Last Updated on 6 Giugno 2020 by Samuele Corona
La diva del cinema Marilyn Monroe fu ininterrottamente in analisi dall’età di 28 anni sino alla sua morte.
L’infanzia della Monroe non fu una tra le più felici. Con una madre spesso ricoverata in ospedale psichiatrico, passò dall’affidamento all’orfanotrofio, fu costretta ad interrompere la scuola e si sposò per ragioni economiche.
La nonna materna di Marilyn aveva sofferto di psicosi maniaco-depressiva e morì in manicomio, come era morto in manicomio il suo primo marito. Il bisnonno di Marilyn era morto suicida.
Marilyn si rivolse a ben cinque psicoanalisti di grido: Margaret Herz Hohenberg, Anna Freud, Marianne Kris, Ralph S. Greenson e Milton Wexler (che sostituì Greenson per un periodo). La psicoanalisi era di moda nella Hollywood degli anni ’50 ed esercitava un’influenza profonda nel mondo del cinema, così molti registi, attori, produttori e sceneggiatori erano sotto analisi.
Marilyn si avvicinò alla psicoanalisi nel 1951 con il dottor Abraham Gottesman presso una clinica di Los Angeles, ma fu nel febbraio 1955 (l’attrice si trovava a New York da due mesi) che Milton H. Greene, fotografo delle celebrità e suo socio in affari le suggerì di rivolgersi alla psicoanalista Margaret Herz Hohenberg.
- Badman, Keith(Autore)
Marilyn Monroe iniziò quindi a frequentare lo studio della psicoanalista cinque giorni alla settimana. La dottoressa la riportò ai traumi infantili, la mise di fronte alla depressione e all’ansia che la tormentavano in quel periodo e le ricordò che aveva avuto una madre schizofrenica e rapporti fallimentari con l’altro sesso.
DA Gli ultimi giorni di Marilyn Monroe:
“Era chiaro che questo genere di terapia non faceva per lei; anzi, le sconvolse completamente la vita. I fatti parlano da soli: prima di entrare in analisi, Marilyn recitò in ventisette film nel giro di otto anni; dopo, in quello stesso arco di tempo ne realizzò solamente sei.
Nei ventiquattro mesi seguenti la sua personalità venne smontata pezzo per pezzo e riassemblata. La dottoressa Hohenberg analizzava i suoi sogni, la coinvolgeva in giochi di libere associazioni e, per alleviare l’intensa sofferenza emotiva e il potente, soverchiante senso di disperazione che la affliggevano, le prescriveva dosi sempre più pesanti di barbiturici. L’attrice iniziò a rimettere in discussione, uno dopo l’altro, tutti gli aspetti della propria vita”.
Marilyn prese a consumare quantità sempre maggiori di farmaci (eccitanti per tenersi su durante la giornata e calmanti per combattere l’insonnia la sera) e alcolici: una combinazione potenzialmente catastrofica per una persona piena di ansie e probabilmente affetta da sindrome maniaco-depressiva.
Marilyn incontra Anna Freud
Nel 1956 dovette trasferirsi a Londra per girare il film Il principe e la ballerina, il suo matrimonio con lo scrittore Arthur Miller era in crisi e inizia una storia d’amore con John F. Kennedy, il futuro presidente degli Stati Uniti. I ritardi, le disattenzioni e gli sbalzi d’umore dell’attrice misero in crisi le riprese del film, così Margaret Hohenberg le consigliò di continuare la psicoanalisi a Londra, da Anna Freud, celebre figlia di Sigmund.
Marilyn Monroe incontra Anna Freud nella celebre casa/studio del fondatore della psicoanalisi, al numero 20 di Maresfield Gardens.
L’archivio di Anna Freud conserva la cartella clinica di Marilyn Monroe:
“Emotivamente instabile, fortemente impulsiva, bisognosa di continue approvazioni da parte del mondo esterno; non sopporta la solitudine, tende a deprimersi davanti ai rifiuti; paranoide con tratti schizofrenici”.
Dallo stesso archivio risulta pure che Marilyn fosse stata sottoposta ad uno strano test “delle biglie di vetro”. Anna Freud disponeva delle biglie su un tavolo davanti a Marilyn e le chiedeva di muoverle. Lei spostò le biglie una dopo l’altra in direzione di Anna, così la Freud annotò la sua interpretazione: “desiderio di contatto sessuale”.
Terminate le riprese a Londra, Anna Freud suggerì a Marylin Monroe di continuare l’analisi, una volta rientrata a New York, con una nuova analista: Marianne Rie Kris.
La Kris era stata una compagna di giochi d’infanzia di Anna Freud e aveva completato la propria analisi con Sigmund Freud in persona.
Il ricovero di Marilyn tra “i grandi disturbati”
Nel 1957 a New York Marilyn Monroe riprese la psicoanalisi cinque volte la settimana. La Kris aveva lo studio sotto casa di Lee Strasberg, il maestro dal quale, dopo ognuna delle cinque sedute settimanali, Marilyn saliva per trasformare in recitazione i contenuti emotivi.
3 anni dopo Marilyn Monroe iniziò ad andare da un quarto psicoanalista, il famoso Ralph Greenson “amico” dei Kennedy, specializzato in divi dello spettacolo, tra i suoi pazienti famosi: Vivien Leigh, Tony Curtis e Frank Sinatra.
Nel 1960 la Monroe frequentava due psicoanalisti: quando stava a Hollywood andava da Greenson, mentre quando era a New York continuava ad andare da Marianne Kris.
