Last Updated on 28 Febbraio 2023 by Samuele Corona
Attraverso l’utilizzo delle tecniche di Psicologia Comportamentale basate sui principi del Condizionamento Operante è possibile sia diminuire i comportamenti “target” (cioè quelli disfunzionali che si desidera estinguere), sia aumentare i comportamenti “meta” (cioè quelli adattivi che si intende instaurare).
Il padre del Condizionamento Operante fu B.F. Skinner psicologo statunitense (1904-1990), considerato uno tra i 10 Psicologi più influenti del XX secolo.
Skinner fu uno dei maggiori rappresentanti del comportamentismo di Watson. Nutrì profonda diffidenza per le interpretazioni del senso comune e fu sempre molto critico nei confronti delle teorie elaborate dagli psicologi.
Nel 1958 fondò il “Journal for the Experimental Analysis of Behavior” in cui sostenne sempre il valore della psicologia scientifica e accettò unicamente contributi di carattere sperimentale.
- Skinner, B. F.(Autore)
Tra le innovazioni metodologiche che propose, inventò la camera di condizionamento operante, nota anche come “Skinner Box”, e il Cumulative Recorder, uno strumento utilizzato per misurare la frequenza dei comportamenti durante la sua ricerca, ritenuta fondamentale in psicologia sperimentale e applicata, sulle “Schede di Rinforzo”.
Skinner ha scritto un romanzo utopistico del comportamentismo americano. Ne ho parlato nel post Walden Two di Skinner.
14 Tecniche di Psicologia Comportamentale più utilizzate
Di seguito le tecniche 14 tecniche di psicologia comportamentale più frequentemente utilizzate. Il testo di riferimento, da cui ho estratto le tecniche, è Fondamenti di Psicologia e Psicoterapia Cognitivo Comportamentale.
Le tecniche di psicologia comportamentale hanno avuto una diffusione straordinaria e si sono dimostrati largamente efficaci.
Tutti gli approcci psicoterapeutici cognitivo-comportamentali incorporano tecniche comportamentali, e alcuni recentissimi modelli, quali ad esempio l’Acceptance and Commitment Therapy o la Functional Analytic Psychotherapy, vengono talvolta definiti “neo-comportamentisti”.
#1. Time-out
È una pratica la quale prevede che un soggetto venga spostato da una situazione più rinforzante a una meno rinforzante in conseguenza dell’emissione di una certa risposta.
Esistono due tipi di time-out, quello “con esclusione” e quello “senza esclusione”.
Il Time-out con esclusione consiste nell’allontanare l’individuo per un breve periodo dalla situazione in cui è presente il rinforzo, come nel caso del bambino che viene “buttato fuori” dalla classe.
Il Time-out senza esclusione è quello in cui il soggetto resta dov’è ma non può avere temporaneamente accesso allo stimolo rinforzante, come nel caso del bambino che rimane in classe ma non può partecipare al gioco di gruppo.
Generalmente questa pratica si usa nei confronti dei bambini, degli adulti con ritardo mentale e dei soggetti psicotici, e viene impiegata in contesti istituzionalizzati, soprattutto per contrastare comportamenti violenti e aggressivi.
È importante che l’operatore non mostri risentimento nei confronti del soggetto coinvolto, giacché deve essere chiaro come tale metodo sia finalizzato a interrompere dei comportamenti inappropriati e non a punire la persona.
#2. Costo della risposta
È una strategia che mira a rendere il soggetto più sensibile e attento alle conseguenze negative del suo comportamento, e che implica la rimozione/sottrazione di una certa quantità di rinforzatori a seguito di una specifica risposta.
Questa procedura prevede quindi una sorta di “penalità” per una risposta inappropriata. Ne sono un esempio il pagare le multe o il lasciare il bambino nel letto bagnato se la notte ha fatto la pipì (o il chiedergli di cambiare le lenzuola da solo).
A differenza del time-out, non prevede alcun limite di tempo specifico per la sua esecuzione.
#3. Prevenzione della risposta
Si tratta di una tecnica utilizzata generalmente nel trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo (DOC). Introdotta da Meyer e Chesser (1975), si usa insieme all’esposizione per renderla maggiormente efficace.
Consiste nell’esporre il paziente alla situazione ansiogena/temuta senza che questi possa mettere in atto i comportamenti che normalmente utilizza per placare l’ansia (o, in un primo momento, facendoglieli rimandare per un certo tempo prestabilito).
Il soggetto, in pratica, viene istruito a fronteggiare lo stimolo temuto senza ricorrere alle proprie abituali compulsioni (ad esempio lavarsi le mani dopo aver toccato qualcosa di “sporco” in un DOC, vomitare dopo aver mangiato in un disturbo alimentare ecc.).
