L’orecchio assoluto, è assai raro: ce l’ha più o meno una persona su diecimila. Si direbbe un esempio perfetto di talento naturale, che pochi fortunati possiedono dalla nascita e che è precluso a tutti gli altri.
In effetti si è pensato che fosse così per almeno due secoli. Ma negli ultimi decenni è emersa una teoria molto diversa sull’orecchio assoluto.
Le prove scientifiche e le argomentazioni sono tratte dal libro Numero 1 si diventa di Anders Ericsson e Robert Pool.
- Ericsson, K. Anders (Autore)
- Valutazione del Pubblico: X (Solo per adulti)
Il primo è professore di psicologia alla Florida State University. Studia le performance degli esperti in campi quali musica, scacchi, medicina e sport. Il secondo è giornalista scientifico che scrive per riviste del calibro di Science e Nature.
Cosa può insegnarci l’orecchio assoluto di Mozart
Corre l’anno 1763, e un giovane Wolfgang Amadeus sta per intraprendere una tournée europea che darà avvio alla “leggenda Mozart”. A soli sette anni, e alto appena a sufficienza per arrivare alla tastiera di un clavicembalo, incanta le platee nella sua città natale, Salisburgo, suonando con maestria il violino e vari strumenti a tastiera.
Sembra incredibile che un bambino tanto piccolo sia capace di suonare così bene. Non solo, Mozart ha un altro asso nella manica, forse ancor più sorprendente per i suoi contemporanei. Lo conosciamo perché è descritto in una lettera piuttosto enfatica pubblicata su un giornale di Augusta, la città natale del padre, poco prima che Wolfgang e la sua famiglia partissero da Salisburgo per la tournée.
L’autore della lettera riferisce che quando il piccolo Mozart udiva suonare una nota, qualsiasi nota, su uno strumento, era in grado di identificarla immediatamente: il la diesis della seconda ottava sopra il do centrale, magari, oppure il mi bemolle subito sotto il do centrale.
Ci riusciva anche se si trovava in un’altra stanza e non poteva vedere la mano del suonatore, e non solo con il violino e il fortepiano ma con qualsiasi strumento: e suo padre, compositore e insegnante di musica, li aveva in casa praticamente tutti.
Il fenomeno dell’orecchio assoluto non si limitava agli strumenti
Il bambino Mozart riusciva a identificare le note prodotte da qualsiasi persona o oggetto che emettesse suoni abbastanza musicali: il rintocco di un orologio, il battere di una campana, l’ecciù di uno starnuto.
Quasi nessun altro musicista dell’epoca ne era capace, neanche gli adulti più esperti; più ancora della bravura di Mozart al piano e al violino, quell’abilità sembrava testimoniare un inspiegabile dono del cielo.
- Gladwell, Malcolm (Autore)
Naturalmente oggi non è più un mistero. Sappiamo molto di più sull’argomento rispetto a duecentocinquanta anni fa, e quasi tutti ne abbiamo almeno sentito parlare. Il termine tecnico è “orecchio assoluto”, ed è assai raro: ce l’ha più o meno una persona su diecimila.
È molto più frequente tra i musicisti di altissima caratura che nel resto della popolazione, ma anche tra i virtuosi è tutt’altro che usuale: si ritiene che lo avesse Beethoven, ma non Brahms. Vladimir Horowitz lo aveva, Igor Stravinskij no. Frank Sinatra lo aveva, Miles Davis no.
Insomma, si direbbe un esempio perfetto di talento innato, che pochi fortunati possiedono dalla nascita e che è precluso a tutti gli altri.
In effetti si è pensato che fosse così per almeno due secoli. Ma negli ultimi decenni è emersa una teoria molto diversa sull’orecchio assoluto, che ci spinge a pensare in termini altrettanto nuovi al genere di doni che la vita ha da offrire.
Primo indizio
Il primo indizio è stato offerto dalla constatazione che le uniche persone a possedere questo “dono” avevano anche ricevuto un’educazione musicale sin dalla prima infanzia.
In particolare, varie ricerche hanno evidenziato che quasi tutte le persone dotate di orecchio assoluto iniziano a studiare musica a un’età molto precoce, di solito fra i tre e i cinque anni.
