Last Updated on 16 Febbraio 2021 by Samuele Corona
La psicologia umanistica si occupa di quelle capacità e potenzialità umane che hanno uno spazio limitato nella teoria comportamentista quanto nella teoria psicoanalitica classica.
Negli Stati Uniti degli anni ’50, la psicologia accademica era da tempo dominata da due principali scuole ideologiche. La prima, e quella che di gran lunga ebbe il predominio più duraturo, fu il comportamentismo (behaviorismo); la seconda fu la psicoanalisi freudiana.
Una voce minore tentò di farsi sentire per la prima volta sul finire degli anni Trenta e negli anni Quaranta: apparteneva a “psicologi anormali e sociali” che faticavano a rimanere entro i bastioni della psicologia sperimentale.
- Mastropaolo, Mario(Autore)
Quei teorici della personalità (per esempio Gordon Allport, Abraham Maslow, Carl Rogers e Rollo May) si sentirono gradualmente a disagio nei confronti dei limiti delle due scuole.
Sentivano che entrambi gli approcci ideologici alla persona escludevano alcune delle qualità più importanti che rendono umano l’essere umano, per esempio la scelta, i valori, l’amore, la creatività, la consapevolezza di sé, il potenziale umano.
La scuola della Psicologia umanistica
Nella prima metà degli anni Cinquanta, gli psicologi anormali e sociali istituirono formalmente una nuova scuola ideologica, che etichettarono con la definizione di Psicologia Umanistica.
La psicologia umanistica, alla quale a volte ci si riferisce come “Terza Forza” (dopo, appunto, il comportamentismo e la psicoanalisi), divenne una solida organizzazione con un numero di soci crescente e un’assemblea annuale frequentata da migliaia di professionisti.
Nel 1961 l’associazione americana di psicologia umanistica fondò il Journal of Humanistic Psychology, che nel suo comitato editoriale incluse figure quali Carl Rogers, Rollo May, Abraham Maslow, Aldous Huxley e James Bugental.
Di cosa si occupa la Psicologia Umanistica
Al suo debutto, l’organizzazione nascente fece alcuni tentativi per definirsi formalmente. Nel 1962 dichiarò:
La psicologia umanistica si preoccupa per prima cosa di quelle capacità e potenzialità umane che hanno uno spazio limitato o non sistematico tanto nella teoria positivista o behaviorista quanto nella teoria psicoanalitica classica.
Per esempio l’amore, la creatività, il sé, la crescita, la gratificazione di base dei bisogni, i valori più elevati, l’essere, il divenire, la spontaneità, il gioco, l’umorismo, la salute psicologica e i concetti correlati.
I 5 Postulati della psicologia umanistica
Nel 1963 il presidente dell’associazione, James Bugental, suggerì cinque postulati di base:
#1. L’uomo, in quanto uomo, è più della somma delle sue parti (ovvero l’uomo non può essere capito da uno studio scientifico delle sue parti e funzioni).
#2. L’uomo acquisisce il suo essere all’interno di un contesto umano (ovvero l’uomo non può essere capito dallo studio di sue parti e funzioni senza tener conto dell’esperienza interpersonale).
#3. L’uomo è consapevole di se stesso (e non può essere capito da una psicologia che non riesce a riconoscere la consapevolezza di sé continua e a più livelli dell’uomo).
#4. L’uomo è dotato della capacità di scelta (l’uomo non è un astante rispetto alla propria esistenza, egli crea la propria esperienza).
#5. L’uomo è intenzionale (l’uomo punta al futuro, ha uno scopo, dei valori e un significato).
Il famoso psichiatra statunitense Irvin Yalom, docente di Stanford, sostiene che in quel periodo storico, gli Stati Uniti erano immersi in uno Zeitgeist di espansività, ottimismo, orizzonti illimitati e pragmatismo.
Gli psicologi umanisti, dice Yalom, parlano meno di limiti e di contingenza che di sviluppo del potenziale, meno di accettazione che di consapevolezza, meno di angoscia che di esperienze culminanti e di unità oceanica, meno di significato della vita che di realizzazione di sé.
La controcultura e i relativi fenomeni sociali
Nella narrazione di Irvin Yalom, negli anni Sessanta la controcultura e i relativi fenomeni sociali (il movimento per la libertà di espressione, i figli dei fiori, l’utilizzo di droghe, la rivoluzione sessuale) inghiottirono il movimento psicologico umanista e in breve le riunioni dell’associazione divennero una sorta di parco divertimenti.
Il grande padiglione della psicologia umanista era se non altro generoso, e in breve incluse un numero incredibile di scuole che riuscivano a stento a comunicare l’una con l’altra in una sorta di esperanto esistenziale.
La terapia della Gestalt, la terapia transpersonale, i gruppi d’incontro, la medicina olistica, la psicosintesi, il Sufi e molti, molti altri gruppi si buttarono nell’arena.
Le nuove tendenze avevano orientamenti di valori dotati di implicazioni significative per la psicoterapia. C’era un’enfasi:
- sull’edonismo (” se dà una bella sensazione, fallo”),
- sull’antintellettualismo (che considera qualsiasi approccio cognitivo come qualcosa che “ti fotte il cervello”), sulla realizzazione individuale (” fai le tue cose”),
- e sull’attualizzazione di sé (la fede nella perfettibilità umana è comune alla maggior parte degli psicologi umanisti).
Queste tendenze proliferanti, in particolare le spinte all’antintellettualismo, produssero un divorzio tra la psicologia umanista e la comunità accademica.
All’epoca gli psicologi umanisti titolari di incarichi accademici si sentirono a disagio per la compagnia che avevano scelto e, a poco a poco, si allontanarono dalle tendenze proliferanti.
Fritz Perls, già di per sé ben lontano dall’essere un difensore della disciplina, espresse una grande preoccupazione riguardo a un approccio basato sulla “consapevolezza sensoriale istantanea”, sulla ricerca di sensazioni e sul “tutto va bene”.
Alla fine, le tre figure che avevano fornito alla psicologia umanista la guida intellettuale iniziale (May, Rogers e Maslow) espressero forti riserve riguardo a queste tendenze irrazionali e finirono per ridurre il loro sostegno attivo.
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Bibliografia: Tratto
(con modifiche e adattamenti al post) dal libro: “Psicoterapia esistenziale” di Irvin Yalom
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