Last Updated on 12 Marzo 2021 by Samuele Corona
Siamo prigionieri della trappola della felicità! Ecco perché nella società occidentale del benessere sembriamo tutti stressati, depressi e insoddisfatti.
Secondo la concezione classica di normalità “sana”, adottata dalla psicologia tradizionale, la sofferenza deriverebbe da processi anormali mentre la felicità sarebbe una condizione naturale della salute umana.
Gli esseri umani, secondo la prospettiva classica, sarebbero quindi intrinsecamente felici, socievoli e altruisti, ma questo naturale stato di salute mentale verrebbe disturbato da particolari emozioni, eventi o stati del cervello.
Tale concetto di normalità sana è divenuto il fulcro del pensiero psicologico che ha dominato, fino ai nostri giorni, il campo della salute mentale ed è alla base delle classificazioni sindromiche.
Secondo l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) invece, il dolore psicologico, sotto forma di emozioni, pensieri, immagini ed esperienze private negative dolorose, non è considerato come un processo patologico, ma bensì come una condizione naturale della vita umana.
Molto spesso però il dolore psicologico può essere incrementato e mantenuto inutilmente a causa di processi contenuti nell’attività simbolica.
Per comprendere meglio questo concetto riguardante i processi dell’attività simbolica riporto la spiegazione di Russ Harris estratto dal libro “La trappola della felicità”.
L’evoluzione ha modellato il nostro cervello per farci soffrire
La mente umana moderna, con la sua sorprendente capacità di analizzare, pianificare, creare e comunicare, si è evoluta in gran parte nel corso degli ultimi 100.000 anni, da quando la nostra specie, Homo sapiens, è comparsa per la prima volta sul pianeta.
Ma le nostre menti non si sono evolute per farci “sentire bene” e raccontare barzellette, scrivere poesie o dire “ti amo”. Le nostre menti si sono evolute per aiutarci a sopravvivere in un mondo pieno di pericoli.
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Immagina di essere un primitivo cacciatore-raccoglitore. Di che cosa hai bisogno, essenzialmente, per sopravvivere e riprodurti? Di quattro cose: cibo, acqua, riparo e sesso. Ma nessuna di esse è importante se sei morto. Quindi, la priorità numero uno della mente dell’uomo primitivo era quella di prestare attenzione a tutto ciò che poteva costituire un pericolo e di evitarlo.
La mente primitiva era sostanzialmente un dispositivo per non farsi uccidere e si dimostrò di enorme utilità. Più i nostri antenati diventavano bravi a prevedere ed evitare il pericolo, più a lungo vivevano e più figli facevano. Perciò, di generazione in generazione, la mente umana è divenuta sempre più abile nel prevedere ed evitare il pericolo.
E ora, dopo 100.000 anni di evoluzione, la mente moderna è costantemente impegnata a valutare e giudicare tutto ciò che incontriamo: è buono o cattivo? È sicuro o pericoloso? È dannoso o utile?
Oggi, tuttavia, la nostra mente non ci mette in guardia contro le tigri dai denti a sciabola o i pelosi mammut; i “nemici” sono invece perdere il lavoro, essere esclusi, prendere una multa per eccesso di velocità, rendersi ridicoli in pubblico, ammalarsi di cancro o mille e più altre preoccupazioni quotidiane. Così trascorriamo un sacco di tempo a preoccuparci di cose che, il più delle volte, non succedono mai.
Un’altra cosa essenziale per la sopravvivenza di un uomo primitivo è l’appartenenza a un gruppo. Se il tuo clan ti caccia via, non ci vorrà molto tempo perché i lupi ti trovino. E allora, in che modo la mente ti protegge dall’esclusione dal gruppo? Confrontandoti con gli altri membri del clan. Mi sto integrando con gli altri? Sto facendo la cosa giusta? Sto contribuendo abbastanza? Sono bravo come gli altri? Sto facendo qualcosa per cui potrei essere allontanato? Ti suona familiare?
Le nostre menti moderne continuano a metterci in guardia rispetto alla possibilità di essere rifiutati e ci inducono a confrontarci con il resto della società. Niente di strano, quindi, se dedichiamo tante energie a preoccuparci di piacere! Niente di strano se cerchiamo sempre dei modi per migliorarci o se ci deprimiamo perché “non siamo all’altezza”.
- Editore: Erickson
- Autore: Russ Harris , Giovambattista Presti , C. Calovi
- Collana: Capire con il cuore
- Formato: Libro in brossura
- Anno: 2012
100.000 anni fa dovevamo confrontarci soltanto con i pochi membri del nostro clan. Ma di questi tempi basta dare un’occhiata a un quotidiano, a una rivista o alla televisione per trovare immediatamente una miriade di persone più intelligenti, più ricche, più magre, più sexy, più famose, più potenti o più di successo di noi.
Quando ci confrontiamo con queste favolose creature mediatiche, ci sentiamo inferiori o delusi della nostra vita. A peggiorare ulteriormente le cose, oggi le nostre menti sono così sofisticate che possono costruire un’immagine di fantasia della persona che idealmente ci piacerebbe essere, e poi ci confrontiamo con quella! Che possibilità abbiamo? Finiremo sempre col sentire di non essere abbastanza.
