Molto tempo fa, nell’antica Grecia viveva un ragazzo, Narciso, figlio di Cefiso, divinità fluviale, e di Liriope, ninfa delle sorgenti. L’origine divina gli aveva donato un aspetto altrettanto divino.
Con i riccioli che gli scendevano sulla fronte e un fisico scolpito da anni di arrampicate sugli alberi e di corse sulle rocce a caccia di cervi e uccelli, Narciso fu presto circondato da una schiera di ammiratori. Dovunque tutti, giovani e vecchi, uomini e donne, si innamoravano di lui quasi all’istante.
Presto la sua fama andò al di là del mondo umano. Ogni volta che vagava nel folto delle foreste o lungo i fiumi che scorrevano vicino alla sua casa, Narciso era inevitabilmente seguito da una folla di ninfe degli alberi o delle acque, desiderose di godere della sua vista.
Narciso fece l’abitudine a tutta quell’ammirazione, ma non vi corrispose mai. Per quanto leggendaria potesse essere la sua bellezza, fu presto altrettanto famoso per la sua indifferenza. Uno dopo l’altro i potenziali amanti lo avvicinavano e uno dopo l’altro venivano allontanati.
Sembrava che pensasse di essere al di sopra della gentilezza o dell’amore, al di sopra del mondo comune degli esseri umani, al di sopra di tutti, persino degli dei.
Un giorno alla schiera dei suoi ammiratori andò ad aggiungersi Eco, ninfa delle montagne. Quando i raggi del sole penetrarono fra gli alberi della foresta, vide per un attimo Narciso che camminava per i boschi nella sua caccia quotidiana e il cuore le si infiammò immediatamente.
Senza riuscire a staccare gli occhi dalla sua figura, cominciò a seguirlo, dapprima con cautela, guardando in silenzio fra i rami e le foglie. Poi, travolta dalla passione, si fece più audace e cominciò a camminare rumorosamente sulle sue tracce. Presto Narciso ebbe la sensazione di essere seguito.
“Chi è là?” gridò. Eco cercò di rispondere, ma non aveva una voce propria, conseguenza di un’antica maledizione della dea Giunone (Eco l’aveva distratta una volta di troppo con le sue chiacchiere ininterrotte). Cercò di chiamarlo, ma riuscì soltanto a ripetere le sue parole. “Chi è là?” rispose triste.
“Vieni subito fuori!” comandò lui. “Subito fuori,” rispose lei fra le lacrime. Irritato, sentendosi preso in giro, Narciso urlò. “Fatti vedere!” “Vedere!” gridò Eco, saltando fuori da dietro gli alberi. E gli si avvicinò, gettandogli le braccia al collo. Ma il cuore di Narciso rimase gelido. “Vattene!” le gridò. Poi, mentre se ne fuggiva, le urlò crudelmente girando la testa: “Morirei piuttosto che amarti!”.
“Amarti!” gli rispose di rimando Eco, singhiozzando. Umiliata e col cuore spezzato, scomparve nel folto del bosco. Da quel momento non volle più muoversi, smise di mangiare e di bere e il suo corpo lentamente svanì: rimase solo la sua voce.
Gli dei intanto si stavano irritando per i danni che Narciso lasciava sempre alle sue spalle. Un uomo, Aminia, era rimasto così disperato quando Narciso aveva respinto le sue profferte, da trafiggersi con la propria spada: prima di compiere quel gesto estremo, però, aveva elevato una preghiera a Nemesi, dea della vendetta.
La dea lo aveva ascoltato e aveva lanciato una maledizione adatta alla crudeltà di cui era stata testimone: anche Narciso avrebbe conosciuto la sofferenza dell’amore non ricambiato.
Pochi giorni più tardi, un pomeriggio, mentre passeggiava per i boschi che amava, Narciso giunse a una sorgente di acqua fresca e limpida, così stranamente ferma da sembrare uno specchio. Assetato per la camminata, si inginocchiò per bere e, così facendo, colse il riflesso del suo bel viso.
Annebbiato dalla maledizione di Nemesi, non si rese conto che stava guardando se stesso. Il cuore gli martellava nel petto: non aveva mai provato un sentimento come quello, la profondità del desiderio, la pura gioia di essere alla presenza di una persona. Forse questo è amore, pensò.
“Vieni da me!” gridò. Silenzio. “Perché non mi rispondi?” urlò guardando il suo riflesso. “Non mi vuoi anche tu?” Si piegò per baciare l’acqua e il volto riflesso, per un attimo, sembrò scomparire dalla vista.
“Ritorna!”
Cercò di avvicinarsi di nuovo a quell’uomo, di toccarlo, di sentire il suo abbraccio. Ma ogni volta il volto sembrava allontanarsi e scomparire nelle acque immobili della fonte. Passarono le ore, poi i giorni, finché Narciso si alzò e si scosse di dosso la polvere. Finalmente sapeva che cosa doveva fare.
“Verrò io da te!” disse all’acqua. “Così potremo stare insieme!”Si tuffò nell’acqua e scese nell’oscurità, sempre più in fondo, e scomparve dalla vista, per non riaffiorare mai più.
Qualche istante dopo, al bordo della fonte, spuntò un fiore bellissimo, una corolla di petali bianchi che faceva da corona a una paracorolla centrale di un giallo acceso. Il fiore era chino sulla fonte e guardava ininterrottamente le acque sotto di sé.
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