L’origine storica
dei temi della filosofia della scienza nasce con la filosofia greca, e viene sviluppata in particolare nelle opere di Platone relative alla conoscenza e alla maieutica, nelle opere di Aristotele di Logica e di Metafisica e nelle opere dei filosofi stoici, in particolare di Crisippo su temi di Logica.
Nel periodo medioevale si ha uno sviluppo dei temi logici già trattati dagli autori classici antichi ed è con il “rinascimento scientifico” che vengono sviluppati in particolare da Galileo Galilei, da Renè Descartes e da Francesco Bacone.
Agli studi innovativi compiuti dai tre grandi studiosi rinascimentali di Filosofia della scienza, Galileo, Cartesio e Bacone, seguirono gli approfondimenti fatti da Isaac Newton nella seconda metà del Seicento.
Gli studi di filosofia della scienza ebbero ampio sviluppo nel Settecento. Fra i principali studiosi dell’epoca illuminista si ricordano gli inglesi John Locke e David Hume, lo svizzero Leonardo Eulero, e i francesi Jean Baptiste Le Rond d’Alembert e Denis Diderot.
Nell’Ottocento vennero sviluppati studi originali sui metodi induttivi dal filosofo inglese John Stuart Mill. È rilevante anche la classificazione delle scienze compiuta dal filosofo francese Auguste Comte. Gli studi di questi due filosofi si inquadrano nel movimento del positivismo ottocentesco.
Nel Novecento si è avuto un ampio dibattito sui temi di filosofia della scienza in virtù anche della nascita della fisica moderna e dello sviluppo notevole di altre discipline scientifiche dalla chimica alla biologia.
Negli ultimi anni, sempre più personalità legate all’ambito scientifico hanno criticato l’utilità della filosofia in generale e della filosofia della scienza in particolare, spesso definendole “morte”. Fra questi, Stephen Hawking, Richard Feynman e Lawrence Krauss.
Filosofia della Scienza. I 6 principali esponenti del Novecento
#1. Ludwig Wittgenstein
Ludwig Wittgenstein (Vienna, 1889 – Cambridge, 1951). Nato in una ricchissima famiglia austriaca, studia ingegneria a Berlino e aeronautica a Manchester, quindi si trasferisce a Cambridge per studiare logica e matematica con Bertrand Russell, di cui diventa grande amico.
Dopo aver scritto il fondamentale Tractatus logico-philosophicus, Wittgenstein rinuncia al patrimonio famigliare e si ritira dalla ricerca, diventando maestro elementare.
Nel 1927, su insistenza di Moritz Schlick, inizia a frequentare il cosiddetto Circolo di Vienna, cioè quel gruppo di scienziati e filosofi che si raccoglie sotto le bandiere del neopositivismo (spesso definito anche positivismo logico) e tenta di mettere a punto un progetto critico di chiarificazione dei concetti delle scienze in un’ottica radicalmente empirista e antimetafisica.
Dal 1930 al 1947 insegna a Cambridge, e le raccolte di appunti dei suoi allievi costituiscono il materiale per il Quaderno blu e il Quaderno marrone, che saranno pubblicati postumi, così come il manoscritto delle Ricerche filosofiche (1953).
Il primo e il secondo Wittgenstein
Si definisce il primo Wittgenstein quello del Tractatus logicophilosophicus, mentre il secondo Wittgenstein è quello dei due Quaderni e delle Ricerche.
Il primo Wittgenstein affronta un’opera di chiarificazione del linguaggio dal punto di vista logico, attraverso la formulazione una vera e propria teoria del linguaggio come totalità.
Il secondo Wittgenstein si dedica alla descrizione degli usi concreti del linguaggio comune, esercitando un notevole influsso sulla filosofia analitica di J.L. Austin e G. Ryle.
La filosofia come critica del linguaggio
Nel Tractatus Wittgenstein intende determinare le condizioni in cui il linguaggio può essere ritenuto sensato e di conseguenza rispecchiare fedelmente il mondo.
Per fare ciò, parte dalla constatazione che il linguaggio è la raffigurazione logica del mondo e afferma che esso, in quanto costituito dalla “totalità delle proposizioni“, rappresenta la “totalità dei fatti“.
