Last Updated on 19 Maggio 2021 by Samuele Corona
Ludwig Wittgenstein (Vienna, 1889 – Cambridge, 1951). Nato in una ricchissima famiglia austriaca, studia ingegneria a Berlino e aeronautica a Manchester, quindi si trasferisce a Cambridge per studiare logica e matematica con Bertrand Russell, di cui diventa grande amico.
Dopo aver scritto il fondamentale Tractatus logico-philosophicus, Wittgenstein rinuncia al patrimonio famigliare e si ritira dalla ricerca, diventando maestro elementare.
Nel 1927, su insistenza di Moritz Schlick, inizia a frequentare il cosiddetto Circolo di Vienna, cioè quel gruppo di scienziati e filosofi che si raccoglie sotto le bandiere del neopositivismo (spesso definito anche positivismo logico) e tenta di mettere a punto un progetto critico di chiarificazione dei concetti delle scienze in un’ottica radicalmente empirista e antimetafisica.
Dal 1930 al 1947 insegna a Cambridge, e le raccolte di appunti dei suoi allievi costituiscono il materiale per il Quaderno blu e il Quaderno marrone, che saranno pubblicati postumi, così come il manoscritto delle Ricerche filosofiche (1953).
Il primo e il secondo Wittgenstein
Si definisce il primo Wittgenstein quello del Tractatus logicophilosophicus, mentre il secondo Wittgenstein è quello dei due Quaderni e delle Ricerche.
Il primo Wittgenstein affronta un’opera di chiarificazione del linguaggio dal punto di vista logico, attraverso la formulazione una vera e propria teoria del linguaggio come totalità.
Il secondo Wittgenstein si dedica alla descrizione degli usi concreti del linguaggio comune, esercitando un notevole influsso sulla filosofia analitica di J.L. Austin e G. Ryle.
Ludwig Wittgenstein è considerato uno tra i 6 principali filosofi del ‘900.
La filosofia come critica del linguaggio
Nel Tractatus Wittgenstein intende determinare le condizioni in cui il linguaggio può essere ritenuto sensato e di conseguenza rispecchiare fedelmente il mondo.
Per fare ciò, parte dalla constatazione che il linguaggio è la raffigurazione logica del mondo e afferma che esso, in quanto costituito dalla “totalità delle proposizioni“, rappresenta la “totalità dei fatti“.
Il passaggio successivo è dato dall’analisi accurata dei vari tipi di proposizioni, che Wittgenstein distingue in molecolari o atomiche e, poiché le prime sono formate dalle seconde:
- Una proposizione molecolare è vera se è costituita da proposizioni atomiche vere
- Una proposizione atomica, o elementare, è vera se a essa corrisponde un fatto atomico reale (un dato empirico semplice immediato), cioè se sussiste nella realtà lo stato di cose da essa raffigurato.
Date queste premesse, i principi della logica vengono definiti tautologici e quindi sono inevitabilmente sempre veri, se usati correttamente, indipendentemente dalle proposizioni atomiche che collegano.
Le proposizioni della filosofia classica sono invece, secondo Wittgenstein, prive di senso, perché non riconducibili a fatti atomici. La filosofia deve quindi perdere il carattere di dottrina per acquisire quello di attività, la cui funzione sarà appunto la chiarificazione logica dei pensieri, cioè la critica del linguaggio.
Ci sono cose di cui è impossibile parlare
Le proposizioni della metafisica, dell’etica, dell’estetica non sono vere o false, ma semplicemente prive di senso, secondo Wittgenstein, in quanto non raffigurano dei fatti.
Non si tratta peraltro di negare valore a tali discipline, ma piuttosto di essere consapevoli che è impossibile affrontare con il nostro linguaggio le questioni essenziali per l’uomo, cioè Dio, la morte, il senso e il valore del mondo e della vita.
Da tale consapevolezza bisogna trarre le debite conseguenze in sede filosofica: “Tutto ciò che si può dire lo si può dire chiaramente. Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere“, afferma il filosofo.
Il secondo Wittgenstein e il linguaggio come attività concreta
A partire dal 1930, Wittgenstein ribalta completamente la sua prospettiva sul linguaggio. Il Tractatus tratta infatti di un linguaggio ideale, perfettamente coerente secondo i canoni della logica formale, di cui si tratta di determinare le condizioni di verità o di falsità, ma tutto ciò rende ragione solo di una parte molto ridotta del nostro uso effettivo del linguaggio.
Il secondo Wittgenstein critica questo approccio e in particolare la teoria del linguaggio come raffigurazione logica del mondo, e rivendica come compito della filosofia quello di indagare il linguaggio come attività concreta connessa con il comportamento umano.
La nostra attività comunicativa viene a questo punto considerata come un insieme di giochi linguistici, cioè di espressioni che svolgono funzioni molto diverse, nell’ambito di pratiche differenti.
Per il secondo Wittgenstein, il linguaggio diventa così una pratica intersoggettiva, che consiste in una pluralità di giochi linguistici, non riconducibili a un modello normativo unitario. Il significato dei segni non è infatti determinabile indipendentemente dal loro uso, ma dipende dal gioco linguistico in cui l’espressione è inserita.
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