e memoria.
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- Oldrini, Carlo(Autore)
Si è scoperto che ottenevano addirittura prestazioni migliori rispetto alle tradizionali pubblicità, poiché l’uso combinato di video semitrasparenti e banner attrattivi attirava maggiormente lo sguardo dei soggetti, come rilevato tramite l’eye-tracking.
L’esperimento è stato dunque molto utile per Google, permettendole di dimostrare l’efficacia dei nuovi formati pubblicitari e convincere i clienti a adottarli.
#3. Il caso della zuppa Campbell’s
Nel 2008, i dirigenti dell’azienda americana Campbell Soup intrapresero una ricerca di neuromarketing per comprendere le ragioni delle prestazioni mediocri della loro zuppa, nonostante la crescita del settore.
Per questa ricerca, Robert Woodard, vicepresidente dell’azienda, si avvalse dei servizi di tre aziende di neuromarketing. L’obiettivo era esaminare come i consumatori percepivano il prodotto sugli scaffali e se apprezzavano il suo packaging.
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L’esperimento coinvolse 40 soggetti e si svolse in due fasi: inizialmente, una ricerca tradizionale di marketing che consisteva in un’intervista a casa, seguita da una simulazione di acquisto al supermercato.
Durante quest’ultima fase, i partecipanti indossavano strumenti di eye-tracking e biosensori collegati al corpo.
Nella prima parte della ricerca, emerse che l’etichetta della zuppa non era particolarmente gradita dai consumatori.
I volontari non erano attratti dalla zuppa poiché sugli scaffali c’erano molti prodotti simili tra loro. Le confezioni, presentando gli stessi colori, ovvero rosso e bianco, generavano confusione, e le scelte venivano spesso effettuate in modo veloce, senza prestar attenzione alle differenze tra le zuppe.
L’azienda comprese l’importanza di creare un packaging più coinvolgente e riconoscibile per la zuppa Campbell’s.
Tuttavia, nonostante il nuovo packaging fosse gradito ai consumatori, l’azienda non registrò aumenti significativi delle vendite. Le ragioni di ciò probabilmente risiedevano nel prezzo elevato della zuppa.
#4. Il caso IKEA
IKEA, gigante del settore dell’arredamento, ha sfruttato il neuromarketing per ottimizzare l’esperienza dei clienti nei suoi negozi.
Utilizzando la tecnologia eye-tracking, IKEA ha analizzato come i consumatori navigano attraverso i vari reparti e hanno scoperto che il percorso circolare, che induce a una maggiore esplorazione, aumenta il coinvolgimento del cliente e le possibilità di acquisto spontaneo.
Questo approccio ha portato a modifiche nella disposizione dei prodotti e nella progettazione degli spazi all’interno dei negozi IKEA.
Le disposizioni di alcuni mobili e la loro illuminazione sarebbero state progettate per creare un’atmosfera che suscitasse specifiche emozioni nei clienti, spingendoli a compiere acquisti impulsivi.
Inoltre, gli psicologi comportamentali sarebbero stati impiegati per progettare percorsi attraverso i negozi che portassero i clienti esattamente dove Ikea voleva, aumentando così le probabilità di vendita.
#5. Il caso Daimler-Chrysler
Nel 2002 la Daimler-Chrysler commissionò un esperimento di neuromarketing con la finalità di analizzare le reazioni di alcuni soggetti a cui venivano mostrate delle immagini di una serie di auto, tra cui Mini Cooper.
Come strumento di analisi venne utilizzata la Risonanza magnetica funzionale (fMRI).
È emerso che l’immagine della Mini Cooper causava nei partecipanti l’attivazione di una piccola area nella zona posteriore del cervello che solitamente risponde ai volti, era come se i soggetti riconoscessero l’auto come un viso familiare.
Successivamente i ricercatori hanno presentato immagini di 66 automobili sportive a circa dodici volontari di sesso maschile e hanno analizzato la loro attività cerebrale, sempre tramite l’fMRI.
Questa volta, come evidenziato da Hernik Walter, psichiatra e neuroscienziato coinvolto nello studio, le auto stimolavano la regione del cervello associata alla “ricompensa e rinforzo”.
I volontari erano attratti da auto con carrozzeria abbassata, finiture cromate e linea sportiva ma la motivazione di ciò era soprattutto sessuale.
Essi inconsciamente credevano che questi elementi potessero sedurre il sesso opposto, come sottolineò Walter “se sei forte e di successo in quanto animale, puoi permetterti di investire energie in una cosa così inutile”.
Da questa ricerca si può dedurre che le auto rappresentavano per i soggetti qualcosa di molto più profondo di un semplice prodotto: un modo per affermarsi nella società e attrarre il sesso femminile.
#6. Il caso Microsoft Xbox
Recenti studi hanno rivelato che il cervello tende a memorizzare più facilmente pubblicità molto brevi, di circa 1,5 secondi.
Le aree del mesencefalo e del corpo striato ventrale, ovvero i centri del piacere e della gratificazione, si attivano durante la visione di uno spot. Anche se, non tutte le pubblicità hanno lo stesso impatto.
Nel 2009, al fine di valutare l’impatto della pubblicità sul pubblico, i dirigenti di marketing di Microsoft commissionarono una ricerca di neuromarketing a due società specializzate.
Vennero mostrati gli spot di Kia Motors e Hyundai Motor provenienti da due canali pubblicitari diversi: spot televisivi e la campagna pubblicitaria da Xbox LIVE.
I soggetti furono dotati di sensori biometrici e strumenti per la rilevazione dell’attività cerebrale. I dati raccolti includevano 5 parametri principali: preferenza, memorizzazione, attenzione, intenzione di acquisto e risposta cognitivo-emozionale.
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Il campione fu diviso in due gruppi: al primo vennero mostrati esclusivamente gli spot pubblicitari provenienti da Xbox Live, mentre al secondo solo gli spot televisivi della durata di circa 30 secondi.
Dall’esperimento è emerso che il coinvolgimento emotivo e la memorizzazione dei volontari che hanno osservato solo la pubblicità tramite Xbox LIVE erano significativamente superiori rispetto agli spot televisivi.
Microsoft ha tratto un notevole beneficio da questa ricerca, dimostrando che era più conveniente investire nel suo canale pubblicitario rispetto a un altro.
#7. Il caso Doritos
Doritos, noto marchio di snack, ha investito nel neuromarketing per capire meglio il ruolo del suono nel marketing sensoriale. Attraverso l’elettromiografia (EMG), gli studiosi hanno misurato l’attività muscolare dei partecipanti mentre mangiavano chips.
Hanno scoperto che il suono del “crunch” durante il morso attivava positivamente le emozioni dei consumatori. Doritos ha quindi accentuato questo elemento nei propri spot pubblicitari, sottolineando l’esperienza sensoriale unica offerta dai loro prodotti.
In conclusione, questi sette casi studio illustrano come il neuromarketing stia rivoluzionando il modo in cui le aziende concepiscono e implementano le proprie strategie pubblicitarie.
Utilizzando strumenti come la risonanza magnetica, l’elettroencefalografia e l’analisi dei dati di ricerca online, le aziende possono comprendere meglio il comportamento del consumatore e creare campagne pubblicitarie più efficaci che si distinguono nel rumore sempre crescente del mercato.
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