Il disagio della postmodernità; un estratto dal libro La società dell’incertezza di Zygmunt Bauman.
Nel testo, Bauman ci mostra una società che respinge la stabilità e la durata, preferisce l’apparenza alla sostanza, sceglie come parola chiave “riciclaggio” e come “medium” per eccellenza il videotape ; una società dove il tempo si frammenta in episodi, la salute diventa “Fitness”, la massima espressione di libertà è lo “zapping”.
Dalle macerie del vecchio ordine politico bipolare sembra emergere solo un nuovo disordine mondiale, mentre l’economia invoca e ottiene la deregulation universale. Le figure emblematiche che abitano questo traballante universo sono il giocatore e il turista. Ma forse più di ogni altro lo straniero.
Il disagio della postmodernità
Nel 1929 comparve a Vienna Das Unbehagen in der Kultur, un saggio che inizialmente doveva essere intitolato Das Unglúck in der Kultur. Il suo autore era Sigmund Freud. In italiano l’opera è nota come Il disagio della civiltà.
La stimolante e provocante lettura freudiana delle pratiche della modernità entrò nella coscienza collettiva e finì per strutturare profondamente il modo di valutare le conseguenze (intenzionali e non) dell’avventura moderna.
Nello scambio, qualcosa si guadagna e qualcosa va irrimediabilmente perduto: questo era il messaggio di Freud.
Come «cultura» o «civiltà», la modernità ha a che fare con la bellezza («questa cosa inutile che ci aspettiamo la civiltà stimi»), la pulizia («ogni genere di sporcizia ci sembra incompatibile con la civiltà») e l’ordine («ordine è una specie di coazione a ripetere che decide, grazie ad una norma stabilita una volta per tutte, quando, dove e come una cosa debba essere fatta, in modo da evitare esitazione e indugio in tutti i casi simili tra loro»).
- Freud, Sigmund (Autore)
La bellezza (cioè tutto ciò che produce il piacere sublime dell’armonia e la perfezione della forma), la pulizia e l’ordine sono acquisizioni non trascurabili a cui certamente non si rinuncia senza dispiacere, dolore, o rimorso. Ma neppure si possono ottenere senza pagare un prezzo elevato.
Gli esseri umani non hanno alcuna predisposizione «naturale» a ricercare e preservare la bellezza, a fare le pulizie e ad osservare la routine dell’ordine. (Anche se in qualche occasione sembrano mostrare un tale «impulso», si tratta sempre di una inclinazione inventata, acquisita e coltivata, il segno più evidente di un processo di incivilimento in atto).
Gli uomini devono essere costretti a rispettare e ad apprezzare l’armonia, la pulizia e l’ordine. La loro libertà di agire sulla base di impulsi deve essere limitata e sottoposta a restrizioni. I vincoli imposti sono dolorosi: offrono protezione alla sofferenza ma generano ulteriore tormento.
La civiltà costruita su una restrizione delle pulsioni
«La civiltà è costruita su una restrizione delle pulsioni». In particolare, la civiltà (leggi modernità), «impone grandi sacrifici» alla sessualità e all’aggressività dell’uomo. «Il desiderio di libertà, perciò, si volge o contro forme e pretese particolari della civiltà, o contro la civiltà tutta». E non può essere altrimenti.
La vita civile, così dice Freud, propone in una unica soluzione, piaceri e sofferenze, soddisfazione e disagio, obbedienza e ribellione.
La civiltà – l’ordine imposto sul disordine naturale dell’umanità – è un compromesso, un contratto continuamente messo in discussione e da rinegoziare. Il principio di piacere è in questo caso ridotto in funzione del principio di realtà, mentre le norme definiscono chiaramente ciò che si deve intendere per «realtà».