Nel 1961, la relazione con la Kris si interruppe bruscamente, e nel peggiore dei modi. La psicoanalista suggerì alla sua paziente di farsi ricoverare in una clinica. Joe Di Maggio, leggenda del baseball ed ex marito di Marilyn, si disse d’accordo. Fidandosi dell’ex marito e credendo di doversi sottoporre ad un semplice controllo e a un periodo di riposo, accettò.
Nel febbraio del 1961, Marilyn varcò la soglia della clinica psichiatrica Payne-Whitney, a Manhattan, presso il Cornell Medical Center: una casa di cura nota come “il manicomio dei ricconi”. Quando fu condotta in una stanzetta bianca con le pareti imbottite, completamente spoglia e priva di ogni comfort, capì di non essere lì per una pausa di riposo.
Disperati furono gli appelli e le suppliche per fuggire da quell’inferno e la notizia del ricovero”detenzione”raggiunse tutti i quotidiani nazionali.
Fu solo grazie all’intervento di Joe Di Maggio, che si presentò personalmente in ospedale minacciando di distruggerlo, se Marilyn fu dimessa. Dopo una concitata consultazione con la dottoressa Kris e la dirigenza dell’ospedale, che non riusciva a contenere Di Maggio, Marylin Monroe fu libera di uscire.
La dottoressa Marianne Kris ben presto si rese conto di aver commesso un grave errore professionale, e in una sua dichiarazione tremava spaventata e chiedendo scusa ripeteva: “Ho fatto una cosa terribile, davvero terribile. Oh, buon Dio, non volevo farlo, proprio non volevo, ma l’ho fatto”.
- Mecacci, Luciano(Autore)
Gli ultimi anni di vita
Marilyn si trasferì a Hollywood, dove continuò l’analisi con Ralph S. Greenson.
L’entusiasmo dell’attrice fu enorme.
DA Le psicoterapie (Farsi un’idea):
“ La sua governante descrive così il racconto che le fece: Lena, Lena, l’ho finalmente trovato. Mi sono trovata un Gesù. Sì, Lena. Io lo chiamo Gesù. Per me fa delle cose meravigliose… Mi infonde coraggio. Mi rende intelligente, mi fa pensare. Con lui posso affrontare qualsiasi cosa. Non sono più impaurita. Ora, nulla mi preoccupa. Sono così contenta”.
Con Greenson le sedute si fecero sempre più frequenti (non solo una al giorno, anche due volte al giorno) e Marilyn divenne un’ospite fissa della famiglia Greenson: si fermava a pranzo, aiutava la signora Greenson a lavare i piatti, insegnava alla figlia a truccarsi ed a ballare il twist.
Greenson violò praticamente tutte le regole deontologiche degli psicoanalisti e si giustificò affermando che offrire a Marilyn un esempio di quel calore di famiglia normale, che le era mancato avrebbe giovato all’analisi.
DA Il caso Marilyn M. e altri disastri della psicoanalisi:
A Hollywood, continuò la terapia con Greenson (due volte al giorno, più ore di telefonate) che diventò un membro di famiglia, intromettendosi nelle scelte personali dell’attrice: inibì, infatti, la relazione di Marilyn con Frank Sinatra, altro suo paziente, e le fece assumere come governante Eunice Murray, già moglie di John M. Murray, analista di Anton Kris, figlio di Marianne. Insomma, una rete di psicoanalisti del “potere” nella quale la povera Norma Jean Baker, nome originario dell’attrice più sexy e più fragile di Hollywood, si trovò intrappolata…”
DA : Illusioni e disillusioni del lavoro psicoanalitico
Marilyn era stata in terapia con Greenson per 30 mesi (circa due anni e mezzo) ed “era di dominio pubblico che Greenson non si limitava a praticare una psicoanalisi classica: vigilava anche che lei rispettasse gli impegni professionali, che fosse puntuale sul set, ne controllava gli psicofarmaci e aveva assoldato Eunice Murray, un misto di guardia del corpo, infermiera e spia autorizzata, per somministrarle le droghe, sorvegliarla ecc.”
Il 5 agosto 1962 Marilyn Monroe fu trovata morta, nuda sul letto, il telefono in mano, un flacone di barbiturici sul comodino. Angosciato dalla morte di Marilyn, Greenson cominciò a saltare gli appuntamenti con i propri pazienti, a piangere durante le sedute, e in preda alla depressione dovette ricorrere a sua volta alle cure di un analista.
Anna Freud gli scrisse parole d’incoraggiamento:
“Uno s’interroga sempre per capire dove avrebbe potuto fare meglio e una cosa del genere lascia un tremendo senso di sconfitta. Ma, sa, penso che in questi casi siamo davvero sconfitti da qualcosa che è più forte di noi e per la quale l’analisi, con tutti i suoi poteri, è un’arma troppo debole”.
Secondo Andrè Green, psicanalista francese allievo di Jacques Lacan: “Marilyn era forse, anzi senza dubbio, al di sopra delle risorse della psicoanalisi”.
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Bibliografia
- “Illusioni e disillusioni del lavoro psicoanalitico” di Andrè Green
- “Le psicoterapie (Farsi un’idea)” di Ezio Sanavio
- “Gli ultimi giorni di Marilyn Monroe” di Keith Badman
- “Il caso Marilyn M. e altri disastri della psicoanalisi” di Luciano Mecacci
È interessante notare come i casi che ingaggiano l’analista in un analisi interminabile – come quello di Marylin – e che la Zatzel avrebbe definito come “inanalizzabili” sono , a conti fatti, quelli che più facilmente mettono allo scoperto i nuclei fragili e inanalizzati dello psicoanalista
Grazie per il tuo commento, Paolo.