La sindrome dei falsi ricordi
è una condizione in cui l’identità di una persona e le sue relazioni interpersonali sono centrate attorno al ricordo di un’esperienza traumatica falsa, ma in cui la persona crede fortemente.
Verso la fine dell’Ottocento, Sigmund Freud sosteneva che la mente ha un sistema per difendersi dai pensieri e dagli impulsi inaccettabili o dolorosi: un meccanismo inconscio che chiamava “repressione”, per tenerli nascosti dalla coscienza.
In seguito perfezionò questa riflessione in una teoria più generale delle emozioni e dei desideri repressi. L’idea che il ricordo di un evento traumatico si possa reprimere e conservare oltre la memoria conscia fu accettata da molti psicologi.
La nascita di varie forme di psicoterapia del Novecento attirò l’attenzione sulla repressione, e l’associazione tra la psicoanalisi e la possibilità di recuperare ricordi repressi divenne così forte che persino i film prodotti a Hollywood iniziarono a occuparsene.
Il panico satanico e i presunti abusi sessuali
Negli anni ’80 e ’90 un fenomeno noto come “panico satanico”, che ha preso forma negli Stati Uniti, produsse una mole d’imputazioni su presunti abusi sessuali compiuti negli asili che ha influenzato genitori e forze dell’ordine in tutto il mondo.
Meredith Maran, una famosa giornalista femminista in una intervista racconta come questa epidemia di pedo-follia ebbe inizio:
“Negli anni 80-90, decine di migliaia di donne 30enni di classe media che vivevano in grandi città, si convinsero di avere memorie represse di abusi infantili. Una corrente della psicologia si prestò ai loro scopi; le pazienti in terapia venivano guidate nel far riemergere i ricordi degli abusi mediante tecniche ipnotiche, immaginazione guidata, interpretazione dei sogni, psicofarmaci”.
Ad aumentare il clamore che circondava gli abusi “satanici” fu il bestseller Michelle Remembers, scritto da Michelle Smith e Lawrence Pazder.
- Smith, Michelle (Autore)
Pubblicato nel 1980, il libro ha riscosso subito un successo strepitoso: è la cronaca delle vere sedute di psicoterapia tra lo psichiatra canadese Lawrence Pazder e la sua paziente Michelle Smith.
La donna soffriva di depressione a seguito di un aborto spontaneo e aveva cominciato a farsi curare da Pazder nel 1973 nel suo studio privato a Victoria, in Canada. Nel corso delle sedute Smith disse a Pazder che sentiva di avere qualcosa d’importante da comunicare, ma di non riuscire a ricordare cosa.
Quello strano evento dimenticato sembrò importante allo psichiatra, al punto che nei quattordici mesi successivi dedicò oltre seicento ore a cercare di aiutare la paziente a ricordare quel passato dimenticato, ricorrendo all’ipnosi.
“In una delle sedute di terapia a quanto pare Michelle gridò per venticinque minuti e poi iniziò a parlare con la voce di una bambina di cinque anni. Cominciò a ricordare abusi e rituali satanici perpetrati su di lei dalla madre, che nel frattempo era mancata, e da altre persone che, a suo dire, erano membri di una setta satanica di Victoria.
Ricordò che a cinque anni era stata torturata, violentata, chiusa in gabbia e costretta a partecipare a riti orrendi, e che era stata testimone di omicidi rituali. Ricordò persino che era stata coperta di sangue e strofinata con le parti smembrate dei corpi di bambini e adulti che erano stati sacrificati”.
Alla sua pubblicazione il libro ha destato scalpore, dando il via a una discussione pubblica sull’efficacia dell’intervento terapeutico per il recupero dei ricordi a lungo dimenticati, in particolare quelli di abusi sessuali rituali. Ha inoltre acceso un dibattito sul crescente presunto fenomeno del satanismo e gli abusi connessi.
“Dopo la sua uscita si fecero avanti decine di possibili vittime di abusi rituali satanici, e gli avvocati che redigevano le accuse contro i presunti satanisti usavano il libro come risorsa informativa. Veniva utilizzato persino nella formazione degli assistenti sociali”.
Pazder divenne un personaggio di spicco della psicologia, il libro era considerato importante e accurato. Michelle Remembers in seguito fu ripetutamente screditato da giornalisti e investigatori, che non hanno trovato nessuna prova che confermasse le accuse contenute.