«L’uomo civile ha scambiato una parte delle sue possibilità di felicità per un po’ di sicurezza». Per quanto realistici e plausibili possano essere i nostri tentativi di agire migliorando le imperfezioni delle condizioni attuali, «forse è bene abituarsi a pensare che ci sono alcune difficoltà intrinseche alla natura della civiltà in grado di resistere a qualsiasi tentativo di intervento».
Freud parlava dell’ordine, orgoglio della modernità e punto di partenza di ogni altra sua realizzazione (sia che si manifestasse sotto la stessa dimensione dell’ordine o si ce lasse sotto le categorie della bellezza e della pulizia), in termini di «coazione», «regolazione», «soppressione» o «rinuncia forzata».
Il disagio, profondamente intrecciato alla modernità, nasceva da un «eccesso di ordine» e dalla sua inseparabile compagna: la morte della libertà. Esposta alla triplice minaccia della caducità del corpo, dell’incontrollabilità della natura selvaggia, e dell’aggressività del prossimo, la condizione di sicurezza richiedeva il sacrificio della libertà: prima di tutto, della libertà individuale di procurarsi il piacere.
Nella cornice di una civiltà ripiegata sulla sicurezza, maggiore libertà significava minore frustrazione. In una civiltà che sceglie di limitare la libertà in nome della sicurezza, l’incremento dell’ordine implica la crescita della frustrazione.
Il nostro, però, è un tempo di deregulation. Il principio di realtà è chiamato a difendersi, oggi, di fronte ad un tribunale in cui il principio di piacere è il giudice che presiede la corte.
«L’idea che ci siano difficoltà intrinseche alla natura della civilizzazione che resistono a qualsiasi tentativo di intervento» sembra aver perduto la sua originaria inequivocabile evidenza. La coazione e la rinuncia forzata che un tempo erano irritanti necessità, combattono oggi la loro battaglia contro la libertà individuale senza avere garanzie di successo.
Il viaggio dentro la modernità
Settant’anni dopo la stesura de Il disagio della civiltà, la libertà individuale regna sovrana; è il valore in base al quale ogni altro valore deve essere valutato e la misura con cui la saggezza di ogni norma e decisione sovra-individuale va confrontata.
Ciò non significa, però, che gli ideali di bellezza, pulizia e ordine, che avevano accompagnato gli uomini e le donne nel loro viaggio dentro la modernità, siano stati abbandonati o che abbiano perso il loro lustro originale. Al contrario, essi oggi devono essere perseguiti, e realizzati, attraverso sforzi, percorsi e volontà individuali.
Nella sua attuale versione postmoderna, la modernità sembra avere trovato la pietra filosofale che Freud aveva congedato come fantasia ingenua e dannosa: essa si propone di fondere il prezioso metallo di un «ordine puro» e di una «pulizia meticolosa» estraendo direttamente la materia prima dalla umana (troppo umana) ricerca di piaceri, sempre più numerosi e sempre più appaganti; una ricerca che un tempo era del tutto screditata e condannata come autodistruttiva.
La «mano invisibile», uscita indenne, forse perfino rinvigorita, da due secoli di tentativi diretti a rinchiuderla nel guanto d’acciaio delle regole e del controllo razionali, ha riguadagnato fiducia e successo. La libertà individuale, un tempo un peso e un problema (forse il problema) per tutti i costruttori dell’ordine, è diventata il vantaggio e la risorsa maggiore nel continuo processo di autocreazione dell’universo umano.
Nello scambio, qualcosa si guadagna e qualcosa va irrimediabilmente perduto: la vecchia regola rimane vera oggi come un tempo. Solo che i guadagni e le perdite hanno invertito le loro posizioni: gli uomini e le donne postmoderni scambiano una parte delle loro possibilità di sicurezza per un po’ di felicità.
Il disagio della postmodernità
II disagio della modernità nasceva da un tipo di sicurezza che assegnava alla libertà un ruolo troppo limitato nella ricerca della felicità individuale. Il disagio della postmodernità nasce da un genere di libertà nella ricerca del piacere che assegna uno spazio troppo limitato alla sicurezza individuale.
