Last Updated on 22 Ottobre 2023 by Samuele Corona
Ti occorrono almeno diecimila ore per diventare bravo in qualcosa. Questo è ciò che sostiene il giornalista e sociologo canadese Malcolm Gladwell,
Tutti i libri di Gladwell hanno raggiunto i primi posti nella Best Seller list del New York Times e nel 2005, la rivista americana Time lo ha incluso nell’ elenco dei 100 personaggi più influenti. Sembrerebbe che Malcolm goda di una certa autorità in campo sociologico.
Nel suo libro Fuoriclasse: storia naturale del successo, Malcolm Gladwell presenta la famosa tesi delle 10mila ore.
- Gladwell, Malcolm(Autore)
Lo scopo del sociologo canadese era quello indagare su quali fossero le qualità necessarie per ottenere il successo in un determinato campo.
Il talento naturale è tutto?
A tale proposito vi sono diverse posizioni; secondo alcuni esperti il talento naturale è tutto, mentre altri ritengono che la disciplina e la tenacia siano i presupposti più importanti per raggiungere l’eccellenza.
Ho già parlato di questo argomento nel post Il falso mito del talento naturale. da Mozart a Tiger Woods citando un testo di Geoff Colvin, una delle firme più apprezzate del giornalismo americano, che si fonda su recenti studi scientifici riguardanti le grandi performance nel lavoro e nello sport.
In sostanza Gladwell è in accordo con quanto riportato da Colvin: Se una persona raggiunge una condizione di eccellenza è grazie ai molti anni di lavoro.
Gli studi di K. Anders Ericsson sul talento
Per suffragare la propria tesi, Malcolm Gladwell cita uno studio realizzato all’Accademia d’arte di Berlino. La ricerca, condotta dagli psicologi K. Anders Ericsson, Ralf Krampe e Clemens Tesch-Römer all’inizio degli anni Novanta, coinvolse un certo numero di violinisti, suddivisi in tre gruppi.
- Gruppo A: composto dalle STAR, cioè quei violinisti che hanno raggiunto la fama di solisti mondiali.
- Gruppo B: si trovano musicisti giudicati bravi.
- Gruppo C: costituito da violinisti di buon livello, che non faranno la carriera di concertisti, ma si dedicano più che altro all’insegnamento nelle scuole.
A tutti i partecipanti fu posta una sola domanda: “Considerando la vostra vita nel complesso, a partire dal primo giorno che avete toccato un violino, quante ore in tutto vi siete esercitati?”.
Tutti i musicisti avevano iniziato a suonare all’età di cinque anni. In principio si esercitavano tutti con la stessa assiduità, da due a tre ore a settimana. Le differenze cominciavano all’età di otto anni, quando i musicisti del gruppo delle “Star” avevano iniziato a studiare più degli altri.
Secondo Gladwell: sei ore intorno ai nove anni, otto ore ai dodici, sedici ore a settimana dopo i quattordici. Avevano proseguito così fino a superare le trenta ore settimanali all’età di vent’anni. Il loro obiettivo era chiaro e definito: diventare musicisti professionisti.
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Facendo un calcolo delle ore di pratica, a vent’anni i musicisti Star avevano superato le diecimila ore. I musicisti cosiddetti bravi avevano accumulato ottomila ore di pratica, quelli del terzo gruppo soltanto quattromila.
Ti occorrono almeno diecimila ore per diventare bravo in qualcosa
Gli autori
di questo studio, tuttavia, volevano raccogliere ulteriori informazioni e così analizzarono la situazione dei pianisti professionisti per vedere se si riscontrava un analogo modello.
In effetti i dati raccolti con i violinisti furono confermati: i dilettanti si esercitavano all’incirca tre ore a settimana e all’età di vent’anni avevano accumulato più o meno duemila ore di pratica, mentre i professionisti avevano superato le diecimila.
Ericsson e i suoi colleghi non si imbatterono neppure una volta in un cosiddetto talento naturale. Nessuno dei musicisti di massimo livello si era esercitato meno di diecimila ore, il che lasciava intendere che i musicisti di massimo livello si distinguevano non tanto per il talento, quanto per le ore di esercizio.
Diecimila ore: “Il cervello ha bisogno di questa quantità di tempo per assimilare tutto ciò che è necessario per padroneggiare davvero una data attività”, scrive Gladwell citando il neurologo americano Daniel Levitin.
Compiendo successive ricerche, Gladwell riuscì a scoprire anche perché certi individui, e non soltanto i violinisti, traggono più vantaggio dalle ore di pratica rispetto ad altri, dal momento che non tutte le persone che si esercitano per diecimila ore in qualcosa raggiungono il top nel loro campo:
“Ciascuno di noi ha bisogno all’incirca di diecimila ore per diventare bravo in qualcosa. Il talento è importante, ma ha un ruolo secondario rispetto alla disciplina. È meraviglioso quando qualcosa ci riesce in maniera naturale, ma se ci aggiungiamo anche la disciplina, questa è insostituibile”.
Gli individui che hanno tratto più profitto dalle diecimila ore sono stati perciò i talenti disciplinati. Laddove la disciplina da sola appare molto più importante del talento. La disciplina batte il talento e insieme sono imbattibili, secondo Gladwell.
Critiche alla teoria delle 10.000 ore di Malcolm Gladwell
Gli studiosi sostengono che Gladwell definisce il successo in modo troppo semplicistico e ristretto. Malcolm Gladwell sembra suggerire che il successo si basi principalmente su una sola metrica di 10.000 ore di pratica, ignorando molti altri fattori complessi che influenzano il successo.
L’autore e psicologo David Hambrick ha criticato la teoria delle 10.000 ore, sostenendo che la genetica e le differenze individuali giocano un ruolo significativo nel determinare il successo in un determinato campo.
Questa critica è supportata da ricerche come “The Role of Deliberate Practice in the Acquisition of Expert Performance” di Macnamara et al. (2014).
La teoria delle 10.000 ore sembra ignorare il fatto che alcune persone possono avere un talento innato per un certo campo, che può ridurre significativamente il tempo necessario per diventare esperti. L’autore David Epstein nel libro “The Sports Gene: Inside the Science of Extraordinary Athletic Performance” discute ampiamente il ruolo del talento innato.
- Epstein, David(Autore)
La teoria delle 10mila ore ignora il ruolo delle risorse e delle opportunità nella formazione del successo. Robert H. Frank, autore del libro “Success and Luck: Good Fortune and the Myth of Meritocracy” evidenzia come le circostanze, l’accesso alle risorse e le opportunità svolgano un ruolo importante nella realizzazione del successo, spesso indipendentemente dal numero di ore di pratica.
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Bibliografia
- “Quello che gli altri pensano di te” di Thorsten Havener
- “Fuoriclasse: storia naturale del successo” di Malcolm Gladwell
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