Molti degli eventi raccontati sono altamente improbabili o addirittura impossibili, e le incongruenze abbondano.
Elizabeth Loftus, una delle più importanti ricercatrici sui falsi ricordi, ha scritto una serie di articoli in risposta a questo attacco di isteria collettiva relativa agli abusi sessuali.
In un classico articolo, intitolato Who abused Jane Doe? scritto con il collega Melvin Guyer, sostiene che non esiste alcuna scienza che supporti le tecniche terapeutiche, tra cui l’ipnosi e la regressione, utilizzate in questo tipo di casi.
La psicologa statunitense afferma che le prove su cui si basano quei terapeuti, e i fautori delle terapie volte al recupero dei ricordi rimossi, sono molto discutibili, innanzitutto perché l’esistenza di ricordi rimossi non è stata dimostrata in alcun modo.
La storia di Michelle Remembers, che ha dato il via a due decenni di accuse, probabilmente è frutto della fantasia degli autori.
Le memorie sono soggette a errori di ricostruzione
Elizabeth Loftus ha condotto studi scientifici che mostrano come le memorie vengono ricostruite sulla base di esperienze precedenti, aspettative precedenti e suggestione.
La memoria non funziona accuratamente come una macchina fotografica, piuttosto, è soggetta ad inaccuratezza e ad interpretazioni che si basano su esperienze precedenti o schemi.
In altre parole, le memorie sono soggette a errori di ricostruzione. Loftus stessa era diventata famosa all’Università di Washington indagando le applicazioni pratiche della ricostruzione della memoria, in particolare l’accuratezza della testimonianza oculare (EWT, EyeWitness Testimony).
Iniziò le sue ricerche sulla fallibilità dei ricordi con una serie di semplici esperimenti volti a verificare la veridicità delle testimonianze oculari. Ai partecipanti venivano mostrati filmati di incidenti stradali e poi venivano interrogati su ciò che avevano visto.
La studiosa mostrò che le memorie oculari possono essere influenzate dalle parole usate durante un interrogatorio che normalmente viene fatto alla persona che assiste ad un crimine. Identificò due tipi di domande mande fuorvianti che sembrano colpire l’EWT:
- Domande principali: una domanda formulata in modo da rendere l’evento probabile e che influenzerà il partecipante a fornire la risposta desiderata.
- Domande di “informazione del dopo-fatto”: nuove informazioni fuorvianti sono aggiunte nelle domande che vengono poste dopo che l’incidente è avvenuto e influenzano il ricordo del testimone.
Ai partecipanti venivano mostrate alcune diapositive di un incidente tra due automobili. Ad alcuni veniva posta la seguente domanda: “Qual era la velocità delle due automobili al momento dello scontro?” Agli altri veniva posta la stessa domanda in cui alla parola “scontro” venivano sostituiti i verbi: “colpire”; “urtare’ ; “collidere”.
Lo studio ha dimostrato che la velocità stimata dai partecipanti era influenzata dal tipo di verbo usato.
Veniva inoltre chiesto se ci fossero vetri rotti dopo l’incidente e le risposte erano di nuovo legate alle parole usate per la domanda sulla velocità. In versioni successive dell’esperimento, ai partecipanti si davano a voce informazioni false circa alcuni particolari (quali cartelli stradali nelle vicinanze) e questi comparivano come ricordi in molti resoconti dei volontari.
DA Casi Classici della Psicologia:
“informazioni dopo-fatto” aggiunte, fu condotto su due gruppi di partecipanti che guardavano un filmato di una macchina che percorreva una strada di campagna. Al primo gruppo veniva chiesto: “Quanto andava veloce la macchina bianca quando passava il segnale di “Stop” lungo la strada di campagna?” (si vedeva un segnale di “Stop” nel filmato).
Al secondo gruppo veniva chiesto: “Quanto andava veloce la macchina bianca quando passava il fienile lungo la strada di campagna?” (non si vedeva nessun fienile, ma la domanda presupponeva che vi fosse).
Una settimana più tardi il 17% del secondo gruppo riportava di aver visto un fienile, rispetto al primo gruppo. L’informazione “dopo-fatto” aveva falsamente suggerito loro che vi fosse realmente un fienile. La spiegazione di questa fonte di cattiva attribuzione è che i testimoni confondono il fatto reale di per sé con un’informazione “dopo-fatto”.