Ma se l’orecchio assoluto è un’abilità innata, se lo abbiamo dalla nascita oppure non lo avremo mai, allora dovrebbe essere irrilevante aver studiato musica da bambini o meno. Basterebbe aver imparato i nomi delle note, a qualsiasi età.
Secondo indizio
L’indizio successivo è emerso quando i ricercatori hanno notato che l’orecchio assoluto è molto più frequente tra persone che parlano una lingua tonale, come il mandarino, il vietnamita e varie altre lingue orientali, nelle quali il significato delle parole dipende dall’altezza dei suoni.
Se davvero l’orecchio assoluto è un dono di origine genetica, per spiegare la correlazione con le lingue tonali bisognerebbe che gli asiatici avessero più probabilità di possedere i geni legati all’orecchio assoluto rispetto a persone di altre origini, per esempio europei o africani.
Scoprirlo è semplice: basta reclutare un certo numero di persone asiatiche cresciute parlando inglese o un’altra lingua non tonale, per verificare se è più probabile che abbiano l’orecchio assoluto.
Una ricerca del genere è stata svolta, e si è scoperto che gli orientali che non parlano una lingua tonale da bambini non hanno più probabilità di possedere l’orecchio assoluto rispetto a persone di altre etnie.
Quindi non è tanto il patrimonio genetico, ma piuttosto l’apprendimento di una lingua tonale a rendere più probabile questa caratteristica.
L’esperimento sull’orecchio assoluto. Scuola Ichionkai di Tokyo, 2014
La verità sull’orecchio assoluto è stata rivelata nel 2014
da un affascinante esperimento condotto alla scuola di musica Ichionkai di Tokyo e poi pubblicato sulla rivista scientifica Psychology of Music.
La psicologa giapponese Ayako Sakakibara ha reclutato ventiquattro bambini tra i due e i sei anni e li ha sottoposti a mesi di addestramento per insegnare loro a identificare vari accordi suonati al pianoforte.
Erano tutti accordi maggiori composti da tre note: per esempio il do maggiore, composto dal do centrale e dal mi e dal sol della stessa ottava. I bambini svolgevano quattro o cinque brevi sessioni giornaliere, della durata di pochi minuti, e continuavano a esercitarsi finché non riuscivano a identificare i quattordici accordi selezionati da Sakakibara.
Alcuni hanno completato l’addestramento in meno di un anno, mentre altri hanno impiegato fino a un anno e mezzo. Poi, una volta imparato a identificare i quattordici accordi, Sakakibara li sottoponeva a un test per controllare se riuscivano ad assegnare i nomi giusti alle singole note.
Al termine dell’addestramento, tutti i soggetti dello studio avevano sviluppato l’orecchio assoluto e sapevano identificare singole note suonate al pianoforte. Si tratta di un risultato straordinario. In circostanze normali solo una persona su diecimila sviluppa l’orecchio assoluto, mentre tutti gli allievi di Sakakibara ne erano dotati.
L’ovvia conclusione è che l’orecchio assoluto, ben lungi dall’essere un dono riservato a pochi, è un’abilità che chiunque può acquisire con la pratica. Questa ricerca di fatto ha messo in discussione tutto ciò che pensavamo di sapere sull’argomento.
Allora, che ne è dell’orecchio assoluto di Mozart?
Una breve indagine sulle sue origini ci permetterà di capire come stanno davvero le cose. Il padre di Wolfgang, Leopold Mozart, era un violinista e compositore di media levatura che non aveva mai riscosso il successo desiderato, e quindi decise di trasformare i suoi figli nei musicisti di grido che lui avrebbe voluto essere.
Iniziò con la sorella maggiore di Wolfgang, Maria Anna, che a undici anni, come riferiscono i contemporanei, suonava il piano e il clavicembalo con la perizia di un professionista adulto. Il padre, autore del primo manuale per l’insegnamento della musica ai bambini, iniziò a lavorare con Wolfgang a un’età ancor più precoce che con Maria Anna.
A quattro anni, Wolfgang si dedicava a tempo pieno al violino, al piano e ad altri strumenti. Non sappiamo di preciso quali esercizi svolgesse, ma di certo a sei o sette anni aveva fatto pratica più intensamente e molto più a lungo dei ventiquattro bambini di Sakakibara.
