Ossessioni e compulsioni. I 3 casi clinici descritti in questo articolo sono tratti dal libro Psicosoluzioni di Giorgio Nardone. In questo libro il prof. Giorgio Nardone mostra come una serie difficoltà psicologiche caratterizzate da ossessioni e compulsioni, possano trovare rapidamente rimedio grazie a terapie basate su interventi strategici mirati.
Riconosciuto come uno dei più creativi e al tempo stesso rigorosi studiosi e terapeuti, Giorgio Nardone è considerato l’esponente di maggior spicco tra i ricercatori della Scuola di Palo Alto in virtù dei suoi numerosi e innovativi lavori.
Il suo contributo più prezioso è stato quello di creare protocolli specifici di trattamento per le più invalidanti patologie psicologiche, dimostrando come attraverso essi si potessero curare velocemente ed efficacemente la maggior parte delle patologie psichiche e comportamentali.
- Nardone, Giorgio (Autore)
Questo ha portato a un nuovo Modello evoluto di Terapia Breve e di Problem Solving Strategico, produzione testimoniata dai molti libri pubblicati e tradotti in più lingue.
Ossessioni e Compulsioni. 3 Casi clinici trattati con la Terapia Breve Strategica
Di seguito 3 casi clinici di ossessioni e compulsioni, trattati con successo da Giorgio Nardone con l’Approccio Strategico.
#1. L’ossessione di farsela addosso
Molto spesso, sulla base di una ossessione si possono sviluppare reazioni di tipo fobico molto simili a quelle della sindrome da attacchi di panico descritta nei casi precedenti, ma in questo caso se non si sovverte alla radice la dinamica patogena di tipo ossessivo il cambiamento ottenuto sarà solo superficiale, e si osserveranno entro breve delle ricadute.
Pertanto è importante distinguere reazioni fobiche basate sulla paura e reazioni basate sull’ossessione, perché il tipo di trattamento dovrà essere per certi versi simile, per altri completamente diverso.
Un intellettuale che svolgeva un lavoro artistico di alto livello, che lo metteva in condizione di dover esibirsi in pubblico, aveva sviluppato, dopo una colite, il timore di perdere il controllo dei visceri in pubblico. A poco a poco si era isolato e aveva cessato di comparire in pubblico.
La terapia, dalla seconda seduta in poi, si è centrata sul far interrompere al paziente le sue due fondamentali “tentate soluzioni” che mantenevano il problema: ossia il suo ossessivo tentativo di controllare il sintomo stando sempre concentrato sul suo intestino, e il suo evitare qualunque situazione di rischio, compresi molti cibi e posti dove non ci fosse una toilette pronta all’uso.
La tecnica è stata quella della peggiore fantasia (Worst Fantasy), che si applica anche a panico, depressione e blocchi di performance.
La tecnica della peggiore fantasia
Il soggetto dapprima deve esercitarsi, per mezz’ora al giorno, in casa sua, a farsi venire degli attacchi di panico pensando alle sue peggiori fantasie. Allo scadere, dovrà abbandonare tutto quanto, e dedicarsi alla usuale attività giornaliera.
Dopo che il soggetto con sua sorpresa ha constatato che gli è praticamente impossibile farsi venire le crisi, e anzi subentra rilassamento e sonno, gli si prescrive di farsi venire le crisi per 5 minuti al giorno 4-5 volte al giorno, ovunque si trovi.
Questo, sia in base alla constatazione che è impossibile provocare volontariamente le crisi, sia in base alla promessa del paziente di fare tutto quello che il terapeuta gli avrebbe ordinato.
La terapia è proseguita aumentando le esposizioni a rischio del soggetto, incrementando la sua fiducia nella tecnica del cancellare la paura provocandola deliberatamente, sino a condurlo a mettere in pratica tale prescrizione anche quando il temuto disturbo poteva insorgere.
Il soggetto riferì che all’insorgere spontaneo della paura o di qualche segnale del suo intestino, bastava esasperare immediatamente la paura deliberatamente, perché questa svanisse insieme alle sensazioni somatiche.
#2. Sterilizzare tutto per evitare contagi
Un giovane impiegato di banca, preso dall’ossessione di contrarre l’AIDS (cosa peraltro improbabile dato il suo stile di vita), è divenuto un igienista compulsivo, che utilizza guanti bianchi per stringere la mano alle persone e “sterilizza” anche la fidanzata ogni volta che lei va a trovarlo.
Si tratta di una tentata soluzione di controllo di una fissazione fobica mediante l’esecuzione di rituali di tipo protettivo-propiziatorio.
La tecnica di trattamento di questo e di disturbi simili si basa sulla seguente prescrizione: “ogni volta che di qui alla prossima seduta lei esegue un rituale, se lo esegue una volta lo esegua cinque volte”
Normalmente scema la compulsione ad eseguire il rituale, di pari passo con la paura della situazione da cui si vuole proteggere.
“Come vedevo le cose prima, mi sembrava logico avere paura e dovermi proteggere con i lavaggi e le altre cose che facevo, come le vedo adesso mi sembra logico non avere paura e quindi stupido fare certe cose. Non so cosa sia successo, ma ora le cose vanno bene”.
Ci si impossessa del sintomo irrefrenabilmente compulsivo facendolo diventare qualcosa di volontario che pertanto può essere rifiutato: “se te lo concedi puoi rinunciarci, se non te lo concedi sarà irrinunciabile”
Questa prescrizione è formulata e ingiunta con un linguaggio fortemente suggestivo, come un comando post-ipnotico, all’interno del quale prima si prescrive una “ordalia”, poi si dà il permesso di non eseguirla. Ma non eseguendo tale prescrizione punitiva, il paziente non mette in atto nemmeno i precedenti rituali, poiché essa altro non è che una esasperazione paradossale e ritualizzata di quelle espressioni sintomatiche.
#3. La ripetizione di formule mentali
Una giovane donna razionale si sentiva costretta a ripetere mentalmente formule composte da nomi e numeri più volte nella giornata, prima e durante l’esecuzione di alcune azioni.
In questi casi si utilizza una prescrizione paradossale che ritualizzi il rituale, come nel caso precedente, ma in maniera meno complessa da un punto di vista logico-formale: ci si impossessa del sintomo compulsivo trasformandolo. Questo di solito conduce alla sua autodistruzione.
Alla donna fu prescritto di complicare il rituale recitando le formule al contrario.
La paziente ne risultò così affaticata che dopo qualche giorno i rituali si erano ridotti e dopo una settimana aveva avuto solo due episodi, immediatamente inibiti dal compito assegnatole.
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