Last Updated on 4 Settembre 2020 by Samuele Corona
La psicologia junghiana e lo sciamanesimo stanno attirando un numero sempre maggiore di persone nella società occidentale. Può dunque essere utile osservare più da vicino entrambe le discipline, per esaminare attentamente quali forme di comprensione di sé e di guarigione offrano, e se possano collaborare in modo mirato ai trattamenti delle malattie “occidentali”.
Un ottimo lavoro in tale direzione è rappresentato dal libro di Michael Smith dal titolo Jung e lo sciamanesimo, dove l’autore (grande specialista di Jung e di sciamanesimo) esplora differenze e affinità tra sciamanesimo e psicologia junghiana, entrambi radicati in un modo di vivere “pieni d’anima”.
Forse la caratteristica più saliente comune allo sciamanesimo e alla psicologia junghiana è che entrambe le discipline offrono una via per vivere “pieni d’anima”, una via che parte dallo spirito, da una dimensione trascendente di saggezza e potere (Smith).
Per gli junghiani, questa dimensione trascendente nella psiche, chiamata archetipo del Sé, può essere concepita come qualsiasi cosa l’individuo consideri la propria realtà ultima, o come un essere che partecipi della vita divina: una presenza simile all’“Atman”.
Per lo sciamanesimo, la fonte di saggezza e di potere trascendente si manifesta di solito come uno spirito guida o un animale di potere, anche se può essere una manifestazione di qualsiasi cosa lo sciamano consideri come realtà ultima.
Ciò che Smith offre è un incontro basato sul mutuo rispetto per la saggezza, l’esperienza e la tecnica di guarigione dell’altro potrebbe dar luogo a una trasformazione proficua per entrambe le discipline.
Jung e lo sciamanesimo
- C. Michael Smith(Autore)
Il libro di Michael Smith prevede tre parti.
Parte prima
Nella prima parte, vengono rivisti in dettaglio gli elementi basilari dello sciamanesimo classico.
Capitolo 1
Nel primo capitolo si definisce lo sciamanesimo. Segue una valutazione degli elementi fondamentali dei fenomeni sciamanici quali la vocazione, l’iniziazione, la cosmologia e l’importanza dell’immagine e del mito nella malattia e nella guarigione, i parafernalia sciamanici e l’uso delle percussioni.
Nello stesso capitolo si discute anche della diagnostica di base e dei concetti terapeutici dello sciamanesimo, della perdita dell’anima, del suo recupero, e dell’estrazione. Le varianti del Nord e del Sud America sono distinte da quelle euroasiatiche. Viene anche presa in considerazione la questione della salute mentale dello sciamano.
Capitolo 2
Nel secondo capitolo “Il tecnico del sacro” viene esplorata l’importanza del sacro nella struttura rituale e quella della leadership nella guarigione sciamanica. In quest’ambito l’autore analizza la fenomenologia delle manifestazioni del sacro nelle varie culture e nella guarigione sciamanica.
I lavori di Rudolf Otto, Gerhardus Van der Leeuw e Mircea Eliade forniscono un insieme di quadri tra loro compatibili per la comprensione dell’esperienza del sacro e del suo potere di guarigione.
L’opera dell’antropologo Michael Harner sul processo rituale e quella dell’analista e teorico junghiano Robert L. Moore sulla struttura e sulla leadership rituale ci aiuteranno a comprendere il potere trasformativo del rito sciamanico e del processo psicoterapeutico.
Questa indagine non vuole limitarsi a informare sulla natura e sul potere dei rituali sciamanici, ma vuole anche chiarire quali possano essere le potenzialità di un buon processo rituale e di una buona leadership nel trattamento psicoterapeutico. Può anche servire come lente attraverso la quale osservare il processo terapeutico in modo interdisciplinare.
Parte seconda
La seconda parte esplora la vita e il lavoro di C.G. Jung, comparandolo e contrapponendolo allo sciamanesimo.
Qui, l’indagine prende il via dall’esame dell’opera di Jung a partire dalle sue esperienze esistenziali.
