Last Updated on 8 Aprile 2024 by Samuele Corona
La psicologia sociale è una disciplina che studia il comportamento, gli stati e i processi mentali che si sviluppano a seguito delle interazioni individuo-ambiente, costituite da rapporti amicali, di coppia, familiari, di gruppo e intergruppi.
Essa considera pertanto l’interdipendenza soggetto-società, al fine di comprendere per un verso come il modo di percepire e valutare la realtà sia influenzato dalle dinamiche sociali e per l’altro per definire come dall’interazione dipenda il costituirsi di norme e credenze collettive.
Molte teorie psicosociali sono fondate su ricerche sperimentali, ovvero costruite osservando gli esiti della manipolazione sistematica, effettuata in base a specifiche ipotesi, di “variabili indipendenti” e il suo effetto sulle “dipendenti”.
Tale metodologia, che richiede controlli rigorosi, rispetta perlopiù il modello stimolo-risposta. Gli esperimenti possono essere condotti su individui o gruppi; la risposta consiste in un comportamento o nel resoconto di atteggiamenti e intenzioni, mentre lo stimolo è un’informazione che presuppone specifiche elaborazioni da parte del soggetto.
Gli Esperimenti più famosi della Psicologia Sociale
Di seguito i 4 esperimenti più famosi nella storia della psicologia sociale.
#1. L’esperimento sul Conformismo (Solomon Asch)
In questo esperimento, condotto negli anni ’50, lo psicologo Solomon Asch, si propose di studiare in laboratorio i fattori che inducono un soggetto a resistere o ad arrendersi alle pressioni di un gruppo coeso di estranei, quando quest’ultimo esprime giudizi sulla realtà che contraddicono le sensazioni del soggetto stesso.
Asch invitò 8 studenti di un college a partecipare a una ricerca sulla discriminazione visiva. I soggetti dovevano osservare un pannello e stabilire, per 18 volte, quale fra tre linee verticali che vi erano disegnate fosse di lunghezza uguale a una quarta linea di riferimento.
In ciascuna prova, una delle linee di confronto era della stessa lunghezza della linea di riferimento, mentre le altre due erano chiaramente diverse. I soggetti, seduti in semicerchio, dovevano esprimere il loro giudizio a turno, a voce alta, nell’ordine in cui erano disposti.
Nel gruppo c’era un solo soggetto sperimentale, che occupava la penultima posizione; gli altri erano tutti complici del ricercatore, che avevano ricevuto precise istruzioni per dare, in modo calmo e sicuro, una risposta prestabilita: in sei prove “neutrali” dovevano rispondere correttamente; nelle restanti dodici prove critiche dovevano dare tutti, concordemente, la stessa risposta errata.
Asch inserì alcune prove neutrali per evitare che il soggetto si insospettisse o che attribuisse le risposte dei complici a problemi di vista.
Egli era interessato proprio al comportamento di questo individuo: come avrebbe reagito di fronte alla pressione del gruppo che, in modo compatto, contraddiceva palesemente l’evidenza suggerita dai suoi occhi? Si sarebbe contrapposto alla maggioranza oppure avrebbe smentito l’evidenza dei suoi stessi sensi?
Molti scelsero questa seconda strada.
- Rago, Marina(Autore)
DA Gli esperimenti nelle scienze sociali:
Sulla base di interviste condotte al termine delle prove, Asch stabilì che il sottomettersi alla pressione del gruppo era il risultato di differenti condizioni psicologiche: alcuni soggetti accondiscendenti avevano scarsa fiducia nei loro giudizi e credevano che il parere espresso dagli altri partecipanti fosse più attendibile;
altri individui non dubitavano veramente di ciò che avevano visto, ma preferivano conformarsi alla maggioranza per non esporsi pubblicamente come devianti: questi soggetti si preoccupavano che gli altri si formassero una buona impressione di loro e avevano paura di sentirsi socialmente esclusi.
Asch introdusse poi una serie di varianti al disegno originario. In una prima variante, decise di inserire nel gruppo un membro (anch’egli complice dello sperimentatore) che, dissociandosi dal parere della maggioranza, esprimeva un giudizio aderente a quello del soggetto osservato.
Questo individuo occupava la quarta posizione nel semicerchio ed annunciava la sua risposta prima del soggetto sperimentale, che invece veniva interpellato per ultimo. In questo caso, la sola presenza di una persona che condivideva le sue impressioni era sufficiente a far sì che molti soggetti sperimentali trovassero il coraggio di opporsi al giudizio della maggioranza.
