O. Henry (1862 – 1910), è stato uno scrittore statunitense. I 400 racconti da lui scritti sono celebri per essere ricchi di spirito e giochi di parole, e per il sapiente uso dei finali a sorpresa.
Fu soprannominato “La risposta americana a Guy de Maupassant”. Entrambi gli autori scrivevano finali a sorpresa, ma i racconti scritti da O. Henry erano più allegri e ottimisti.
La maggior parte dei suoi racconti è ambientata nella sua contemporaneità, ovvero i primi anni del XX secolo. Molti si svolgono a New York ma i loro protagonisti sono persone comuni: commessi, poliziotti, camerieri. Sono noti anche per il loro taglio umoristico.
Il Premio O. Henry è un prestigioso premio letterario annuale, l’unico riservato a racconti di grande qualità.
L’ultima foglia. Un racconto di O. Henry
In un piccolo quartiere a ovest di Washington Square le strade sono impazzite e si sono spezzate in brevi tratti chiamati places. Questi places sono tortuosi e curvano con angoli bizzarri; una via può incrociare se stessa in uno o anche due punti. Una volta un artista scoprì una preziosa opportunità: immaginate un creditore con dei soldi da riscuotere per colori, tele e carta che, attraversando questo quartiere, si ritrova al punto di partenza senza essere riuscito a incassare neppure un centesimo!
Fu così che ben presto il caratteristico Greenwich Village diventò meta ambita di artisti alla ricerca di finestre affacciate a nord, tetti spioventi, mansarde del Diciottesimo secolo e affitti convenienti. A quel punto importarono boccali in peltro e qualche piatto scheggiato dalla Sesta Avenue e costituirono una «colonia».
Sue e Johnsy avevano il loro studio al terzo e ultimo piano di un basso edificio di mattoni. «Johnsy» era il soprannome di Joanna. L’una veniva dal Maine, l’altra dalla California. Si erano conosciute al tavolo del ristorante Delmonico’s sulla Ottava Strada e, conquistate dalla comune passione per l’arte, la cicoria e le maniche a sbuffo, avevano finito per fondare uno studio insieme.
Questo a maggio. A novembre, un freddo e invisibile forestiero che i medici chiamavano polmonite comparve nella colonia, sfiorando questo e quello con le sue dita di ghiaccio. Il flagello avanzò con passo baldanzoso nella parte orientale, mietendo le sue vittime a dozzine, ma fu costretto a rallentare nel dedalo di angusti places ricoperti di muschio.
Mr. Polmonite era tutt’altro che un vecchio gentiluomo galante. Uno scricciolo di ragazza con il sangue viziato dagli zefiri californiani non era certo all’altezza di un vecchio inetto dalle mani arrossate e il fiato corto. Ma decise di colpire proprio Johnsy che, costretta nel suo letto in ferro battuto, del tutto priva di forze, non riusciva a far altro che guardare oltre i vetri dell’abbaino il muro di mattoni della casa accanto.
Una mattina l’indaffarato dottore invitò Sue a uscire in corridoio con un cenno dell’ispido sopracciglio brizzolato.
«Diciamo che ha una possibilità su dieci di cavarsela» le comunicò mentre scuoteva il termometro al mercurio per azzerarlo. «E questa possibilità dipende dalla sua voglia di vivere. La mania della gente di fare la coda davanti alle pompe funebri mette in ridicolo l’intera farmacopea. La vostra piccola amica si è messa in testa che non guarirà. C’è qualcosa che le piacerebbe fare?»
«Lei… voleva dipingere il Golfo di Napoli prima o poi» rispose Sue.
«Dipingere? Bah! C’è qualcosa a cui tiene veramente… magari un uomo?»
«Un uomo?» ripeté Sue con voce strozzata. «Un uomo capace di… No, dottore; non c’è nessuno del genere.»
«Allora si terrà la fiacchezza» rispose il dottore. «Nei limiti delle mie capacità, farò tutto ciò che la scienza mi consente. Ma allorché un mio paziente comincia a contare i carri venuti per il suo funerale, sottraggo il 50 per cento di potere curativo dalle medicine. Se riuscirà a spingerla a chiedere come andranno di moda le maniche dei cappotti l’inverno prossimo, le prometto una possibilità di guarigione su cinque anziché una su dieci.»