Capitolo 3
Il terzo capitolo “Jung, il guaritore ferito” analizza la vita di Jung come se fosse quella di uno sciamano. Esplora alcuni fondamentali elementi sciamanici della sua vita, soffermandosi sulla formazione della sua personalità, dalla prima infanzia fino alla crisi della mezza età, scoprendo in essa uno schema parallelo a quello sciamanico ( ferita, chiamata e iniziazione) ma dando anche conto delle differenze.
Una speciale attenzione viene dedicata alla rottura tra Jung e Sigmund Freud, alla risultante perdita di identità e alla crisi durante la quale Jung intraprese la propria personale Nekyia, la discesa nell’inconscio grazie alla quale incontrò gli spiriti, sviluppò una relazione con uno spirito guida e sperimentò visioni straordinarie, alcune delle quali profetiche, sulla sua vita futura, sulla sua missione e sul suo lavoro.
Jung descrisse la propria crisi di mezza età come una condizione di perdita d’anima e di suo successivo recupero. Grazie al recupero dell’anima, egli ottenne una visione dell’opera a cui dedicare la propria vita e un nuovo senso di missione a cui si dedicò non solo a proprio beneficio ma anche a quello della propria tribù (la cultura occidentale).
Capitolo 4
Il quarto capitolo è intitolato “La teoria dell’anima di Jung”. Qui sono discussi i fondamentali della teoria di Jung e gli elementi basilari della sua psicologia divenuta ormai matura, a cui seguono comparazioni e contrapposizioni con lo sciamanesimo.
Gli strati dell’inconscio collettivo, il ruolo degli archetipi, l’importanza dei numina e degli spiriti nella guarigione, nonché quella dell’immagine e del simbolo, sono introdotti nel dialogo insieme agli elementi corrispondenti dello sciamanesimo classico.
- Jung, Carl Gustav(Autore)
Viene discusso il ruolo dei complessi, “ i piccoli demoni” nella malattia e nella terapia, che viene poi messo a confronto con lo sciamanesimo. Il ruolo centrale dell’archetipo del Sé, il centro sacro della psicologia di Jung, viene identificato come la base per una vita sana, e se ne esplora l’importanza cruciale nei processi di malattia e guarigione. Segue poi il confronto con il ruolo del sacro nella terapia sciamanica.
Capitolo 5
Il quinto capitolo “L’interpretazione dello sciamanesimo nel pensiero di Jung” riferisce ciò che lo psicoanalista pensava dello sciamanesimo, come risulta complessivamente dalla sua opera.
Jung vedeva lo sciamanesimo come un processo di individuazione arcaico, così come l’alchimia, e interpretava certi fenomeni sciamanici (le pietre sacre, l’albero del mondo e la sposa celeste) come manifestazioni dell’archetipo del Sé.
Nello stesso capitolo vengono inoltre esplorati vari aspetti della psicologia sciamanica e del suo funzionamento (lo sciamano come imbroglione, come mutaforma e come mediatore epistemologico).
Le stesse affermazioni di Jung sulla perdita d’anima, sulla possessione e sui riti esorcistici sono messe a confronto con la visione che di questi fenomeni ha lo sciamanesimo classico.
Dalla prospettiva di Jung questo capitolo sintetizza la struttura archetipica basilare dello sciamanesimo e del processo rituale sciamanico.
Parte terza
La terza parte consiste di tre capitoli che esplorano diverse implicazioni teoriche contemporanee e le potenziali applicazioni che ne derivano.
Capitolo 6
Il sesto capitolo “Dissociazione, possessione e perdita d’anima” tratta le analogie tra la moderna teoria dei disturbi dissociativi e le teorie sciamaniche della perdita d’anima.
Tracciando una storia dei disturbi dissociativi e mettendola a confronto con le esperienze degli sciamani e degli individui affetti da personalità multipla, l’autore cerca di evidenziare l’area in cui il dialogo tra le risorse dello sciamanesimo classico e quelle della terapia e della psicologia junghiana può essere maggiormente utile.
Vengono riportati due esempi dell’utilizzo odierno delle risorse sciamaniche nei disordini dissociativi e di altro tipo.
Uno di questi analizza i metodi del medico psichiatra Colin A. Ross, che alterna l’ipnoterapia e la metafora sciamanica nel trattamento dei disordini dissociativi.
Il secondo esempio esplora il recupero d’anima di Sandra Ingerman, ex psicoterapeuta e rappresentante dello sciamanesimo “bianco”, urbano e contemporaneo.
