Donald Winnicott,
nato nel 1896 a Plymouth, in Inghilterra. Studiò biologia a Cambridge, poi medicina e pediatria.
Quarant’anni di conduzione della clinica pediatrica al Paddington Green Hospital gli consentirono di avere un contatto continuo con i problemi pratici di mamme e bambini. Ciò servì da stimolo e da contrappeso alla sua straordinaria immaginazione.
Winnicott fece la prima analisi, che durò dieci anni, con James Strachey; poi ne intraprese un’altra, più breve, con Joan Riviere. Negli anni Trenta ebbe un’ampia esperienza di supervisione con Melanie Klein, che egli considerò la sua maggiore maestra e la mente psicoanalitica più produttiva dopo Freud.
Negli anni della guerra, tuttavia, durante la crisi alla British Psychoanalytic Society tra i seguaci della Klein e quelli di Anna Freud, Winnicott fu del gruppo degli indipendenti. Il dissenso con la Klein riguardava la sua obiezione all’uso di termini idiosincraticamente kleiniani come identificazione proiettiva e invidia, che a suo parere escludevano i non kleiniani dal fruttuoso dibattito.
Anche la convinzione winnicottiana dell’importanza dell’ambiente per lo sviluppo del bambino cozzava contro la concentrazione della Klein sull’aspetto innato. Simultaneamente al suo lavoro pediatrico e all’analisi infantile, Winnicott curò pazienti adulti piuttosto disturbati.
Questo lavoro spesso comportava quella che lui chiamava una “fase di gestione” di un paziente disturbato che era “regredito alla dipendenza” (accezione di regressione estranea a Freud). Questi pazienti esigevano un periodo di “holding” (sostegno) stabile (in senso emozionale), più che un lavoro interpretativo, prima che potesse cominciare il lavoro analitico.
Mediante il suo lavoro Winnicott giunse a capire l’importanza del proprio comportamento al di là della sua funzione di interprete di conflitti. Ciò rafforzò la sua convinzione dell’importanza della madre reale nello sviluppo della prima infanzia.
Per mezzo di un’ampia varietà di studi, egli elaborò una teoria internamente coerente ed efficace sullo sviluppo della prima infanzia, a partire dallo stato della mente della madre di un neonato (preoccupazione materna primaria) e mettendo in risalto l’illusione di onnipotenza del bambino, inizialmente rinforzata da una perfetta sintonia con la madre e gradualmente ridotta grazie a una serie di mancati adattamenti a opera della madre.
Nell’opera di Winnicott si parla poco dell’importanza del padre: egli scrisse principalmente di pazienti i cui problemi avevano origine nella relazione infantile con la madre.
Winnicott è divenuto famoso per il concetto di oggetto transizionale, con le idee relative. Egli considerava l’uso del giocattolo preferito e consolante del bambino L’espressione dello scontro fra il senso di onnipotenza del bambino con la realtà ambientale. Il bambino ha bisogno di “creare” l’oggetto perfetto nel momento stesso in cui l’oggetto viene offerto da qualcuno che fa parte dell’ambiente.
Questo punto di incontro fra interno ed esterno è un “luogo” di comfort e paradosso. Non bisogna mai chiedere al bambino se ha creato o ha trovato quell’oggetto. Nel mondo del vivere creativo, che racchiude il gioco e tutte le esperienze culturali umane, si ha lo stesso paradosso.
Winnicott riteneva che, sebbene gli esseri umani debbano evolversi nella direzione di accettare l’indifferenza dell’universo, il mondo del “non me”, essi hanno anche bisogno di momenti di riposo in cui non sia necessario mantenere la tensione necessaria a differenziare la realtà interna da quella esterna.
Il lavoro di Winnicott con i criminali della seconda guerra mondiale ampliò la sua consapevolezza di quella che lui definiva “tendenza antisociale”. Egli considerava l’importanza dei primi atti antisociali come una prova della sensazione del bambino di essere stato indebitamente privato di ciò che era suo, ossia una coppia di genitori affidabili.