Il passaggio successivo è dato dall’analisi accurata dei vari tipi di proposizioni, che Wittgenstein distingue in molecolari o atomiche e, poiché le prime sono formate dalle seconde:
- Una proposizione molecolare è vera se è costituita da proposizioni atomiche vere
- Una proposizione atomica, o elementare, è vera se a essa corrisponde un fatto atomico reale (un dato empirico semplice immediato), cioè se sussiste nella realtà lo stato di cose da essa raffigurato.
Date queste premesse, i principi della logica vengono definiti tautologici e quindi sono inevitabilmente sempre veri, se usati correttamente, indipendentemente dalle proposizioni atomiche che collegano.
Le proposizioni della filosofia classica sono invece, secondo Wittgenstein, prive di senso, perché non riconducibili a fatti atomici. La filosofia deve quindi perdere il carattere di dottrina per acquisire quello di attività, la cui funzione sarà appunto la chiarificazione logica dei pensieri, cioè la critica del linguaggio.
Ci sono cose di cui è impossibile parlare
Le proposizioni della metafisica, dell’etica, dell’estetica non sono vere o false, ma semplicemente prive di senso, secondo Wittgenstein, in quanto non raffigurano dei fatti.
Non si tratta peraltro di negare valore a tali discipline, ma piuttosto di essere consapevoli che è impossibile affrontare con il nostro linguaggio le questioni essenziali per l’uomo, cioè Dio, la morte, il senso e il valore del mondo e della vita.
Da tale consapevolezza bisogna trarre le debite conseguenze in sede filosofica: “Tutto ciò che si può dire lo si può dire chiaramente. Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere“, afferma il filosofo.
Il secondo Wittgenstein e il linguaggio come attività concreta
A partire dal 1930, Wittgenstein ribalta completamente la sua prospettiva sul linguaggio. Il Tractatus tratta infatti di un linguaggio ideale, perfettamente coerente secondo i canoni della logica formale, di cui si tratta di determinare le condizioni di verità o di falsità, ma tutto ciò rende ragione solo di una parte molto ridotta del nostro uso effettivo del linguaggio.
Il secondo Wittgenstein critica questo approccio e in particolare la teoria del linguaggio come raffigurazione logica del mondo, e rivendica come compito della filosofia quello di indagare il linguaggio come attività concreta connessa con il comportamento umano.
La nostra attività comunicativa viene a questo punto considerata come un insieme di giochi linguistici, cioè di espressioni che svolgono funzioni molto diverse, nell’ambito di pratiche differenti.
Per il secondo Wittgenstein, il linguaggio diventa così una pratica intersoggettiva, che consiste in una pluralità di giochi linguistici, non riconducibili a un modello normativo unitario. Il significato dei segni non è infatti determinabile indipendentemente dal loro uso, ma dipende dal gioco linguistico in cui l’espressione è inserita.
#2. Bertrand Russell
Bertrand Russell (Trelleck, Galles, 1872 – Plas Penrhyn, Galles, 1970). Di origini aristocratiche, studia matematica e filosofia al Trinity College di Cambridge.
Il suo primo importante trattato è Principi della matematica (1903); pubblica poi Elementi di Etica (1910) e il fondamentale Principia Mathematica (1910-13) in collaborazione con il matematico inglese Alfred North Whitehead (1861-1947).
L’anticonformismo di Russell e le sue posizioni di radicale pacifismo lo condurranno persino in carcere (nel 1918, per sei mesi) e, una volta diventato insegnante, lo spingeranno a cambiare spesso sede universitaria, prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti.
Autore anche di numerose opere divulgative e su temi etici, portabandiera del movimento per la lotta contro la corsa agli armamenti e in favore dei popoli oppressi, viene insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1950.
Dal realismo al logicismo
Dall’iniziale realismo che Russell non abbandonerà mai del tutto, il filosofo inglese passa al logicismo, cioè alla ricostruzione della matematica in termini logici.
Lo scopo è evitare l’insorgere di antinomie (messe in luce da Frege) e in particolare di quella che va sotto il nome di “antinomia di Russell”: l’insieme di tutti gli insiemi che non sono elementi di se stessi è o non è elemento di se stesso? Se lo è, allora non lo è; se non lo è, allora lo è.
Per raggiungere questo obiettivo, Russell struttura l’universo del discorso in base alla teoria dei tipi.