Ora, per una qualsiasi persona ambiziosa dell’Età della pietra, la regola generale del successo è: prendi di più e migliora. Migliori sono le armi e più cibo si potrà uccidere. Maggiori sono le riserve di cibo, maggiori saranno le possibilità di sopravvivere ai periodi di carestia. Più il tuo riparo è solido, più sarai protetto dalle intemperie e dalle belve. Più figli hai, maggiori saranno le probabilità che qualcuno raggiunga l’età adulta.
Non sorprende quindi che la nostra mente moderna cerchi continuamente “di più e di meglio”: più denaro, un lavoro migliore, più prestigio, un corpo migliore, più amore, un partner migliore. E se ci riusciamo, se effettivamente otteniamo più denaro o un’automobile migliore o un corpo di aspetto migliore, allora siamo soddisfatti, per un po’. Ma presto o tardi (e di solito è presto), finiamo per volerne di più.
Così, l’evoluzione ha modellato il nostro cervello in un modo che ci fa essere strutturati per soffrire psicologicamente: per confrontare, valutare e criticare noi stessi, per concentrarci su ciò che ci manca, per divenire rapidamente insoddisfatti di ciò che abbiamo e per immaginare ogni genere di scenario spaventoso, la maggior parte dei quali non si realizzerà mai.
Non c’è da sorprendersi che per l’uomo sia difficile essere felice!
Naturalmente, a tutti piace sentirsi bene, e dovremmo senza dubbio trarre il massimo dalle sensazioni piacevoli quando si presentano. Ma se cerchiamo di averle sempre, abbiamo perso in partenza.
La realtà è che la vita comprende anche il dolore. Non c’è modo di evitarlo. In quanto esseri umani dobbiamo tutti prendere atto che presto o tardi diverremo deboli, ci ammaleremo e moriremo. Presto o tardi tutti perderemo relazioni importanti a causa di rifiuti, separazioni o lutti.
Come smettere di tormentarsi e iniziare a vivere
Perché nella società occidentale del benessere sembriamo tutti stressati, depressi e insoddisfatti (e chi non lo sembra spesso in realtà lo è comunque, solo che finge il contrario)?
Russ Harris da una risposta molto chiara : perché siamo prigionieri della trappola della felicità!
Russ Harris è uno tra i principali esperti di Acceptance and Commitment Therapy (ACT) e nel suo libro “la trappola della felicità, insegna a sviluppare la “flessibilità psicologica” che consente di superare i momenti critici e di vivere pienamente il presente muovendosi nella direzione tracciata dai propri valori.
La “trappola della felicità”, secondo Harris è un circolo vizioso che ci spinge a dedicare il nostro tempo, la nostra energia, la nostra vita, a una battaglia persa in partenza: quella contro i pensieri e le emozioni negative.
In questo libro, Russ Harris ci conduce alla scoperta della nostra personale trappola della felicità, guidandoci a prendere coscienza dei meccanismi mentali che ci tengono prigionieri facendoci ostinare a perseguire chimere impossibili – essenzialmente, ad avere sempre emozioni e pensieri positivi e mai negativi – e a recuperare la nostra libertà di scegliere e di agire come riteniamo meglio per noi.
Presto o tardi tutti dovremo affrontare crisi, delusioni e insuccessi. Questo significa che, in un modo o nell’altro, tutti avremo pensieri e sentimenti dolorosi. La buona notizia è che, anche se non possiamo evitare questo dolore, possiamo imparare ad affrontarlo molto meglio a fargli spazio, a ridurre i suoi effetti e a crearci una vita che valga ugualmente la pena di essere vissuta.
La buona notizia è che c’è speranza.
Si può imparare a riconoscere la “trappola della felicità” e si può scoprire come uscirne.
Il processo messo a punto da Russ Harris prevede 3 fasi:
- Nella prima scoprirai come crei la trappola della felicità e ti ci rinchiudi dentro. Questo primo passo è fondamentale, quindi non saltarlo. Non puoi uscire dalla trappola se non sai come funziona.
- Nella seconda parte imparerai a fare spazio ai pensieri e ai sentimenti dolorosi, anziché cercare di evitarli o eliminarli, e a sperimentarli in un modo nuovo che ne ridurrà l’impatto, li priverà del loro potere e diminuirà drasticamente la loro influenza sulla tua vita.
- Nella terza parte, invece di inseguire pensieri e sentimenti di felicità, ti concentrerai su come crearti una vita ricca e significativa. Tutto questo darà origine a un senso di vitalità e appagamento che è sia profondamente soddisfacente sia duraturo.
Articoli consigliati:
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- Ted Talks I 15 migliori discorsi sulla Felicità
Rif. Tratto dal libro: “La trappola della felicità” di Russ Harris
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Bibliografia Acceptance and Commitment Therapy, in italiano:
- “Come vivere liberi dall’ansia” di Kelly Wilson
- “Fare ACT. Guida per professionisti” di Russ Harris
- “Smetti di Soffrire. Inizia a vivere” di Stephen C. Hayes