Winnicott riuscì a risalire alle origini del fenomeno nei bambini la cui normale educazione era stata interrotta nel corso del secondo o del terzo anno di vita. Le idee winnicottiane di vero e falso Sé derivano all’osservazione dell’effetto della privazione ambientale infantile sullo sviluppo del bambino.
Il vero Sé si sviluppa in un’atmosfera di accettazione e di cura da parte della madre sufficientemente buona, che sa dare un valore ai gesti spontanei del bambino. Interferire con questo processo in certi casi determina l’isolamento del bambino dall’autenticità e dalla spontaneità.
Il bambino risponde a un mondo ostile con un falso Sé che fa passare per reale. Nel lavoro clinico si osservano varie gradazioni di questi disturbi della personalità. Le idee racchiuse in uno degli ultimi saggi di Winnicott, L’uso di un oggetto, non vengono ancora apprezzate appieno.
La sua concentrazione permanente è stata quella sulla natura della realtà, e in questo saggio egli teorizza che la pulsione aggressiva, caratteristica di tutte le relazioni, crea costantemente la realtà. Sopravvivendo al tentativo continuo di distruzione, l’oggetto diventa “utilizzabile”.
Questa parola non indica una relazione con un oggetto parziale. Al contrario, anzi, rappresenta lo sviluppo estremo delle relazioni oggettuali. La portata e il rilievo delle teorie di Winnicott sono dimostrate in modo più persuasivo nella raccolta Colloqui terapeutici coi bambini.
Nelle brevi interazioni con i bambini, spesso ricorrendo alla tecnica dello scarabocchio, in cui terapeuta e paziente si alternano nel tracciare appunto scarabocchi, Winnicott dimostra che è possibile individuare la rilevanza delle comunicazioni e ricavare da esse gli interventi che possono facilitare la ripresa dello sviluppo.
Nel libro Una bambina di nome Piggle Winnicott dimostra come egli fosse in grado di pensare e agire con efficacia grazie a una versione abbreviata di un’analisi fatta “su richiesta”.
Winnicott ha scritto per molti pubblici diversi. Alcuni dei suoi libri destinati ai non addetti ai lavori sono tuttora diffusamente letti. Egli non offriva consigli ai genitori, incoraggiando sempre i genitori a scegliere sulla base della comprensione.
Dalla sua morte, avvenuta nel 1971, l’influenza winnicottiana è andata stabilmente crescendo. I suoi contributi creativi alla teoria e alla pratica della psicoanalisi si stagliano sullo sfondo di una lunga carriera in cui egli rimase un esponente della psicoanalisi concepita come impresa rigorosa, strumento principale della quale era l’interpretazione nel contesto dell’osservazione silenziosa e attenta.
Donald Winnicott, la teoria psicoanalitica. Concetti chiave
Creatività primaria
Prime manifestazioni e origini primordiali della capacità creativa del bambino. Creatività primaria si riferisce alla capacità determinante di vedere il mondo in modo creativo e di giocare. Il termine riguarda la creatività della vita quotidiana più che i procedimenti creativi di un genio o di un artista.
Il modello di base della capacità di avere esperienze creative è l’esperienza del bambino nel mondo oggettuale offerto da una madre sufficientemente buona. Il bambino a volte ha la sensazione che l’oggetto non sia stato posto là dov’è ma di esserne lui il creatore.
Questa illusione primitiva, non discussa, precede gli stati successivi più complessi del Sé che coinvolgono il vero gioco e l’uso di modalità soggettive di esperienza, ossia la capacità di sospendere l’incredulità. Con il concetto di creatività primaria, Winnicott descrive gli inizi di una linea evolutiva.
Gioco
Winnicott si inserisce nella tradizione di coloro i quali mettono in relazione il gioco con il processo creativo, come per esempio Schiller, Groos, Rank, Hutzinga, Callois e Bruner.