Il linguaggio come stratificazione di tipi e ordini
L’insieme degli oggetti logico-matematici forma una gerarchia di gradi o tipi, per cui classi di individui, classi di classi ecc. appartengono tutti a tipi diversi. E, nella creazione di nuove entità logicomatematiche, occorre rispettare tale gerarchizzazione.
Inoltre, per evitare che nella definizione di un ente si possa far riferimento a totalità di cui esso è membro, si impone un’ulteriore stratificazione delle espressioni del linguaggio in ordini.
Il linguaggio come strumento di indagine della realtà
Come per Wittgenstein, l’analisi del linguaggio è per Russell l’indispensabile strumento di indagine della realtà, in grado di svelarne e chiarificarne la struttura. Secondo una concezione radicalmente empirista, il filosofo inglese riduce gli oggetti fisici ai dati sensoriali osservabili.
L’esperienza viene così posta alla base della conoscenza diretta (o “di fatto”), ma anche di quella che da essa possiamo inferire: trovano in questo modo un fondamento empirico non solo le scienze, ma anche la matematica e la logica.
#3. Karl Raimund Popper
Karl Raimund Popper (Vienna, 1902 – Londra, 1994). Formatosi nell’ambito della cultura austriaca negli anni del crollo asburgico e della conseguente crisi culturale e sociale, Popper si dedica a studi filosofici e scientifici ed entra in contatto con il Circolo di Vienna, senza mai farne però veramente parte.
Nel 1934 pubblica una critica radicale del neopositivismo, La logica della scoperta scientifica. Abbandonata l’Austria in seguito all’annessione alla Germania nazista, Popper ripara in Nuova Zelanda, poi in Inghilterra, dove ottiene la cittadinanza.
Nel 1945 pubblica La società aperta e i suoi nemici. Dal 1949 insegna logica all’Università di Londra. Del 1962 è la pubblicazione di Congetture e confutazioni.
Contro il neopositivismo
Esponente di spicco nella filosofia della scienza, lucido critico del neopositivismo, Popper si schiera in particolare contro il principio di verificazione, secondo cui un enunciato è dotato di significato se e solo se è verificabile empiricamente.
Popper parte dalla critica di Hume al procedimento induttivo; secondo tale critica è impossibile dal punto di vista logico giustificare una conclusione universale a partire da una somma di casi particolari.
Per esempio, l’osservazione di un gran numero di cigni bianchi non mi potrà mai dare la certezza che tutti i cigni sono bianchi. Popper giunge così alla conclusione che è impossibile verificare le proposizioni scientifiche.
Il principio di falsificazione
Portando alle estreme conseguenze le sue critiche al neopositivismo, Popper giunge ad affermare che è sufficiente un solo esempio contrario (l’osservazione di un solo cigno nero) per dimostrare la falsità di una proposizione scientifica.
Ma proprio la “falsificabilità” diventa il criterio di demarcazione fra scienza e non scienza. Popper enuncia infatti il principio di falsificazione, per cui una teoria è scientifica solo se è falsificabile, cioè se è concepita in modo da poter essere sottoposta a esperimenti in grado di provarne l’eventuale falsità.
Sulla base di tale principio, dovranno per esempio essere escluse dal novero delle scienze il marxismo e la psicoanalisi, poiché entrambe queste correnti di pensiero ricercano conferme piuttosto che falsificazioni; mentre la scienza, secondo Popper, non consiste tanto nel cogliere la verità, quanto nell’atteggiamento critico assunto dal ricercatore.
Imparare dagli errori
Poiché il metodo induttivo non è logicamente giustificabile, ed è quindi impossibile per la ricerca scientifica passare da osservazioni empiriche particolari alla formulazione di leggi universali, Popper propone un metodo ipotetico-deduttivo, secondo cui bisogna assumere come punto di partenza l’ipotesi (una determinata teoria), che dovrà in seguito essere controllata mediante i fatti.
Ogni teoria scientifica è in questo modo assunta solo provvisoriamente come vera, poiché potrà sempre essere confutata da futuri controlli. La scienza che descrive Popper è quindi una scienza che procede per congetture e confutazioni, imparando dai propri errori.
Procedere con gradualità
Nello sviluppo delle scienze non si può che procedere gradualmente, tornando sui propri passi, sottoponendo a verifica ogni risultato e considerando fallibile ogni teoria, ma questo atteggiamento critico vale anche in campo sociale e politico.