Con il senno di poi, quindi, non dovrebbe stupirci che Mozart avesse acquisito l’orecchio assoluto.
Dunque, il settenne Wolfgang aveva il “dono”? Era nato con un raro corredo genetico che gli permetteva di identificare l’altezza esatta di una nota suonata al piano, o del fischio di un bollitore? Tutto ciò che la scienza ha scoperto finora sull’orecchio assoluto ci dice che la risposta è no.
Se la famiglia di Mozart non l’avesse esposto alla musica, o non l’avesse esposto a sufficienza, senza dubbio non avrebbe mai sviluppato tale capacità.
È vero però che Mozart era nato con un talento, lo stesso dei bambini nello studio di Sakakibara: un cervello così flessibile e adattabile da essere in grado, con il giusto addestramento, di sviluppare abilità che appaiono quasi magiche a chi non le possiede.
Il dono non è l’orecchio assoluto, bensì la capacità di svilupparlo
In breve, il dono non è l’orecchio assoluto, bensì la capacità di svilupparlo: e a quanto ci è dato sapere, tutti, o quasi, ne siamo in possesso. È una splendida notizia, ed è alquanto sorprendente.
Nei milioni di anni di evoluzione che hanno condotto alla moderna specie umana, quasi sicuramente non ci sono state pressioni selettive in favore delle persone capaci di identificare, per esempio, le esatte note cantate da un uccello; eppure eccoci qui, in grado di sviluppare l’orecchio assoluto con un addestramento relativamente semplice.
Solo di recente le neuroscienze hanno fatto luce su questo fenomeno. A partire dagli anni Novanta del secolo scorso, i ricercatori in neurologia hanno iniziato a comprendere che il cervello, anche quello adulto, è molto più flessibile di quanto si pensasse, e che la nostra capacità di controllarlo è assai maggiore del previsto.
In particolare, il cervello risponde agli stimoli giusti ricablandosi in vario modo: si formano nuove connessioni tra neuroni, le connessioni già esistenti si rafforzano o si indeboliscono, e in alcune parti del cervello è persino possibile che nascano nuovi neuroni.
La neuroplasticità spiega com’è stato possibile lo sviluppo dell’orecchio assoluto
Tale plasticità spiega com’è stato possibile lo sviluppo dell’orecchio assoluto
nei soggetti studiati da Sakakibara e in Mozart: i loro cervelli hanno reagito allo studio della musica sviluppando circuiti che consentivano l’orecchio assoluto.
- Villa, Francesco (Autore)
Non sappiamo ancora esattamente di quali circuiti si tratti, che aspetto abbiano e cosa facciano di preciso, ma sappiamo che devono esistere; e che sono il risultato dell’addestramento, non di una programmazione genetica innata.
Nel caso dell’orecchio assoluto, sembra che la capacità del cervello di svilupparlo si esaurisca dopo i sei anni di età circa: quindi, se il ricablaggio necessario non è avvenuto entro quell’età, non avverrà mai.
Questo limite fa parte di un fenomeno più ampio: cioè il fatto che sia il cervello sia il corpo siano più flessibili nei bambini piccoli che negli adulti, e che quindi certe abilità si possano sviluppare soltanto, o più facilmente, prima dei sei, dodici o diciotto anni.
Tuttavia, tanto il cervello quanto il corpo mantengono per tutta la vita adulta un alto livello di flessibilità, che permette di acquisire una vasta gamma di nuove capacità anche in età avanzata, con il giusto allenamento.
Critiche alla teoria di Anders Ericsson
La teoria di Anders Ericsson secondo cui l’orecchio assoluto non esiste è stata oggetto di dibattito tra gli studiosi della musica e dei processi cognitivi legati all’ascolto musicale. Mentre alcuni accettano la sua prospettiva, ci sono alcune critiche da considerare.
David Huron, un professore di psicologia della musica presso l’Università dell’Ohio, ha criticato la teoria di Ericsson sottolineando che l’orecchio assoluto potrebbe essere un’abilità che si sviluppa in modo innato in alcune persone e che non dovrebbe essere sminuita.