Il gioco libero (e i giochi non dominati da regole) ampliano il dialogo tra il lattante e la madre mediante l’uso di giocattoli od oggetti, derivati di oggetti transizionali e fenomeni creati in uno spazio metaforico, potenziale, e con cui si gioca.
Winnicott perciò impiega il termine gioco in senso progressivo, creativo, evolutivo. Man mano che il vero Sé (la disposizione ereditata del neonato) si evolve attraverso gesti spontanei, il gioco diviene un mezzo di espressione ed elaborazione di questo vero Sé.
Il gioco è il “lavoro” dell’infanzia, e per alcuni diventa il lavoro della psicoterapia. A livello ottimale, è un’attività dell’Io solo minimamente investita di energia libidica o aggressiva. Il gioco avviene non soltanto nello spazio potenziale tra bambino e madre, ma anche in quello tra terapista e paziente.
Se la psicoterapia si svolge nell’intervallo tra due aree di gioco, quella del paziente e quella dell’analista, l’associazione libera e l’interpretazione analitica costituiscono un gioco di due soggettività, per facilitare l’articolazione del vero Sé del paziente.
Vi è una stretta relazione tra simboli ludici e simboli onirici. Questo concetto di gioco è facilmente estensibile allo sviluppo del linguaggio e al campo dei giochi di parole.
Holding
Funzione di sostegno della madre che organizza un ambiente confortevole di cui il bambino dipendente ha bisogno. Holding si riferisce all’abilità naturale e alla costanza di cura della madre sufficientemente buona. Mediante questo sostegno, il bambino prova un senso di onnipotenza che Winnicott considera una caratteristica essenziale e normale dello sviluppo di un bambino sano.
Dà la sicurezza sufficiente affinché dopo un po’ di tempo il bambino riesca a tollerare l’inevitabile mancanza di empatia che determina rabbia e terrore quando viene persa la holding. Holding o madre ambientale si differenzia dalla madre oggettuale di Winnicott, che dà a entrambe le parti soddisfazione dell’Es diretta all’oggetto quando le relazioni oggettuali e l’organizzazione dell’Io del bambino sono sufficientemente sviluppate.
L’ambiente di sostegno deve preparare il bambino alle fasi successive e alle esperienze di separazione che necessariamente comportano. Il concetto di ambiente di sostegno è stato anche impiegato da Winnicott, Modell e altri per concettualizzare la continuità aspecifica, di sostegno garantita dall’analista e dalla situazione analitica.
La regolarità delle visite, i rituali di entrare e uscire, l’empatia latente, la stabilità della voce e la continuità stessa degli oggetti, degli spazi e delle superfici dello studio analitico contribuiscono tutti a una holding metaforica che aiuta a contenere i turbamenti che si verificano nel corso di un trattamento significativo.
- Winnicott, Donald W. (Autore)
Madre sufficientemente buona
Designazione impiegata per indicare una madre che offre un ambiente di sostegno (holding) con una dose ottimale di costanza e comfort per il bambino, che dipende completamente da lei. Questa madre risponde alle esigenze simbiotiche del bambino, contribuendo in tal modo a formare il suo Sé corporeo “gesturale” e ponendo le basi per amare un oggetto in maniera cordiale, attiva.
Essa offre al “momento giusto”, anziché imporre i suoi tempi e i suoi bisogni. Poi, quando il bambino deve affrontare la frustrazione, l’aggressività e la perdita, lei dà sostegno nel contesto di un’empatia di base permanente e della holding (funzione di sostegno).
Questi attributi le consentono di rispondere alle esigenze onnipotenti del bambino senza doverle sfidare apertamente, di modo che il bambino abbia un contesto umano gratificante per un senso soggettivo del proprio essere, della propria espressione e della propria creatività. La madre è “sufficientemente buona” a seconda del suo senso personale e naturale di essere madre, e Winnicott sottolinea che questo processo spontaneo non può essere appreso dai manuali del bravo genitore.