Popper polemizza a questo proposito con lo storicismo, perché viziato da un intento finalistico che indirizza il corso storico verso una meta prefissata, e propone un’interessante nozione di previsione tecnologica, che procede per tentativi ed errori esattamente come il metodo scientifico da lui auspicato.
In opposizione a Platone, Hegel e Marx, Popper promuove una meccanica sociale gradualistica, in cui ogni intervento deve avere una portata limitata, così che si possano correggere continuamente gli errori commessi. Inoltre Popper afferma che, fra tutti gli ideali politici, il desiderio di rendere felice l’uomo è forse il più pericoloso.
#4. Thomas Kuhn
- Pagine: 251
- Formato: Da 20 a 28 cm
- Autore: Kuhn Thomas S.
- Traduttore: Carugo A.
- Anno pubblicazione: 2009
Thomas Kuhn (Cincinnati, Ohio, 1922 – Cambridge, Massachusetts, 1996). Dotato di una solida preparazione nel campo della fisica, si dedica in seguito alla storia e alla filosofia della scienza. Nella sua opera principale, La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962), sostiene una teoria epistemologica che si oppone sia al neopositivismo, sia al falsificazionismo di Popper.
Le rivoluzioni scientifiche
Secondo Kuhn, la storia della filosofia scienza procede attraverso l’alternarsi di fasi di scienza normale e fasi di frattura rivoluzionaria. Nelle fasi di scienza normale, vigono dei modelli scientifici (paradigmi) che sono unanimemente accettati all’interno della comunità dei ricercatori, e che quindi tutti gli studiosi rispettano, senza metterli in discussione o tentare di sottoporli a procedimenti di falsificazione.
Durante le fasi di rivoluzioni scientifiche, il paradigma dominante dominante è messo radicalmente in crisi e sostituito da un nuovo modello. Questo significa una modifica radicale dei metodi di pratica scientifica, dei modi di vedere i fenomeni, delle direzioni di ricerca.
Soprattutto significa che la nuova comunità scientifica che si raccoglierà intorno al nuovo paradigma non sarà praticamente in grado di comunicare con quella vecchia, e procederà per la sua strada in modo assolutamente autonomo rispetto al passato… fino alla successiva rivoluzione!
#5. Imre Lakatos
Imre Lakatos (Ungheria, 1922 – Londra, 1974). Di origini ebraiche, è costretto a lasciare l’Ungheria per le sue posizioni contrarie all’ortodossia comunista, e ripara prima a Vienna e poi in Inghilterra.
Naturalizzato britannico, insegna a Cambridge e a Londra, dove pubblica la sua opera principale: La storia della scienza e le sue costruzioni razionali (1970). Nel 1976 uscirà postumo il testo Dimostrazioni e confutazioni.
I programmi di ricerca nella filosofia della scienza di Lakatos intende correggere il falsificazionismo di Popper, in questo modo: per il filosofo austriaco le teorie vengono confutate dalle osservazioni contraddittorie. In realtà, Popper non è in grado di spiegare perché teorie già confutate continuino a essere sostenute e anzi molte teorie nascano già confutate.
Lakatos sostiene invece che la scienza progredisce attraverso la competizione non di teorie scientifiche, ma di programmi di ricerca, che costituiscono lo sfondo concettuale generale (la visione del mondo) delle teorie stesse.
#6. Paul Feyerabend
- Feyerabend, Paul K. (Autore)
Paul Feyerabend (Vienna, 1924 – Zurigo, 1994). Allievo di Popper, lascia l’Austria per l’Inghilterra negli anni Cinquanta. In seguito si stabilisce negli Stati Uniti, ottenendo la cittadinanza americana e insegnando a lungo nell’Università californiana di Berkeley. La sua opera più famosa è Contro il metodo (1975).
Libertà e creatività
La scienza secondo Feyerabend è un’impresa creativa e anarchica, che procede al di fuori di ogni autorità, compresa quella della ragione. In polemica sia con il neopositivismo, sia con il razionalismo critico di Popper, Feyerabend si erge a difensore dell’irrazionalità della scienza, affermando una sorta di anarchismo metodologico.
In tale visione, le scoperte scientifiche sono quindi rese possibili proprio dalle violazioni al metodo scientifico, inteso come insieme di regole vincolanti. Tali violazioni non sono dunque accidentali, ma necessarie al progresso della scienza.
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