DA Gli esperimenti nelle scienze sociali:
Per scoprire se la diminuzione del livello di conformismo fosse imputabile alla presenza di questo “alleato” oppure alla rottura della maggioranza, Asch ideò un altro disegno dove un membro del gruppo deviava dalla maggioranza compatta, dando però anch’egli una risposta sbagliata rispetto al soggetto critico; in questa condizione, dunque, la maggioranza non era più unanime, ma il giudizio del soggetto sperimentale non riceveva un sostegno diretto. In questo caso, la frequenza dei comportamenti devianti si ridusse, ma non significativamente.
In un’altra variante, questo “alleato” del soggetto sperimentale, dopo aver iniziato a rispondere in maniera corretta, abbandonava la seduta a metà della prova, adducendo la scusa di un appuntamento; questa procedura permise ad Asch di osservare il comportamento del soggetto critico nel corso di una transizione da una situazione di sostegno, sia pur minimo, a una condizione di isolamento di fronte al gruppo:
l’esperienza di aver dapprima avuto, poi perso, il sostegno di un partner nell’opporsi alla maggioranza condusse molti soggetti ad abbandonare la loro indipendenza di giudizio e a sottomettersi alla pressione del gruppo.
Asch condusse poi l’esperimento con gruppi nei quali la maggioranza istruita dal ricercatore era formata da un numero di soggetti variabile da uno a sedici. Quando il soggetto sperimentale si confrontava con un solo individuo che contraddiceva le sue risposte, non si lasciava condizionare e continuava a rispondere in modo indipendente e corretto in ogni prova visiva; ma già in presenza di due individui complici si registrò il 12.8% di errori; sotto la pressione di tre complici, il livello di conformismo salì al 33%.
Continuando ad aumentare il numero dei complici, non si ottenevano però livelli di conformismo più alti. Asch inferì che l’inserimento di altri membri nella maggioranza aumentava solo se i complici venivano percepiti come giudici indipendenti, non come membri di un gruppo coeso.
#2. L’esperimento della bambola Bobo (Albert Bandura)
Questo esperimento del 1961 condotto da Albert Bandura intendeva spiegare come si sviluppa un comportamento aggressivo, che cosa spinge le persone a compiere atti aggressivi e cosa determina se continueranno a comportarsi in modo aggressivo o meno.
Dimostrando che un bambino imitava il comportamento di un modello adulto, l’esperimento indicò quanto fossero potenti gli esempi di aggressività forniti dall’ambiente sociale.
Per l’esperimento furono reclutati da una scuola materna locale, 36 bambini e 36 bambine, tutti di età compresa tra i tre e i sei anni.
I bambini sono stati divisi in tre gruppi di 24, ciascuno composto da 12 maschi e 12 femmine.
Il primo gruppo era il gruppo di controllo (che non vedeva alcun modello adulto di ruolo); il secondo gruppo era esposto al modellamento di un comportamento aggressivo adulto verso una bambola Bobo gonfiabile; il terzo gruppo è stato esposto ad un modello adulto passivo.
Tutti i bambini sono stati sottoposti individualmente all’esperimento per garantire che non fossero influenzati dai loro coetanei.
Negli esperimenti sul secondo gruppo, ogni bambino osservava un adulto che compiva atti fisicamente e verbalmente aggressivi nei confronti della bambola.
L’adulto ha colpito la bambola Bobo con un mazzuolo, l’ha lanciata in aria, l’ha presa a calci, la sbatteva a terra e la malmenava.
Quando poi il bambino veniva lasciato solo in una stanza con dei giocattoli, compresa la bambola Bobo, imitava buona parte degli atti aggressivi compiuti dai modelli adulti, creando anche nuovi atti di violenza contro la bambola.
I bambini di questo gruppo erano anche generalmente meno inibiti di quelli degli altri gruppi, mostrando una maggiore attrazione per le pistole giocattolo, anche se queste non erano state oggetto di modellamento.
Al contrario, i bambini del gruppo di controllo o quelli esposti a un modello adulto passivo, raramente mostravano aggressività fisica o verbale.
Sebbene Bandura abbia considerato la possibilità che l’osservazione di atti aggressivi non faceva altro che indebolire le inibizioni dei bambini a comportarsi in modo violento, il fatto che spesso imitavano l’esatto comportamento che avevano appena osservato faceva pensare che fosse in atto un apprendimento per osservazione.
#3. L’esperimento della prigione di Stanford (Philip Zimbardo)
Nell’agosto del 1971, il professore di psicologia Philip Zimbardo condusse un esperimento nel seminterrato della Jordan Hall della Stanford University per scoprire come si sarebbero comportati degli individui messi in una posizione di autorità con potere illimitato.