Spesso viene considerata dai pazienti una pratica sgradita e fortemente attivante, motivo per cui può necessitare della collaborazione da parte dei familiari o di essere svolta all’interno di un ambiente controllato e con l’assistenza del terapeuta o di suoi collaboratori formati.
#4. Controllo dello stimolo
Si basa sul principio che molti comportamenti siano strettamente collegati a determinati contesti e che, in realtà, l’elemento decisivo per la loro messa in pratica sia un preciso stimolo discriminativo.
Quando un comportamento viene rinforzato in presenza di un particolare stimolo e non di altri, infatti, quest’ultimo comincia ad esercitare un controllo sulla presenza di quel comportamento.
Prevede, quindi, l’intervento sugli stimoli attivanti (antecedenti), ristrutturando l’ambiente in maniera che si modifichi anche la probabilità di emissione del comportamento problematico.
L’impiego più comune di questa strategia riguarda il consumo eccessivo di cibo, alcol, sigarette, sostanze (ad esempio, se il soggetto eccede con il cibo soltanto quando mangia da solo, oppure consuma alcol quando frequenta certe persone ecc.).
Ad esempio, si può provare a modificare la tendenza del paziente ad alimentarsi eccessivamente in certi contesti, prescrivendogli di mangiare soltanto in determinate situazioni, tipo con la tavola apparecchiata, non da solo, in orari prestabiliti ecc.
#5. Shaping
È una procedura utilizzata per sviluppare un comportamento non presente nel repertorio del soggetto; si tratta di far apprendere una nuova risposta attraverso il rinforzo di piccole approssimazioni progressive e l’estinzione di quelle precedenti.
Si impiega nella vita di tutti i giorni ogni volta che vogliamo imparare un’abilità complessa, e può essere utilizzato per insegnarne moltissime (vestirsi, lavarsi, usare le posate per mangiare, praticare uno sport, leggere, scrivere, mettere in ordine una stanza ecc.).
Un esempio si può osservare quando i genitori rinforzano i bambini che cominciano a verbalizzare quelle sillabe che si avvicinano sempre più alle parole corrette.
È spesso impiegato nel campo dell’educazione, dell’handicap e della riabilitazione. Si inizia specificando il comportamento finale, cioè l’obiettivo desiderato, e si identifica una risposta valida di partenza (meglio se già presente nel repertorio dell’individuo).
Si procede poi rinforzando le risposte iniziali e tramite approssimazioni successive, lineari e costanti, andando avanti al giusto passo, cioè per piccoli gradini e non troppo velocemente, finché il soggetto non arriva a emettere il comportamento “meta” (se qualcosa non funziona, si può sempre tornare al livello precedentemente rinforzato, in modo che venga ben fissato).
#6. Fading
Prevede il cambiamento graduale di uno stimolo che controlla una risposta, in modo che alla fine tale risposta compaia anche in sua assenza o a fronte di stimoli nuovi
Anche questa tecnica è molto impiegata nella vita di tutti i giorni, ad esempio quando un genitore insegna al figlio ad andare in bicicletta riducendo gradualmente il proprio aiuto.
Essa ha l’obiettivo di generalizzare l’apprendimento di un dato comportamento, in modo che venga gradualmente emesso senza più ausili esterni e in contesti naturali e non solo sperimentali.
È bene non confondere il fading con lo shaping.
- Sweet, Corinne(Autore)
Il fading implica il rinforzo di uno specifico comportamento in presenza di graduali cambiamenti dello stimolo, in modo che questo assomigli sempre più a quello che dovrebbe controllare l’emissione di quel particolare comportamento.
Lo shaping implica il rinforzo di lievi cambiamenti di un comportamento, in maniera tale che, gradualmente, si avvicini al comportamento bersaglio. In breve, nel primo caso cambia la situazione stimolo mentre la risposta resta (più o meno) uguale; nel secondo caso cambia la risposta mentre lo stimolo resta lo stesso.
#7. Chaining
Detto anche “concatenamento”, serve per costruire nuove abilità comportamentali. Si basa sull’assunto che molti comportamenti (ad esempio lavarsi i denti, vestirsi, mangiare ecc.) si possano scomporre in una sequenza di sotto-comportamenti più semplici, che possono venire sottoposti a un distinto processo di apprendimento.
Il “concatenamento anterogrado” è una procedura di insegnamento attraverso la quale si sviluppa una sequenza di risposte, insegnando e rinforzando inizialmente il primo elemento, poi il primo e il secondo, il secondo e il terzo e così via, fino a raggiungere il comportamento finale nel suo insieme.
Nel “concatenamento retrogrado”, invece, si costruisce la catena comportamentale in senso inverso, in modo che il soggetto inizi con l’apprendimento dell’ultimo passo per poi risalire al primo. Il chaining si utilizza soprattutto con soggetti con handicap grave e deficit di autonomia.