La psicologa della musica Diana Deutsch ha condotto ricerche che suggeriscono che l’orecchio assoluto potrebbe essere più diffuso di quanto suggerito dalla teoria di Ericsson. Le sue ricerche hanno evidenziato che alcune persone, anche senza addestramento formale, possono riconoscere note musicali senza un riferimento esterno.
Richard Parncutt, uno studioso di psicologia musicale, ha affermato che la teoria di Ericsson è troppo semplicistica e non tiene conto della complessità della percezione musicale e delle diverse abilità uditive tra gli individui.
Questi critici, insieme ad altri, hanno contribuito a sollevare dubbi sulla teoria di Ericsson e hanno sottolineato la complessità dell’orecchio assoluto e della percezione musicale in generale. La questione dell’orecchio assoluto rimane un argomento di discussione e ricerca attiva tra gli studiosi della musica e della psicologia musicale.
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Bibliografia
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Buongiorno, sto aiutando mia figlia nello sviluppo di una tesina su musica e ho trovato molto interessante quello che scrive. Io sono una delle poche persone fortunate (forse)ad avere un orecchio assoluto. I miei genitori (non musicisti) si sono accorti di questa mia capacità quando avevo circa 5 anni. Una sera mi hanno chiesto di chiudere un rubinetto che gocciolava e io ho risposto che volevo ascoltarlo ancora un pochino perchè il suo suono era bellissimo. Ho cominciato a studiare musica e da li la capacità di dare un nome a quei suoni. Non ascoltavo molta musica , non riuscivo a godermi la semplice melodia perchè nella mia testa apparivano solo le note (accordi compresi). All’età di 13 anni poco prima di dare l’esame per il quinto anno di conservatorio (pianoforte) ho mollato tutto e smesso di studiare. Con il tempo ho notato che anche la capacità di distinguere più suoni contemporaneamente è diminuita molto , quindi per mia esperienza ( e non per conoscenza) credo che sicuramente ci sono persone che nascono con abilità particolari ma lo studio è fondamentale.
Vanessa, grazie per la sua preziosa testimonianza 🙂
se orecchio assoluto significasolo identificare lenote con il prpprio nome non sarebbe impossibile acquisirlo con pratica di solfeggio cantato se invece significa saper improvvisare in ogni tonalità e saper suonare infinite trasposizioni tonali sarebbe più difficile perché sentire la melodia e trasportarla con le corde vocali e un dono di natura che non tutti hanno avuto
Gaetano, grazie per il commento 🙂
L’orecchio ssoluto di Mozart aveva ben altre potenzialità che non hai neanche menzionato e che nei secoli grandi musicisti, possessori di orecchio assoluto ,compositori, hanno cercato di riprodurre e nessuno ci è riuscito, solo Mendelssohn si è avvicinato al risultato ma in età più adulta rispetto a Mozart, per cui con esperienza musicale maggiore a parità di risultato, sul fatto che questo si possa imparare con l’esercizio finora nessuno ci è riuscito e l’esempio dei bambini giapponesi e è molto parziale e soprattutto hanno provato a farli smettere di ascoltare musica per una settimana e vedere cosa succedeva, se era memoria temporanea o definitiva? Se dovevano cantare le note le facevano giuste? Se ascoltavano una melodia erano in grado di riprodurla?
Gian Luigi, Sicuramente l’orecchio assoluto di Mozart aveva ben altre potenzialità che non ho neanche menzionato, come dici tu. Lo studio sui bambini giapponesi è uno studio longitudinale. Gli studi longitudinali prevedono lo studio nel corso del tempo,sullo stesso campione. Trovi qui tutti i dettagli del caso https://bit.ly/2NhHWAR
Di studi simili, a dimostrare che l’orecchio assoluto è una abilità che si può acquisire li hanno condotti nell’Università della Florida, Chicago, Brasile etc se cerchi ne trovi quanti te ne occorrono.
Sull’ Uso della statistica, sulle Strategie di campionamento e la selezione dei casi di studio; effettivamente vi potrebbero essere degli errori di sovrageneralizzazione, ma questi bisogna metterli in conto anche se vuoi dimostrare il contrario. Giusto? 🙂