Con “L’esperimento della prigione di Stanford”, servendosi di 24 studenti universitari che interpretavano i ruoli di finti prigionieri e finte guardie, Zimbardo avrebbe indagato le dinamiche di potere e le relazioni in un contesto carcerario per capire se il potere rende le persone brutali e sadiche o se quelle qualità sono intrinseche nella natura umana.
Con il lancio di una moneta, Zimbardo e il suo gruppo di ricerca assegnò casualmente i ruoli di “prigionieri” e “guardie”, l’esperimento iniziò di domenica mattina, il 17 agosto 1971.
Quelli a cui era toccato il ruolo dei prigionieri furono arrestati e schedati in una vera stazione di polizia a Palo Alto, poi bendati furono trasferiti nel seminterrato del dipartimento di psicologia della Stanford University, trasformato in una finta prigione.
La prigione necessaria all’esecuzione dell’esperimento fu ricavata dal seminterrato del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Stanford. Le celle furono realizzate sostituendo le normali porte dei laboratori con porte speciali fatte di sbarre d’acciaio.
Ogni cella era dotata di un citofono dentro il quale venne installato un microfono-spia per controllare i discorsi dei prigionieri. Telecamere collegate a videoregistratori che permettevano di controllare ogni attività vennero collocate in punti strategici della struttura. Nella prigione non c’erano finestre né orologi che aiutassero a rendersi conto del trascorrere del tempo.
Per rendere l’esperienza il più reale possibile dal punto di vista psicologico, dopo aver rilasciato le impronte digitali i prigionieri furono spogliati, perquisiti e privati degli effetti personali, irrorati con uno spray disinfestante e costretti a indossare un ampio camice riportante un numero di identificazione, dei sandali di gomma e un copricapo ricavato da una calza di nylon.
Per accresce il senso di disumanizzazione, erano chiamati soltanto con il numero loro assegnato e ognuno indossava una cavigliera di metallo a cui era fissata una catena, per ricordare la mancanza di libertà.
Le guardie indossavano vere uniformi della guardia carceraria con occhiali da sole per impedire il contatto visivo con i prigionieri, tenendo bene in vista chiavi, fischietti, manette e manganelli. Erano in servizio 24 ore al giorno.
Sebbene la violenza fisica non fosse permessa, le guardie potevano, molestare i prigionieri, trattenere il cibo o togliere privilegi a loro discrezione.
Con stupore dei ricercatori, l’ambiente divenne ben presto minaccioso per i partecipanti. Molte guardie mostrarono una marcata tendenza ad assumere atteggiamenti crudeli verso i prigionieri, e questi ultimi a rimanere passivi.
I ricercatori dovettero ricordare più volte ai carcerieri di astenersi da azioni violente, che aumentavano nelle ore notturne, quando le guardie erano convinte di non essere osservate.
Mentre le guardie aumentavano la loro aggressività, i prigionieri diventavano sempre più stressati. Dopo circa 36 ore di prigionia e maltrattamenti da parte delle guardie, uno studente, il detenuto n. 8612, fu rilasciato perché manifestava disturbi depressivi gravi, pensiero disorganizzato, pianto irrefrenabile e attacchi d’ira.
Già il secondo giorno cinque soggetti vennero rispediti a casa perché accusavano sintomi di depressione, turbe emotive e persino eruzioni cutanee di natura psicosomatica. Quando i detenuti vennero visitati da un autentico sacerdote, alcuni gli chiesero di metterli in contatto con un avvocato.
L’esperimento di 2 settimane durò solo 6 giorni. Il sesto giorno dell’esperimento, Christina Maslach, una dottoranda, fu chiamata per intervistare i detenuti. Rimase inorridita da ciò che vide e chiese a Zimbardo di porre fine all’esperimento.
Zimbardo, rendendosi conto che la dottoranda aveva ragione, decise di terminare lo studio. In seguito ha dichiarato che anch’egli, una volta entrato nella parte, ragionava come il direttore della prigione e non più come lo psicologo della ricerca.
L’esperimento ha dimostrato che è possibile indurre delle brave persone a comportarsi in modo malvagio immergendole in “situazioni totali” con un’ideologia che apparentemente le legittima con regole e ruoli approvati.