Dopo che il dottore fu uscito, Sue andò nel laboratorio e pianse riducendo in poltiglia un fazzoletto di carta di riso. Poi barcollò fino alla camera di Johnsy con il cavalletto da disegno, fischiettando un motivetto sincopato.
Johnsy era sdraiata a letto con la faccia rivolta verso la finestra. Il suo corpo sollevava impercettibilmente le lenzuola. Sue smise di fischiare, pensando che dormisse.
Sistemò il cavalletto e cominciò lo schizzo di un’illustrazione a china per una rivista. I giovani artisti dovevano lastricare la loro strada verso l’arte illustrando storie per i giornali che i giovani autori scrivevano per lastricarsi la strada verso la letteratura.
Mentre disegnava un paio di eleganti calzoni da equitazione e un monocolo per la figura del protagonista, un cowboy dell’Idaho, Sue udì un mormorio lieve e si precipitò verso il letto.
Johnsy con gli occhi sbarrati fissava fuori dalla finestra e contava alla rovescia.
«Dodici» disse, e poco dopo, «undici», e poi, «dieci», «nove», «otto», «sette» quasi contemporaneamente.
Sue spostò immediatamente lo sguardo oltre i vetri. Che cosa c’era da contare? La finestra incorniciava uno squallido cortile vuoto e la parete di mattoni, senza finestre, della casa a qualche metro di distanza. Una pianta vecchissima di edera velenosa, contorta e consumata alle radici, risaliva fino a metà del muro. L’alito freddo dell’autunno le aveva strappato quasi tutte le foglie, lasciando i rami scheletriti e ormai nudi avvinghiati ai mattoni sfarinati.
«Che cosa c’è, cara?» chiese Sue.
«Sei» sussurrò Johnsy. «Stanno cadendo più rapidamente ora. Tre giorni fa erano quasi un centinaio. Mi faceva male la testa a contarle. Ma ora è più facile. Ecco un’altra che se ne va. Ne rimangono solo cinque.»
«Cinque di che cosa, cara? Dillo alla tua Sudie.»
«Foglie. Sul rampicante. Quando cadrà anche l’ultima, dovrò andarmene. L’ho saputo tre giorni fa. Il dottore non te lo ha detto?»
«Oh, non ho mai sentito una sciocchezza simile» protestò Sue con solenne disprezzo. «Che cosa c’entrano le foglie di una vecchia edera con la tua guarigione? E poi ti piaceva così tanto quel rampicante. Non essere sciocca. Il dottore mi ha detto stamattina che le tue possibilità di guarire in fretta sono – aspetta che ti ripeto le sue esatte parole – ha detto che sono di dieci a uno! In pratica la possibilità che tu muoia è quasi uguale a quando giriamo per New York con l’omnibus, oppure quando passiamo sotto un edificio in costruzione.
Ora cerca di mandar giù un po’ di brodo e lascia lavorare la tua Sudie, che così potrà vendere il suo disegno all’editore e comprare del porto per la sua bimba malata e delle bistecche per sé.»
«Non occorre che compri altro vino» disse Johnsy, gli occhi fissi sul rampicante. «Eccone un’altra che cade. No, non voglio del brodo. Ne mancano solo quattro. Voglio vedere l’ultima cadere prima che faccia buio. Poi me ne andrò anch’io.»
«Johnsy, tesoro» sospirò Sue chinandosi su di lei. «Mi prometti che terrai gli occhi chiusi e non guarderai fuori dalla finestra finché non avrò finito il mio disegno? Devo consegnare il lavoro entro domani. Ho bisogno di luce, altrimenti abbasserò la tapparella.»
«Perché non vai a disegnare nell’altra stanza?» chiese Johnsy con distacco. «Preferisco stare qui con te» rispose Sue. «E poi non voglio che continui a guardare quelle stupide foglie di edera.»
