Sigmund Freud nacque a Freiberg, in Moravia, nel 1856, e morì a Londra, nel 1939. La sua scuola di pensiero è stata denominata psicoanalisi.
Freud ha compiuto gli studi liceali ed universitari a Vienna, dove si è trasferito all’età di quattro anni con tutta la famiglia. Dopo la laurea in medicina nel 1881 lavorò nel laboratorio del fisiologo Buercke, poi nell’ospedale generale di Vienna con lo psichiatra Meynert, ottenendo nel 1885 la libera docenza in neuropatologia.
Nel 1929, con la pubblicazione del libro Il disagio della civiltà, il pensiero freudiano ha subito una svolta. In esso è stato introdotta la categoria della nevrosi, come risultato del conflitto tra l’Io e la sessualità, per far comprendere la civiltà contemporanea.
Questa è costruita sul thanatos e sulla rinuncia alle pulsioni. Produce, pertanto, nell’individuo frustrazione e aggressività.
Le principali opere di Freud sono:
- L’interpretazione dei sogni
- Psicopatologia della vita quotidiana
- Tre saggi sulla teoria sessuale
- Introduzione alla psicoanalisi
- Il disagio della civiltà
LEGGI ANCHE: I libri più importanti di Sigmund Freud
Sigmund Freud, dalla nascita della psicoanalisi al disagio della civiltà
Di seguito alcuni “estratti” rappresentativi del pensiero di Freud. Questo post non ha pretesa di esaustività. La letteratura sulla vita e sulle opere di Sigmund Freud è molto vasta 🙂
1. La teoria della rimozione
Abbiamo di recente ricevuto, come uno degli ultimi arricchimenti della psicoanalisi, l’incitamento a mettere in primo piano nell’analisi il conflitto attuale e le circostanze della malattia.
Bene, questo è precisamente quanto Breuer e io abbiamo fatto con il metodo catartico all’inizio dei nostri lavori. Volgevamo l’attenzione del malato sulla scena traumatica in cui il sintomo si era originato; cercavamo di intuire in essa il conflitto psichico liberandone poi l’effetto represso. Arrivavamo così a riconoscere il processo, tipico nei processi psichici della nevrosi, da me denominato poi regressione.
L’associazione del malato risaliva dalla scena da chiarire ad esperienze anteriori, portando l’analisi, la cui funzione era quella di rettificare il presente, ad interessarsi al passato.
La prima divergenza tra Breuer e me si presentò riguardo al profondo meccanismo psichico dell’isteria. Egli preferiva ancora una teoria, per così dire, fisiologica.
Io mi ero posto in una prospettiva meno scientifica, intuendo dappertutto tendenze e disposizioni affini a quelle della vita quotidiana e vedendo la stessa scissione psichica come esito di un processo che, allora, denominai “difesa” e, in seguito, “rimozione”.
Quando, poi, io propugnai sempre più decisamente la rilevanza della sessualità tra le cause della nevrosi, egli fu il primo a manifestarmi quella reazione di indignato rifiuto che doveva in seguito divenirmi familiare, ma anche allora non avevo riconosciuto ancora un mio incontrastabile destino.
Il fatto del transfert in senso amoroso e ostile, di carattere grossolanamente sessuale, che si manifesta nel corso di ogni trattamento di nevrosi, pur non desiderato o provocato da nessuna delle due parti, mi è sempre sembrato la conferma più irrefutabile che le forze motrici della nevrosi dipendono dalla vita sessuale.
Sottolineo, tra gli altri elementi, che in virtù del mio lavoro si aggiunsero al procedimento catartico, trasformandolo nella psicoanalisi, la teoria della rimozione e della resistenza, l’introduzione della sessualità infantile, l’interpretazione e l’impiego dei sogni per la conoscenza dell’inconscio.
La teoria della rimozione è ora il sostegno su cui si basa l’edificio della psicoanalisi, il suo elemento fondamentale, tanto che essa non è che l’espressione teorica di un esperimento ripetibile a proprio piacere, purché si effettui, senza ricorrere all’ipnosi: l’analisi di un nevrotico.