#8. Modeling
Il modeling è una procedura basata sull’apprendimento osservativo di Bandura attraverso la quale viene presentato a un soggetto “osservatore” l’esempio di un determinato comportamento emesso da un secondo soggetto “modello” affinché sia indotto a riprodurlo e/o a intraprendere un’azione simile.
Per ottenere un modeling efficace è opportuno seguire delle linee guida:
- La complessità del comportamento da imitare deve essere adeguata al livello cognitivo dell’individuo.
- Scegliere il modello tra amici/coetanei del soggetto simili a lui per età, sesso, aspetto fisico, status sociale ecc.
- Le scene devono essere aderenti alla realtà, e l’individuo deve osservare il modello mentre emette il comportamento “meta” e quando viene rinforzato.
- Il modeling va abbinato a istruzioni verbali.
Questa procedura serve per apprendere nuove risposte, per migliorare quelle già acquisite e per disinibirsi nei confronti di determinate situazioni (ad esempio, vedere un coetaneo che si avvicina tranquillamente a un cane può aiutare un bambino a superare la propria paura).
Il modeling prevede solitamente una prima fase in cui il soggetto osserva il modello mettere in atto il comportamento, una seconda in cui prova a imitarlo e viene da questi guidato e corretto e una terza in cui tenta di ripetere la risposta adeguata in autonomia.
#9. Prompting
Si tratta di una tecnica volta a facilitare il cambiamento introducendo elementi aggiuntivi, i cosiddetti “suggerimenti”.
Tali suggerimenti, o “prompt”, sono costituiti da stimoli scritti o verbali o da segni convenzionali, e accompagnano il soggetto a svolgere una determinata azione.
Il prompt è sempre soggetto a fading, perché gradualmente si cerca di fare in modo che la persona metta in atto il comportamento desiderato senza bisogno del suggerimento.
È il caso di un bambino a cui si stiano insegnando delle parole: inizialmente, indicando una carota e pronunciando “Caro…” (prompt verbale), egli dirà “… ta”; poi, pian piano, si potrà ridurre il suggerimento fino ad arrivare al punto in cui non servirà più pronunciare alcuna sillaba, ma sarà sufficiente indicare la carota perché il bambino ne pronunci il nome.
#10. Guida Fisica
Si tratta di un particolare tipo di prompting, in cui viene usato un contatto fisico per indurre una persona a svolgere tutti i necessari movimenti per attuare il comportamento desiderato. Il clinico, quindi, ne guida materialmente l’esecuzione.
La guida fisica va sempre abbinata alla somministrazione di rinforzatori, ed è importante assicurarsi che il contatto fisico non venga interpretato dal soggetto come ansiogeno o minaccioso, né tantomeno punitivo.
In genere si accompagna il gesto con istruzioni date a voce, in modo che successivamente queste ultime possano gradualmente sostituire la guida fisica. È una tecnica molto utilizzata in ambito riabilitativo e con persone con ritardo mentale.
#11. Rinforzo differenziale
È una procedura che prevede il rinforzamento di comportamenti differenti da quello inadeguato e che è più efficace e presenta meno “effetti collaterali” della punizione.
Ne esistono di 3 tipi.
Il primo è il “rinforzo differenziale di altri comportamenti” in cui si rinforza qualsiasi risposta diversa da quella indesiderata. Si tratta di una procedura che, nonostante sia di facile utilizzo, viene raramente applicata poiché presenta degli inconvenienti, tra i quali il più grave è il rischio di aumentare la frequenza di risposte diverse da quelle problematiche, ma ugualmente inadeguate.
Il secondo è il “rinforzo differenziale di comportamenti adeguati”. In questo caso non viene rinforzato qualsiasi comportamento, ma soltanto quelli positivi, affinché l’impegno dedicato a emettere risposte adeguate distolga l’attenzione del soggetto dall’emissione del comportamento-problema.
Ciò tuttavia non accade sempre, dal momento che i nuovi comportamenti adeguati possono comunque coesistere con quelli inadeguati.
Il terzo è il “rinforzo differenziale di comportamenti incompatibili”, che rappresenta sicuramente la strategia più efficace, sempre che esistano comportamenti incompatibili tra loro (nel senso che non possono essere emessi contemporaneamente; ad esempio, disegnare e picchiare il compagno).
La risposta inadeguata, quindi, può essere inibita selettivamente rinforzando quelle incompatibili o antagoniste.
#12. Token economy
È una tecnica basata sul condizionamento operante, che agisce attraverso il rinforzamento simbolico (token = gettone) e mira a ottenere l’emissione di determinati comportamenti “meta” in un gruppo definito di persone.
È una sorta di contratto finalizzato al raggiungimento di certi obiettivi; in genere si svolge in contesti istituzionalizzati come ospedali, istituti di riabilitazione, scuole, comunità, carceri, caserme ecc.