Resta comunque aperto il dibattito se i risultati di questi studi possano essere applicati alle memorie di vita reale e se possano essere rilevanti nei casi di ricordo di abuso infantile.
Possono i ricordi essere così distorti al punto che una persona sia convinta che qualcosa sia accaduto quando in realtà nulla è accaduto?
La Loftus fu aspramente criticata per le sue opinioni, perciò decise di raccogliere prove inconfutabili attraverso uno studio divenuto assai noto e intitolato: “Perso in un centro commerciale”.
Lo studio: “Perso in un centro commerciale”
La Loftus chiese ai suoi studenti di reclutare 24 individui di età compresa tra i 18 e i 53 anni in qualità di partecipanti alla ricerca. Ad ogni partecipante veniva dato un opuscolo contenente delle brevi descrizioni di tre incidenti realmente accaduti in età infantile che erano stati precedentemente forniti da un parente del partecipante stesso.
Veniva anche descritto un quarto falso incidente apparentemente avvenuto mentre il partecipante e un suo parente prossimo si trovavano a fare shopping in un centro commerciale o in un grande magazzino.
Ai partecipanti veniva chiesto di completare l’opuscolo leggendo quello che i loro parenti avevano detto ai ricercatori su ogni evento, e scrivendo successivamente quello che loro ricordavano di ogni evento descritto nell’opuscolo. Se non ricordavano l’evento, veniva detto loro di scrivere quello che non ricordavano.
Sette (29,2%) dei 24 soggetti “ricordavano” il falso evento, o del tutto o solo in parte. I partecipanti venivano poi intervistati a proposito dei loro ricordi una settimana dopo aver compilato il libretto. A questo punto, solo sei (25%) credevano ancora che il falso ricordo fosse vero.
I partecipanti effettuarono anche una seconda intervista una settimana più tardi e venne detto loro che i ricercatori avevano provato a creare una falsa memoria. Ai partecipanti veniva chiesto di scegliere la falsa memoria tra quelle indicate nel libretto.
Cinque persone (20,8%) sceglievano erroneamente uno degli eventi veri reputandolo falso. Le percentuali non erano di primaria importanza, ma secondo Loftus e Pickrell questo studio mostrava che la sindrome delle false memorie esisteva e che alcune persone potevano esserne colpite.
Una terapia discutibile
Elizabeth Loftus sottolinea che le sue scoperte non negano che avvengano crimini come gli abusi, ne possono dimostrare che i ricordi repressi non esistano; fa semplicemente notare l’inaffidabilità dei ricordi recuperati e insiste che in tribunale si debbano cercare anche altre prove.
Il suo lavoro ha messo in discussione la validità dei vari metodi impiegati per recuperare la memoria, comprese le tecniche psicoterapeutiche come la regressione, l’interpretazione dei sogni e l’ipnosi.
La Loftus sosteneva la possibilità che i falsi ricordi si possano instillare durante il processo terapeutico mediante la suggestione, così negli anni ’90 diversi pazienti che sostenevano di essere vittime della sindrome dei “falsi ricordi” fecero causa ai loro psicoterapeuti e la vinsero.
- Loftus, Elizabeth (Autore)
Non sorprende quindi che la Loftus abbia suscitato la reazione contraria di molti psicologi. Anche le reazioni dal mondo legale sono state contrastanti, ma dopo gli anni ’90 molti sistemi giudiziari introdussero direttive che tenevano conto delle teorie della Loftus.
La studiosa è nota per aver testimoniato in diversi processi famosi tra cui: Michael Jackson, il famoso cantante incolpato di molestie sessuali da un suo fan, e Ted Bundy, serial killer statunitense accusato di numerosi omicidi di giovani donne.
Testimoniare in questi processi ha messo alla prova i suoi lavori sia da un punto di vista metodologico che etico. Oggi Elizabeth Loftus è un’autorità riconosciuta sull’argomento dei falsi ricordi. La sue teorie sono accettate dalla psicologia contemporanea.
L’American Psychological Association afferma che attualmente non è possibile distinguere tra un vero ricordo rimosso e uno falso senza prove avvaloranti.
LEGGI ANCHE: IL CASO HOLLY RAMONA E LE FALSE MEMORIE
Bibliografia:
- “L’illusione della memoria” di Julia Shaw
- “Casi classici della psicologia” di Geoff Rolls
- “Il libro della psicologia” Gribaudo
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