Presto, tuttavia, l’adattamento della madre al bambino diminuisce. Le lacune del suo adattamento gradualmente insegnano al bambino che non è onnipotente, come gli insegna anche lo sviluppo psicomotorio, che lo separa dalla madre e come anche l’incapacità di far fronte alla situazione gli insegna.
Mentre il bambino perde l’esperienza dell’onnipotenza, acquisisce un senso dell’avventura e un uso aggressivo indifferenziato del mondo oggettuale.
Oggetto precursore
Oggetti inanimati offerti dalla madre, o parti del corpo del bambino o della madre, che il bambino mette in bocca e usa per consolazione. Termine suggerito inizialmente da Winnicott ma descritto nella letteratura da Renata Gaddini (1978).
Il bambino può utilizzare in questo modo la lingua, i capelli, le dita, la mano, il ciuccio o il biberon. Renata Gaddini ha distinto il primo “oggetto precursore in bocca” (per esempio il ciuccio) dal successivo “oggetto precursore a contatto con la pelle e a sensazione tattile” (per esempio un orsacchiotto).
Quest’ultimo serve da progenitore funzionale dell’oggetto transizionale. Nel corso di uno sviluppo sano, l’oggetto in bocca viene gradualmente abbandonato a favore dell’oggetto tattile, che diviene l’oggetto transizionale.
I disturbi dello sviluppo che riguardano l’oggetto precursore comprendono in certi casi difficoltà psicosomatiche molto precoci, come coliche infantili, asma infantile e ruminazione.
Ciò indica che la fase presimbolica, sensorialemotoria, psicosomatica, durante la quale vengono utilizzati questi oggetti determina il livello di patologia che circonda una certa difficoltà evolutiva che coinvolge questi oggetti.
Oggetto transizionale, Fenomeno transizionale
L’oggetto transizionale è la prima cosa “non-me” posseduta, qualcosa di inanimato ma tesaurizzato (solitamente un lenzuolino morbido o un giocattolo) che il bambino utilizza nel corso della separazione emozionale dall’oggetto primario di amore nei momenti di stress, spesso al momento di dormire (Winnicott 1953).
Spesso l’oggetto transizionale deve avere un odore e un sentimento caratteristico che si ritiene faccia pensare alla madre. Mantiene l’illusione della madre consolante e confortante quando la madre non è a disposizione; promuove l’autonomia del bambino perché l’oggetto transizionale è sotto il suo controllo, mentre la madre no.
L’oggetto originario viene abbandonato all’età di due-quattro anni, ma in certi casi, successivamente, certi giocattoli continuano a fornire un’azione di conforto. Winnicott diede una definizione più ampia dei fenomeni transizionali.
Comprende i suoni (i farfugliamenti e i canti del bambino quando va a dormire) e gli oggetti materiali che non sono riconosciuti come del tutto appartenenti alla realtà esterna. Per spostamento dagli oggetti d’amore originari, questi suoni od oggetti nella vita successiva fungono da sostituti materni provvisori, sovrainvestiti e sovrasimbolizzati.
Danno un senso di sufficienza del Sé e controbilanciano sensi di perdita oggettuale e di abbandono. Indicano il tentativo dell’Io di risolvere un dilemma nelle relazioni oggettuali, il bisogno di conservare l’illusione di una madre che ama, dà conforto e consolazine.
Quando la costanza e l’amore dell’oggetto instauratisi in precedenza vengono chiamati in causa, le qualità e le funzioni dell’Io e le voci e le attività specifiche a volte emergono come generalizzazioni di fenomeni dell’Io che nell’età dei primi passi erano incentrate sul possesso esclusivo di un lenzuolino o di un simile oggetto sovrainvestito. I derivati dell’oggetto transizionale originario possono essere osservati nella prima adolescenza (Downey 1978).
- Winnicott, Donald W. (Autore)
Lo stile di gioco, l’interesse per la musica, i vestiti, i film e l’immersione in varie attività creative “importanti” in rapido cambiamento possono costituire fenomeni di oggetti transizionali. Questi oggetti o esperienze evocano l’illusione di simbiosi con la madre in un periodo dello sviluppo in cui le rappresentazioni del Sé e degli oggetti sono separate e differenziate solo parzialmente.