Allora si percepisce una resistenza che avversa il lavoro psicoanalitico e avanza il pretesto di un’amnesia per renderlo infruttuoso.
L’impiego dell’ipnosi necessariamente copre tale resistenza; perciò la storia della vera e propria psicoanalisi inizia solo con l’innovazione tecnica dell’abbandono dell’ipnosi.
Tratto da: “Storia del movimento psicoanalitico”.
2. Il padre della psicoanalisi
La psicoanalisi è una mia creazione; per dieci anni sono stato l’unica persona che se ne è occupata, e tutto il disappunto che questo nuovo fenomeno ha suscitato nei contemporanei si è riversato sotto forma di critica sul mio capo.
Mi ritengo dunque autorizzato a sostenere che ancora oggi, pur non essendo da tempo l’unico psicoanalista, nessuno meglio di me può sapere che cos’è la psicoanalisi, in che cosa essa si differenzi da altri modi di indagare la vita psichica, e che cosa con il suo nome si debba intendere rispetto a quello che sarebbe meglio indicare con una diversa denominazione.
La dottrina psicoanalitica è un tentativo di rendere comprensibili due fatti sperimentali, che si manifestano in maniera sorprendente ed inattesa nel tentativo di riportare alle loro fonti, nell’ambito storico della sua vita, i sintomi morbosi di un nevrotico: il fatto del transfert e quella della resistenza.
Ogni genere d’indagine che ammetta questi due dati di fatto e che li prenda come punto di partenza del proprio lavoro, può essere denominato psicoanalisi, anche se arriva a risultati diversi dai miei.
Una conquista, solo temporalmente posteriore, fu la rivelazione della sessualità infantile, della quale non si faceva cenno nei primi anni dell’indagine psicoanalitica,che avanzava ancora tastoni.
In un primo momento si comprese solo che si doveva riferire l’effetto di impressioni attuali a cose passate. Però, “il ricercatore scopre sempre più di quanto non si attenda”.
Egli fu ricacciato sempre più indietro in questo passato e sperò infine di potersi arrestare alla pubertà, l’epoca del tradizionale risveglio degli istinti sessuali.
Inutilmente, perché le tracce riportavano ancora più indietro, all’infanzia e ai suoi primi anni.
Riguardo all’interpretazione dei sogni, poche parole mi sono sufficienti. Essa mi apparve come primo risultato dell’innovazione tecnica dopo che, dando ascolto ad un vago presentimento, avevo deciso di sostituire l’ipnosi con le associazioni libere.
Tratto da: “Storia del movimento psicoanalitico”.
3. Tra conscio e inconscio
La divisione della vita psichica cosciente e psichica incosciente costituisce la premessa fondamentale della psicoanalisi, senza la quale essa sarebbe incapace di comprendere i processi psicologici, tanto frequenti quanto gravi della vita psichica, per ricondurli nel quadro della scienza.
La maggior parte delle persone che hanno una cultura filosofica sono assolutamente incapaci di comprendere che un fatto psichico può non essere cosciente e respingono questa idea come assurda o contraddicente la semplice e sana logica.
Essere cosciente è anzitutto un’espressione puramente descrittiva che si riferisce alla percezione più immediata e più certa. Ma l’esperienza ci dice che un elemento psichico, per esempio, una rappresentazione, non è mai cosciente in senso duraturo.
Ciò che caratterizza gli elementi psichici è piuttosto la rapida sparizione del loro stato cosciente. Una rappresentazione cosciente in un dato momento, non lo è più nel momento successivo ma, in certe condizioni facili a realizzarsi, può diventarlo di nuovo.
Nell’intervallo noi ignoriamo ciò che essa sia: possiamo dire che è latente, cioè che essa è suscettibile in ogni momento di divenir cosciente.
Così noi diciamo che i fatti psichici latenti, cioè incoscienti nel senso descrittivo, ma non dinamico della parola, sono dei fatti precoscienti e riserviamo la parola incoscienti ai fatti psichici rimossi, cioè dinamicamente incoscienti. Abbiamo così tre parole, cosciente, precosciente e incosciente il cui significato non è più puramente descrittivo.