«Avvisami quando avrai finito» disse Johnsy chiudendo gli occhi e restando immobile e bianca come una statua caduta. «Perché voglio veder cadere l’ultima foglia. Sono stanca di aspettare. Sono stanca di pensare. Voglio staccarmi da tutto e fluttuare verso il basso, come una di quelle povere foglie stanche.»
«Cerca di dormire» disse Sue. «Devo andare a chiamare Behrman perché mi faccia da modello per il minatore eremita. Farò in fretta. Non muoverti finché non torno.»
Il vecchio Behrman era un pittore che abitava al pianterreno sotto di loro. Aveva superato la sessantina e aveva una barba simile a quella di Michelangelo che gli scendeva ondulata dalla testa di satiro; il corpo era quello di un folletto. Behrman valeva poco come artista. Per quarant’anni aveva maneggiato il pennello senza mai avvicinarsi neppure a sfiorare l’orlo della veste della sua musa. Era sempre stato in procinto di dipingere un capolavoro, ma non l’aveva mai neppure cominciato.
In tantissimi anni aveva realizzato di tanto in tanto solo qualche crosta in ambito commerciale o pubblicitario. Si guadagnava qualche soldo posando come modello per quei giovani artisti della colonia che non potevano permettersi di pagare un professionista; beveva troppo gin e continuava a parlare del suo imminente capolavoro. Per il resto era un vecchietto feroce, che si risentiva terribilmente a ogni gesto gentile e che si considerava investito del ruolo di mastino da guardia a protezione delle due giovani artiste che vivevano nello studio di sopra.
Sue trovò Behrman nella stanza semibuia del piano di sotto. Addosso aveva un intenso odore di bacche di ginepro. In un angolo c’era una tela bianca su un cavalletto che aspettava da venticinque anni di ricevere la prima pennellata del capolavoro. Sue gli raccontò della fissazione di Johnsy e di come temesse che, lei stessa fragile e leggera come una foglia, potesse davvero volare via quando il suo esile appiglio alla vita fosse mancato.
Il vecchio Behrman, con gli occhi rossi che lacrimavano copiosi, manifestò a gran voce il proprio disprezzo e la propria derisione per certe assurde convinzioni.
«Cosa?» esclamò. «Esistono persone al mondo così stupide da morire perché le foglie cadono da un vecchio rampicante? Non avevo mai sentito nulla del genere. No, non farò da modello per la tua stupida testa di legno solitaria. Ma perché le hai inculcato simili idiozie? Ah, povera piccola Miss Johnsy.»
«È molto debole e malata» disse Sue «e la febbre le ha riempito la testa di strane fantasie. Molto bene, Mr. Behrman, se non vuole posare per me, non occorre che lo faccia. Ma io la considero un vecchio e orripilante bisbetico.»
«Sei proprio una donna!» urlò Behrman. «Chi ha detto che non poserò? Avanti, vengo con te. È mezz’ora che sto cercando di dirti che sono pronto a posare. Santissimo Iddio! Questo non è un posto dove una brava persona come Miss Johnsy può ammalarsi. Un giorno dipingerò un capolavoro e ce ne andremo di qui, per Dio!»
Quando arrivarono, Johnsy dormiva. Sue abbassò la tapparella fino al davanzale e fece segno a Behrman di andare nell’altra stanza. Qui si misero a fissare trepidanti l’edera fuori dalla finestra. Poi si scambiarono un’occhiata senza parlare. Cadeva una pioggia mista a neve, fredda e insistente. Behrman, con la sua vecchia camicia azzurra, prese posto come minatore eremita su un bollitore rovesciato che fungeva da roccia.
Quando Sue si svegliò dopo un’ora di sonno il mattino seguente, trovò Johnsy che fissava la tapparella verde con gli occhi spenti e sgranati.
«Tirala su, voglio vedere» ordinò in un sussurro. Sue obbedì stancamente.
Ma, miracolo! Dopo la pioggia battente e le violente raffiche di vento che avevano imperversato per tutta la notte, c’era ancora una foglia attaccata al muro. Era l’ultima. Ancora verde vicino al picciolo, ma con le punte già ingiallite dalla dissoluzione e dal disfacimento, resisteva tenacemente attaccata al ramo a circa tre metri da terra.