LEGGI ANCHE: L’esperimento della prigione di Stanford potrebbe essere lo studio più sconvolgente mai condotto
#4. L’esperimento sull’obbedienza all’autorità (Stanley Milgram)
Stanley Milgram nel 1961 voleva capire fino a che punto le persone si sarebbero spinte nell’ infliggere punizioni dolorose ad un innocente. Il soggetto dell’esperimento impersonava la parte dell’istruttore che era disposto ad infliggere il massimo dolore anche quando l’allievo, impersonato da un collaboratore, gridava dal dolore.
Tutti e 40 i soggetti continuavano l’esperimento anche quando l’urlo dell’allievo era straziante. Solo alcuni, dopo la scarica di 300 volt, smettevano quando udivano che chi gridava, non avrebbe più risposto al test di memoria.
Milgram prima di iniziare fece una previsione sull’andamento dell’esperimento dando una probabilità del 1%-2% di soggetti che sarebbero arrivati fino a 450 volt, invece quasi la totalità dei soggetti ci arrivarono.
Un esperimento successivo ha dimostrato che il sesso era irrilevante nel mantenere la condotta sadica, così come non era possibile che i soggetti non si rendessero conto del reale pericolo fisico della vittima, anche quando questa lamentava problemi cardiaci.
Dopo che anche la possibilità che fosse stato reclutato involontariamente un gruppo di sadici venne considerata come infondata, Milgram diede una spiegazione al fenomeno indicandolo come il naturale senso di deferenza verso l’autorità che è radicato in noi.
L’incapacità del soggetto a contrastare l’ordine del “capo” che lo incita nel fare il suo dovere. I soggetti si rendevano conto che stavano nuocendo alla vittima, pregavano il ricercatore di lasciarli smettere ma dando quest’ultimo il suo rifiuto, continuavano protestando, tremando, sudando arrivando alcuni a crisi di riso nervoso.
Per fornire ulteriori prove, Milgram scambiò le parti del ricercatore (che ordinava di infliggere la punizione) e della vittima (cioè il soggetto che fungeva da istruttore). Ora era il ricercatore a chiedere di interrompere la prova per pietà verso l’allievo, mentre quest’ultimo insisteva coraggiosamente per andare avanti.
Il 100% dei soggetti (nella parte del ricercatore che impartiva l’ordine) si rifiutò di somministrare anche una sola scarica se a chiederlo era solo il compagno.
Stesso risultato se il ricercatore (che prima impartiva l’ordine) ora fungeva da allievo legato alla sedia, mentre l’altro soggetto (collaboratore che fingeva il dolore) faceva la parte del ricercatore impartendo l’ordine. Nessuno azionava la leva.
L’attenzione agli ordini dell’autorità e il fatto che non si trattava di soggetti sadici è dimostrata da un esperimento in cui due ricercatori davano ordini contraddittori; uno di continuare nelle scariche, l’altro di interrompere. Il soggetto non sapendo quale ordine eseguire, chiese di decidersi su un unico ordine e poi, venendo meno alla possibilità di obbedire alla autorità, seguì il suo istinto interrompendo l’esperimento.
Questo risultato fa emergere l’estrema disponibilità di persone adulte a seguire fino in fondo l’ordine di un’autorità. Che applicato a un’altra forma di autorità, il governo, fa temere conseguenze poco rassicuranti.
Lo studio di Milgram era nato per indagare sul motivo che spingeva tanti soldati nazisti a compiere tali atrocità sotto il comando dei loro superiori, ma presto si accorse che non era necessario spingersi fino agli ambienti germanici per trovare una tale riprova.
Leggi anche: Il Principio di Autorità. Milgram, Cialdini e il cameriere Vincent
Conformarsi agli ordini dell’autorità ha sempre portato a vantaggi perché queste custodiscono un sapere superiore al nostro (vedi i nostri genitori) e questo e tanto logico per noi che spesso facciamo determinate cose anche quando è assurdo. Il vantaggio e che una volta riconosciuta l’autorità, eseguiamo un’azione senza preoccuparci di pensarci sopra credendo che sia la più adeguata alla situazione.
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Bibliografia
- “Gli esperimenti nelle scienze sociali” di Marina Rago
- “Psicologia sociale” di Ines Testoni
- “Il libro della psicologia” Gribaudo
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Bell’articolo sugli esperimenti,riassume in modo esaustivo e completo i punti salienti delle tematiche psicosociali e le sue applicazioni pratiche.
Francesco, grazie mille per il tuo bel commento.
Bell’ articolo, grazie.
Attenzione all’ esperimento di Stanford, ho letto di manipolazione con ordini dati ai carcerieri direttamente da Zimbardo. Ci fu una grande polemica già ai tempi da parte degli accademici
Grazie mille DD