Tratto da: “Storia del movimento psicoanalitico”.
4. Il movimento psicoanalitico
Nel 1902 un gruppo di giovani medici mi si schierò intorno con l’intenzione di imparare a praticare e a diffondere la psicoanalisi.
Il gruppo si ampliò ben presto, modificando più volte, nel corso degli anni seguenti, la propria composizione.
Dal 1907 la situazione, contrariamente ad ogni aspettativa, si modificò, e ciò accadde d’improvviso. Si venne a sapere che la psicoanalisi aveva silenziosamente destato interessi e trovato amici.
Su proposta di Carl Gustav Jung fu organizzato nella primavera del 1908 un primo convegno a Salisburgo, che raccolse gli amici della psicoanalisi da Vienna, Zurigo ed altri luoghi.
La fase di oscurità era terminata e la psicoanalisi divenne ovunque oggetto di crescente interesse.
Devo ora ricordare due movimenti di defezione nella cerchia degli aderenti alla psicoanalisi: il primo tra la fondazione dell’associazione nel 1910 ed il congresso di Weimar nel 1911; il secondo, iniziato dopo questo congresso, si manifestò nel 1913 a Monaco.
Il pensiero fondamentale del sistema di Adler afferma, com’è risaputo, che l’aspirazione all’autoaffermazione dell’individuo, la sua “volontà di potenza” è ciò che, come “protesta maschile”, si manifesta in maniera preponderante nel modo di vivere, nella conformazione del carattere e della nevrosi.
Tutte le innovazioni di Jung alla psicoanalisi dipendono dal proposito di togliere di mezzo quanto c’è di ripugnante nei complessi della famiglia per non doverlo ritrovare nella religione e nell’etica.
La libido sessuale è stata sostituita da un concetto astratto che possiamo dire misterioso e incomprensibile allo stesso modo per i saggi come per gli sciocchi.
Mantenere questo sistema vuole dire lasciare completamente la tecnica e l’osservazione della psicoanalisi.
Tratto da: “Storia del movimento psicoanalitico”.
5. Società e nevrosi
La società non avrà fretta di riconoscerci un’autorità. Essa è destinata ad opporci resistenza perché noi abbiamo un atteggiamento critico nei suoi confronti: noi le dimostriamo che essa stessa svolge un’importante funzione nella causazione delle nevrosi.
Nello stesso modo in cui ci rendiamo nemico il singolo scoprendo ciò che in lui è rimosso, così anche la società non può rispondere con cortese accoglienza alla spregiudicata messa a nudo delle sue insufficienze e dei danni che essa stessa produce; poiché provochiamo il crollo delle illusioni, ci si rimprovera di mettere in pericolo gli ideali.
6. La libido
È evidente che c’è poco da guadagnare accentuando, secondo il modo di procedere di Jung, l’unità originaria di tutte le pulsioni e chiamando “libido” l’energia che in tutte si manifesta. Dal momento che non c’è artificio che riesca ad eliminare la funzione sessuale dalla vita psichica, ci vediamo costretti a parlare di libido sessuale e di libido asessuale.
Il nome libido va pertanto impiegato per designare esclusivamente le forze pulsionali della vita sessuale, come finora abbiamo fatto.
Tratto da:”Introduzione alla psicoanalisi”.
7. Io ed Es
Non ci si può sottrarre all’impressione che gli uomini di solito misurino con falsi metri, che aspirino al potere, al successo, alla ricchezza e ammirino queste cose negli altri, ma sottovalutino i veri valori della vita. Pure, nel formulare un qualsiasi giudizio generale di questo tipo, si corre il rischio di dimenticare la varietà del mondo umano e della vita della psiche.
Vi sono taluni uomini a cui i contemporanei non negano l’ammirazione, benché la loro grandezza poggi su doti e realizzazioni che sono completamente estranee agli scopi e agli ideali della massa. Potremmo facilmente essere indotti a credere che solo una minoranza, alla fin fine, apprezza questi grandi uomini, mentre la gran maggioranza non se ne cura affatto.