- Ingerman, Sandra(Autore)
Anche la Ingerman collega la perdita d’anima alla dissociazione psicologica, e la considera un fenomeno molto diffuso nella cultura moderna. Ella ritiene utile il recupero d’anima sciamanico non solo nei disordini dissociativi, ma anche nel trattamento di un’ampia varietà di disturbi collegati a traumi, shock, incidenti e ferite.
Ingerman include tra i problemi per i quali il classico recupero d’anima risulta efficace anche quelli derivanti da assuefazione, co-dipendenza e depressione. Sebbene attualmente lavori esclusivamente come sciamana, Ingerman è molto attenta a riconoscere l’importanza del counseling e della psicoterapia per aiutare i pazienti a integrare il recupero d’anima e le parti d’anima perdute.
Sia Ross che Ingerman forniscono diversi esempi di come le risorse dello sciamanesimo possano essere utili nel trattare varie forme di disturbi mentali e di psicopatologia nella società occidentale contemporanea.
All’esame del loro operato segue una riflessione che mira a comprendere tali forme ibride di sciamanesimo contemporaneo dal punto di vista della teoria junghiana e post-junghiana.
Il capitolo termina con una discussione sulla dissociazione patologica, relative alla possessione diabolica e agli alter ego. Le riflessioni dell’antropologa Felicitas Goodman e il punto di vista della psicologia junghiana sono utilizzati per spiegare come un rituale terapeutico ben condotto possa risultare particolarmente efficace nel trattamento delle forme più serie e potenzialmente mortali di questo disturbo, spesso refrattarie ai metodi psichiatrici e psicoterapeutici più convenzionali.
Capitolo 7
Nel settimo capitolo l’autore parla de “L’efficacia di un rituale terapeutico ben condotto”. Il potere del rituale, dell’immagine e dell’archetipo affronta questo tema rivolgendo nuovamente l’attenzione all’importanza dell’immagine come causa o cura potenziale di una malattia, correlandolo ai dati della neurobiologia e della teoria post-junghiana sulle strutture dei processi archetipici.
Queste riflessioni necessitano, secondo Michael Smith, di essere ampliate in una discussione multidisciplinare che includa le prospettive dell’antropologia medica, dell’anatomia neuronale, della psicofisiologia, della ricerca sul cancro e della programmazione neurolinguistica, nello sforzo di comprendere meglio i poteri dell’immagine e del rituale nel promuovere sia l’origine della malattia sia il processo di guarigione.
Sulla base dei lavori dei teorici post-junghiani e di ricercatori come Anthony Stevens, Ernst Rossi, Douglas Gillette e Robert L. Moore viene proposta un’ulteriore riflessione sulla relazione tra archetipi e struttura cerebrale, riservando speciale attenzione alle implicazioni dell’immagine e del rito nella guarigione sciamanica e nella psicoterapia.
Il capitolo si conclude con un’analisi dell’opera di Robert L. Moore e di Douglas Gillette sulla relazione tra lo sciamano come “anziano”, guida o maestro, e l’archetipo del mago.
- Gillette, Douglas(Autore)
Capitolo 8
L’ottavo capitolo “Implicazioni per il futuro” propone un’indagine che vada oltre la classica perdita dell’anima, il suo relativo recupero e la dissociazione, per rivolgersi a un problema centrale nella società occidentale: la perdita del sacro in un mondo pervaso dalla disillusione e dalla presunzione.
Questo capitolo introduce il concetto che il recupero d’anima sia di per sé insufficiente e incompleto quando la visione alla base del mondo in cui si vive è profana e secolare.
Il recupero d’anima sciamanico è una forma di guarigione psico-spirituale che ha senso solo se il sacro ha un posto nel mondo delle credenze del paziente e del guaritore. Si esplora l’importanza della sfera delle credenze a partire dalla prospettiva junghiana e si sostiene la necessità di un recupero del sacro nella cultura occidentale in generale e specificatamente nella cultura sanitaria.
Recuperare il sacro è una passaggio fondamentale del recupero d’anima nella società occidentale postmoderna.
RIF. Tratto dal libro: “Jung e lo sciamanesimo” di Michael Smith
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