Ogni valore acquista rilevanza nella misura in cui, per poterlo ottenere, si devono abbandonare e sacrificare altri valori.
D’altra parte, quanto meno un valore è disponibile e tanto più si fa intenso il suo bisogno. Il valore della libertà esercita il fascino maggiore quando deve essere sacrificata sull’altare della sicurezza. Quando è la sicurezza a dover essere sacrificata nel tempio della libertà individuale, essa assorbe tutto lo splendore della sua precedente vittima.
Se la noia e la monotonia pervadono le giornate di coloro che inseguono la sicurezza, l’insonnia e gli incubi infestano le notti di chi persegue la libertà. In entrambi i casi, la felicità va perduta.
Ascoltiamo di nuovo Freud: «Noi siamo fatti in tal modo da essere in grado di ricavare un piacere intenso solo dal contrasto e molto poco dal normale stato delle cose». Perché? Perché «ciò che chiamiamo felicità deriva dalla soddisfazione (di solito improvvisa) di bisogni che sono stati accuratamente repressi e per sua natura è possibile solo in quanto fenomeno episodico».
In questo modo, una condizione di libertà senza sicurezza non assicura una quantità di felicità maggiore rispetto ad una sicurezza senza libertà. Un mutamento nella configurazione delle faccende umane non rappresenta sempre un passo avanti verso uno stato di felicità più intensa, anche se può sembrare tale nel momento in cui si compie.
La rivalutazione di tutti i valori è un momento felice ed esaltante, ma i valori rivalutati non garantiscono necessariamente uno stato di beatitudine.
Non ci sono guadagni senza perdite, ed è inutile sperare in una loro prodigiosa separazione: anzi, i guadagni e le perdite specifici di ogni accordo di convivenza umana vanno accuratamente conteggiati in modo da poter cercare l’equilibrio ottimale tra i due; anche se (o, piuttosto, poiché) la sobrietà e la saggezza faticosamente acquisite preservano noi, uomini e donne postmoderni, dall’abbandonarci al sogno ad occhi aperti di un resoconto in cui compaia solo il consuntivo dei nostri crediti.
Il gioco della libertà
L’ultima parola spetta alla libertà. Ogni gioco prevede vincitori e perdenti. Nel gioco della libertà, però, la differenza tra le due categorie tende ad essere sfumata, se non del tutto cancellata. Chi ha perso si consola con la speranza di vincere la prossima volta, mentre la gioia del vincitore è offuscata dal presentimento della perdita.
Per entrambi, la libertà significa che nulla è stabilito in modo permanente e che la ruota della fortuna può ancora girare. I capricci della sorte rendono incerta la condizione di entrambi. Ma l’incertezza è portatrice di messaggi differenti: ai perdenti dice che non tutto è ancora perduto, mentre ai vincenti sussurra che ogni trionfo tende ad essere precario.
Nel gioco della libertà, il perdente si ferma prima della disperazione e il vincitore si ferma prima di raggiungere l’assoluta certezza dei propri mezzi. Entrambi scommettono sulla libertà ed entrambi hanno motivo di lamentarsi.
Nessuno accetterebbe chiaramente restrizioni alla libertà, ma nessuno è totalmente sordo al fascino della certezza, che
in realtà si propone di curare i mali della libertà uccidendo il paziente.
Articoli consigliati
- 12 Libri più importanti di Freud
- La saggezza della folla è così rassicurante?
- I porcospini di Schopenhauer. Quanta intimità possiamo sopportare?
Bibliografia:
- Tratto dal libro “La società dell’incertezza” di Zygmunt Bauman
Zygmunt Bauman. Libri più venduti online
Ecco i 3 libri di Zygmunt Bauman più venduti online, con informazioni sul prezzo e valutazione di chi li ha acquistati.
- Contattami via e-mail Scrivi qui >>
- LEGGI SOS Autostima >>