Ma la cosa potrebbe non risultare così semplice, grazie alle discrepanze tra i pensieri e le azioni degli uomini e alla diversità dei desideri che li muovono. Uno di questi uomini eccezionali, per lettera, si definisce mio amico. Gli avevo mandato il mio piccolo scritto che tratta della religione alla stregua di un’illusione, ed egli mi rispose di concordare in pieno con il mio giudizio sulla religione, ma di dolersi che non avessi giustamente apprezzato la fonte autentica della religiosità.
Essa consisterebbe in un particolare sentimento che, quanto a lui, non lo abbandonerebbe mai, che troverebbe attestato da molti altri e che supporrebbe presente in milioni di uomini, ossia in un sentimento che vorrebbe chiamare senso della “eternità”, un senso come di qualcosa d’illimitato, di sconfinato, per così dire di “oceanico”.
Tale sentimento sarebbe un fatto puramente soggettivo, non un articolo di fede; non comporterebbe alcuna garanzia d’immortalità personale, ma sarebbe la fonte di quell’energia religiosa che viene captata, immessa in particolari canali, e indubbiamente anche esaurita, dalle varie chiese e sistemi religiosi. Soltanto sulla base di questo sentimento oceanico potremmo chiamarci religiosi, anche rifiutando ogni fede e ogni illusione.
Le opinioni espresse dal mio stimato amico, che personalmente ha esaltato una volta in una poesia la magia delle illusioni, mi hanno causato non lievi difficoltà. Per quel che mi riguarda, non riesco a scoprire in me questo sentimento “oceanico”.
Non è facile trattare scientificamente i sentimenti. Si può tentare di descriverne gli indizi fisiologici. Dove ciò non è possibile – e temo che anche il sentimento oceanico eluda una caratterizzazione siffatta – non resta da far altro che attenersi al contenuto rappresentativo che più immediatamente risulta associato al sentimento.
Se ho ben compreso il mio amico, egli allude a ciò che un drammaturgo originale e piuttosto bizzarro offre al suo eroe come consolazione nella prospettiva della morte volontaria: “Fuori di questo mondo non possiamo cadere”.
Si tratta dunque di un sentimento d’indissolubile legame, d’immedesimazione con la totalità del mondo esterno. Potrei dire che per me ciò ha piuttosto il carattere di un’intuizione intellettuale, non certo priva di una sua risonanza emotiva, ma tale comunque da non dover risultare assente neanche da altri atti di pensiero di analoga portata.
Per quanto riguarda la mia persona non potrei convincermi della natura primaria di un tale sentimento. Non per questo mi è però lecito negarne la presenza effettiva in altre persone.
Occorre soltanto chiedersi se venga correttamente interpretato e se debba essere riconosciuto come fons et origo di tutti i bisogni religiosi. Non ho nulla da proporre che possa contribuire in modo decisivo alla soluzione di questo problema.
L’idea che l’uomo debba avere conoscenza della propria connessione con il mondo circostante attraverso un sentimento immediato e fin dall’inizio orientato in tale direzione, appare così strana e si accorda così male con la struttura della nostra psicologia da legittimare il tentativo di una spiegazione psicoanalitica, ossia genetica, di tale sentimento.
Possiamo quindi disporre della seguente linea di pensiero: Normalmente nulla è per noi più sicuro del senso di noi stessi, del nostro proprio Io. Questo Io ci appare autonomo, unitario, ben contrapposto ad ogni altra cosa. Che tale apparenza sia fallace, che invece l’Io abbia verso l’interno, senza alcuna delimitazione netta, la propria continuazione in un’entità psichica inconscia, che noi designiamo come Es, e per la quale esso funge per così dire da facciata.
Lo abbiamo per la prima volta appreso dalla ricerca psicoanalitica, da cui ci attendiamo molte altre informazioni circa il rapporto tra Io ed Es. Ma verso l’esterno almeno l’Io sembra mantenere linee di demarcazione chiare e nette.
Tratto da: “Disagio della civiltà”.