Gli oggetti e i fenomeni transizionali vengono considerati sia “me” che “non-me” oppure, dal punto di vista opposto, sia “non me” che “non non me”. Sono cristallizzazioni di quello che potrebbe essere definito un processo transizionale (Rose 1978), che è un modo per indicare l’equilibrio dinamico tra un Sé relativo, fluido e una realtà in evoluzione.
Questo processo può anche essere considerato come interazione tra mondo interno ed esterno (l'” area intermedia” di Winnicott) e tra processo primario e secondario. Gli oggetti e i fenomeni transizionali sono le manifestazioni esterne di questo processo.
Possono in certi casi servire da organizzatori psichici (Metcalf e Spitz 1978) per il processo di separazione-individuazione; possono facilitare l’adattamento con la madre vissuta con ambivalenza; possono contribuire a delineare un confine tra il Sé e il mondo; e aiutare il sostegno di un’immagine corporea più fragile e di più facile regressione nei momenti di stress e di sonno.
Quando gli oggetti transizionali sono obbligatori, spesso in conseguenza a una madre non sufficientemente buona, assumono qualità feticistica. Non sono più facilitatori ambientali sani, ma “toppe” (Greenacre 1969-1970) all’Io, al Sé o all’immagine corporea.
Vi è tuttavia una controversia sul momento in cui un oggetto o un fenomeno transizionale diviene patologico. Alcuni limitano l’uso concettuale al periodo successivo all’ultima fase di separazione-individuazione della Mahler, verso la costanza del Sé e dell’oggetto. Se dopo questo periodo persistono oggetti e fenomeni transizionali, secondo questa opinione vanno considerati feticistici.
Il concetto winnicottiano è tuttavia più ampio; è difficile da valutare. Certamente molti ragazzi mantengono questi oggetti e fenomeni fino alla prima adolescenza. Ma il concetto non deve essere applicato in modo così generale da considerare transizionali persino gli oggetti simbolici.
Preoccupazione materna primaria
Stato della mente materna che comincia prima della nascita del bambino e continua per varie settimane dopo il parto, in cui la madre è molto concentrata sul neonato. La madre ignora il mondo esterno in una misura che, se non fosse per il bambino, sarebbe considerata di isolamento patologico.
Ma la preoccupazione materna è un isolamento adattativo, una “malattia sana” necessaria per consentire la facile transizione del neonato dallo stato prenatale al mondo esterno. La madre diviene una madre “holding” o “ambientale” che offre stabilità, costanza e un senso primordiale di “continuare a essere”.
Soddisfa non le pulsioni ma i bisogni poiché, secondo Winnicott, in questa fase dello sviluppo infantile le pulsioni non sono ancora un’entità organizzata.
Scarabocchi
Breve contatto terapeutico valutativo con i bambini escogitato da Winnicott. Il terapeuta traccia una semplice forma lineare e il bambino continua a disegnare. Il gioco, in cui si combinano aspetti ludici e dell’associazione libera, consente al bambino di stabilire liberamente se stesso in relazione con il terapeuta.
Il senso dell’interazione è reciprocamente costruttivo. Il gioco dello scarabocchio serve da modello per l’uso interpretativo delle immagini nell’analisi e nella psicoterapia infantile e adulta. Ciò è in armonia con un punto di vista costruttivista, evolutivo del procedimento psicoanalitico.
Spazio potenziale
Area ipotetica di creatività reciproca che si verifica tra il bambino e la madre. Per esempio, la madre presenta un oggetto al bambino al momento giusto, così che il bambino impiega l’oggetto per esprimersi nel proprio linguaggio soggettivo e migliora la sua comprensione delle qualità intrinseche degli oggetti.