«È l’ultima» disse Johnsy. «Credevo che sarebbe caduta durante la notte. Ho sentito il vento. Cadrà oggi e io morirò nel medesimo istante.»
«Su, su cara!» disse Sue avvicinando il viso emaciato al cuscino. «Pensa a me, se non vuoi pensare a te stessa. Che cosa farei?»
- Editore: Mattioli 1885
- Autore: O. Henry , Silvia Lumaca
- Collana: Experience Light
- Formato: Libro in brossura
- Anno: 2020
Johnsy non rispose. La creatura più solitaria al mondo è un’anima che si prepara ad affrontare il suo lungo viaggio misterioso. Questa fantasia sembrava impossessarsi sempre più di lei, man mano che i legami di amicizia si scioglievano.
Il giorno trascorse lento, e giunto il tramonto la foglia solitaria era sempre avvinghiata al muro. Poi, al calar della notte, il vento del nord si alzò nuovamente mentre la pioggia scrosciava contro le finestre e gocciolava dalle tegole.
Quando tornò abbastanza luce, Johnsy, spietata, ordinò di alzare la tapparella.
La foglia era sempre lì.
Johnsy rimase a guardarla a lungo. Poi chiamò Sue, che le stava preparando del brodo di pollo sul fornello.
«Sono stata cattiva, Sudie» le disse. «Qualcosa ha conservato quell’ultima foglia per dimostrarmi la mia malvagità. È un peccato desiderare la morte. Ora portami un po’ di brodo e del latte con un goccio di porto e… No, portami prima uno specchio e dei cuscini, così posso mettermi a sedere e guardarti cucinare.»
Un’ora più tardi disse: «Sudie, un giorno spero di dipingere il Golfo di Napoli».
Il dottore arrivò quel pomeriggio e Sue, con una scusa, lo seguì in corridoio mentre se ne andava.
«Ci sono buone probabilità» disse il dottore prendendo la mano esile e tremante di Sue nella propria. «Se la curerà amorevolmente, ce la farà. Ora devo occuparmi di un altro caso al pianterreno. Si chiama Behrman, credo sia una specie di artista. Anche lui è affetto da polmonite, ma è vecchio e debole, e l’attacco è acuto. Non c’è speranza per lui; oggi però lo ricoverano all’ospedale per assicurargli maggior conforto.»
Il giorno dopo il dottore disse a Sue: «La sua amica è fuori pericolo. Ha vinto. Ora deve mangiare e stare riguardata. Nient’altro».
Quel pomeriggio Sue andò al capezzale di Johnsy, che stava intrecciando uno scialle di lana molto azzurro e molto inutile e l’abbracciò, cuscini e tutto.
«Devo dirti una cosa, topina bianca» le disse. «Oggi Mr. Behrman è morto di polmonite all’ospedale. È stato malato solo due giorni. Il padrone di casa l’ha trovato in camera sua la mattina del primo giorno, in preda a lancinanti dolori. Aveva scarpe e vestiti fradici e gelati. Nessuno riusciva a capire dove potesse essere andato di notte con quel tempaccio. Poi hanno trovato una lanterna, ancora accesa, e una scala che era stata spostata, dei pennelli sparsi e una tavolozza con verde e giallo mescolati e – cara, guarda fuori dalla finestra, l’ultima foglia sul muro. Non ti sei mai chiesta come mai non ondeggiasse neppure quando soffiava il vento? Ah, tesoro, è il capolavoro di Behrman. L’ha dipinta lui la notte in cui è caduta l’ultima foglia.»
O. Henry
Articoli consigliati:
- 25 Storie brevi per la Crescita Personale
- 10 Racconti Brevi che contengono lezioni preziose
- 10 Migliori libri di Storytelling per comunicare attraverso racconti
O. Henry. Libri più venduti online
Ecco i 3 libri di O. Henry più venduti online, con informazioni sul prezzo e valutazione di chi li ha acquistati.
- Contattami via e-mail Scrivi qui >>
- LEGGI SOS Autostima >>