8. I l bambino e il rocchetto
Il bambino non mi sembrava affatto precoce dal punto di vista intellettivo. Ad un anno e mezzo non pronunciava che poche parole comprensibili; emetteva, inoltre, alcuni suoni, il cui significato era compreso perfettamente dai suoi.
I suoi rapporti con i genitori e l’unica domestica erano ottimi, e tutti lodavano il suo buon carattere. Di notte, egli non disturbava i genitori, obbediva scrupolosamente agli ordini di non toccare certe cose o di non entrare in certe stanze, e, soprattutto, non piangeva mai, quando la madre lo lasciava, anche per qualche ora. Da notare che il bambino era molto attaccato alla madre, che non solo lo aveva nutrito al seno, ma lo aveva accudito e allevato senza ricorrere ad estranei.
Questo bravo ragazzino aveva, però, la fastidiosa abitudine di arraffare qualsiasi piccolo oggetto che gli capitava a tiro e di scaraventarlo in qualche angolo, sotto il letto, e così via, per cui c’era da impazzire a ritrovarlo e rimetterlo a posto. Nel far questo egli emetteva a voce spiegata, con espressione d’interesse e soddisfazione, un lungo “o-o-o-o”. D’accordo con la madre, ero del parere che non si trattasse di una semplice interiezione, ma stesse a significare la parola “fort” [“via”].
Alla fine mi resi conto che si trattava di un gioco e che il bambino usava i suoi giocattoli solo per farli “scomparire”.
Un bel giorno mi capitò di fare un’osservazione che confermò la mia ipotesi.
Il bambino aveva un rocchetto di legno con un pezzo di spago arrotolato: ebbene, mai gli venne in mente di trascinarselo dietro per il pavimento, di usarlo, ad esempio, come un carrettino.
Quel che invece gli piaceva fare era tenere in mano lo spago e scagliare con consumata precisione il rocchetto dietro la spalliera a tendina del suo letto, di modo che l’aggeggio sparisse; contemporaneamente egli emetteva il suo caratteristico “o-o-o-o”. Quindi ritirava il rocchetto dal nascondiglio e salutava la sua riapparizione con un festoso “da!” [“eccolo”].
Questo, dunque, era l’intero gioco: scomparsa e ritorno. Anche se di solito si poteva osservare solo la prima parte del gioco, di per sé instancabilmente ripetuta, non v’è dubbio che era la seconda parte quella che procurava il maggior piacere.
E l’interpretazione del gioco scaturì allora naturale. Esso era in relazione con l’elevato grado culturale raggiunto dal bambino – la rinuncia alle pulsioni che egli aveva dovuto sopportare nel consentire alla madre di allontanarsi senza protestare.
Il bambino si compensava, per così dire, dell’assenza materna, riproducendo, con gli oggetti che gli capitavano a tiro, la scena della scomparsa e della riapparizione.
Tratto da: “Al di là del principio del piacere”.
9. La sessualità infantile
L’istinto sessuale del bambino si rivela altamente composito e consente lo smembramento in molte componenti, che provengono da varie fonti.
La fonte principale del piacere sessuale infantile è l’idonea eccitazione di determinate del corpo particolarmente eccitabili.
I punti rilevanti per il raggiungimento del piacere sessuale li chiamiamo zone erogene.
Il poppare o succhiare estasiato dei bambini molto piccoli è un buon esempio di soddisfacimento autoerotico.
Un altro soddisfacimento sessuale di questo periodo è l’attività masturbatoria dei genitali, che conserva tanta importanza per la vita successiva e che non viene mai del tutto superata da molti individui. Accanto a queste attività autoerotiche, nel bambino si manifestano molto precocemente quelle componenti istintuali di piacere ovvero, come ci piace dire, della libido, che presuppongono come oggetto una persona estranea.
Tratto da:” Psicoanalisi. Esposizioni divulgative”.
Ultima revisione
LEGGI ANCHE: I libri più importanti di Sigmund Freud
- Contattami via e-mail Scrivi qui >>
- LEGGI SOS Autostima >>