I gettoni (fiches, cartoncini o qualunque altro oggetto purché durevole, economico, facilmente maneggiabile, non deteriorabile né passibile di contraffazione) vengono distribuiti ai soggetti subito dopo che hanno emesso una risposta adeguata e, una volta che questi hanno accumulato un certo numero di gettoni, possono accedere ai rinforzatori di minor “prezzo” oppure continuare a metterli da parte per ottenere in futuro quelli di “prezzo” superiore.
Ogni programma di token economy segue delle fasi precise:
Si definiscono gli obiettivi
, cioè i comportamenti “meta”, le risposte desiderate (e si decide a quanti gettoni corrispondono). Poi si scelgono i rinforzatori adeguati ai soggetti in questione, costruendo una sorta di catalogo dei premi accessibili e attribuendo a ognuno il giusto “prezzo” (avere a disposizione una vasta gamma di premi evita il verificarsi del fenomeno di “saturazione del rinforzatore”).
Successivamente si crea un “negozio” virtuale nel quale si possano scambiare i gettoni con i premi e se ne stabilisce anche l’orario di apertura, che può oscillare da 1-2 volte al giorno a una volta alla settimana. Occorre poi individuare il supporto umano disponibile nell’ambiente dove si attua la token economy, al fine di definire chi saranno gli agenti che valuteranno il comportamento dei soggetti coinvolti ed erogheranno i gettoni.
Devono essere previste “multe”, cioè penalità in termini di sottrazione di gettoni, di fronte al manifestarsi di comportamenti problematici.
I premi devono rigorosamente essere distribuiti non appena il soggetto che ha acquisito i gettoni necessari li richieda; gli stessi non devono poter essere accessibili in altro modo se non “acquistandoli” nel “negozio” a fronte del pagamento in gettoni.
Nella vita quotidiana siamo inconsapevolmente sottoposti a numerosi programmi di token economy volti a incentivare la tendenza all’acquisto di certi prodotti o in luoghi specifici; basti pensare alle raccolte di “bollini” che ci vengono proposte in molti negozi (o associate a prodotti di specifiche aziende), con i quali possiamo poi accedere a un catalogo di premi.
#13. Problem Solving
È una procedura che mira ad aiutare il soggetto a risolvere problemi di svariata natura in modo analitico, strutturato ed efficace.
Prevede varie fasi:
- Individuare il problema specificandolo dettagliatamente.
- Immaginare, prendere in considerazione e valutare quante più soluzioni alternative possibili (brainstorming) sia realistiche che irrealistiche, sospendendo ogni giudizio su di esse.
- Approfondire le possibili conseguenze, personali, sociali, a breve e a lungo termine, di ogni soluzione proposta.
- Prendere una decisione individuando la soluzione apparentemente migliore e mettendola in atto.
- Rivalutare l’intero processo per verificare l’efficacia della soluzione scelta.
Il problem solving si applica in molti ambiti clinici, scolastici o professionali, e può essere utilizzato sia da singoli individui che da gruppi di persone.
*Leggi anche: 13 Stratagemmi del Problem Solving e della Psicologia Clinica Strategica
#14. Training di assertività
Il termine deriva dall’inglese “to assert”, che significa “far valere, affermare”, ma anche “mettere in libertà”
Un soggetto assertivo è colui che usa una modalità di comunicazione, verbale e non verbale, che è una chiara e diretta espressione dei propri bisogni e desideri, delle proprie preferenze, volontà, necessità e/o intenzioni, tenendo però anche conto dei sentimenti e delle emozioni della persona con cui comunica.
Il comportamento assertivo è ritenuto, infatti, la giusta via di mezzo tra il comportamento passivo e quello aggressivo.
Per imparare ad essere assertivi occorre tenere a mente alcuni punti fondamentali: non bisogna confondere una richiesta o una presa di posizione con l’aggressività ed evitare di esprimere le proprie idee o necessità per paura di apparire aggressivi.
- Hadfield, Sue(Autore)
Si devono riconoscere e accettare i propri diritti personali, ad esempio quello di dire “no” o “non so”, di cambiare idea, di sbagliare, di dire “non mi riguarda” ecc.
Comprendere che dissentire dalle opinioni delle persone care non comporti necessariamente la perdita o la compromissione del rapporto con loro.
Non si deve confondere il desiderio di essere di aiuto agli altri con la passività, perché si possono e si devono aiutare le altre persone finché questo non ci porta a sacrificare noi stessi e i nostri bisogni.
*Leggi anche: Assertività. Le 3 Regole fondamentali
Un training di assertività mira a far acquisire al soggetto competenze di comunicazione assertiva specifiche e adeguate, intervenendo sia sulle sue abilità verbali che non verbali.
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