Lo spazio tra bambino e madre è soltanto un’area potenziale, in quanto la sua disponibilità dipende dalla sufficiente bontà delle cure materne. Una volta instaurato e usato, questo spazio diviene una conquista generativa, intersoggettiva, interiorizzata dal bambino come attributo psichico, di modo che egli possa creare questa area potenziale tra sé e gli altri oggetti.
“All’interno” dello spazio potenziale, si verifica una interrelazione tra “interno” ed “esterno”; dapprima emergono gli oggetti transizionali e, dopo un ulteriore sviluppo e interiorizzazione, si materializza la capacità di gioco simbolico e di esperienza creativa ed estetica.
Altre discipline, come l’estetica, l’antropologia, la letteratura e il teatro, hanno trovato utile il concetto di spazio potenziale, sia come modello sia per la sua importanza evolutiva. I concetti come spazio virtuale, illusione teatrale, liminalità, la sospensione dell’incredulità, capacità negativa e correlativo oggettuale sono tutti stati raffrontati a certi aspetti dello spazio potenziale winnicottiano.
Vero Sé, Falso Sé
Concetti che hanno un significato particolare nella visione winnicottiana del primo sviluppo. Il vero Sé è il “potenziale ereditato” che costituisce il “nucleo” del bambino. Il suo continuo sviluppo e la sua definizione sono facilitati da una madre sufficientemente buona, che mette a disposizione un ambiente sano e una responsività significativa per il Sé sensorialemotorio, posturale del bambino molto piccolo.
La madre sufficientemente buona offre anche un’adeguata soddisfazione dell’Es una volta che le pulsioni sono organizzate come sistema funzionante. Il vero Sé sviluppa il proprio linguaggio grazie a una cura materna che sostiene il continuare a essere del bambino, consentendogli di generare una vita espressiva da un Sé nucleare autorizzato dal suo senso della realtà personale.
Winnicott considerava il vero Sé più prossimo alla espressività spontanea dell’Es, e le espressioni del vero Sé hanno lo stesso carattere effimero fenomenologico delle rappresentazioni istintuali. Il falso Sé, come l’Io, è una struttura operataiva stabile e ricorrente, continuamente operativa.
Winnicott si rese conto che certi individui hanno disturbi da falso Sé (un modo particolare di considerare il carattere schizoide) ma affermò ripetutamente che è normale anche questa divisione del Sé in vero e falso. Vero e falso si riferiscono dunque non a un ordine morale, ma a qualità delle esperienze Sé-altri che sostengono l’espressione spontanea (vero Sé) o il vivere reattivo (falso Sé).
Il falso Sé può indicare l’assenza di un vero Sé nascosto, segreto, solitamente in un individuo schizoide. Se la madre o il suo sostituto non sono in grado di far fronte al Sé “inconscio” sonsorialemotorio, gestuale del neonato e si impone, riflettendo non ciò che c’è ma ciò che sente la madre coinvolta nel Sé, nel bambino si forma un falso Sé. L’appercezione ha la meglio sulla percezione.
Ogni individuo ha un Sé sociale che corrisponde a una certa quantità di struttura del falso Sé ed è costruito su questa base. All’altro estremo di questo spettro è la persona che opera essenzialmente con un falso Sé, corrispondente a ciò che Helene Deutsch (1942) definiva la personalità “as-if”. Al falso Sé spesso è associata l’intellettualizzazione.
Articoli consigliati:
- Donald Winnicott. Il concetto di Illusione
- Analisi Bioenergetica di Alexander Lowen. I principi fondamentali
Bibliografia:
- “Dizionario di Psicoanalisi. Dell’American Psychoanalytic Association” Sperling & Kupfer
- “Psychoanalytic Terms and Concepts” by The American Psychoanalytic Association
Donald Winnicott. Libri più venduti online
Ecco i 3 libri di Donald Winnicott più venduti online, con informazioni sul prezzo e valutazione di chi li ha acquistati.
- Contattami via e-mail Scrivi qui >>
- LEGGI SOS Autostima >>