Ernest Becker
(1924-1974) con Il rifiuto della morte vinse il Premio Pulitzer proprio nell’anno in cui, cinquantenne, chiudeva la sua esistenza terrena.
Dopo la laurea in antropologia, conseguita all’Università di Syracuse (N.Y.), aveva insegnato all’Università di Berkeley, allo State College in California, e alla Simon Fraser University in Canada.
Il rifiuto della morte (The Denial of Death) è considerato una delle opere intellettuali più influenti di tutto il XXI secolo, agitando i campi della psicologia e dell’antropologia e facendo al tempo stesso profonde affermazioni filosofiche che risultano influenti ancora oggi.
Ho incluso questo libro nella lista: 49 Libri Classici della Psicologia da leggere
Il rifiuto della morte sostiene essenzialmente due cose: 1) Gli esseri umani sono unici, essendo i soli animali capaci di concettualizzare e pensare a se stessi in termini astratti. 2) Gli esseri umani hanno due Sé, quello fisico e quello concettuale.
#1. Il terrore della morte (gli esseri umani sono unici)
Gli esseri umani sono unici, essendo i soli animali capaci di concettualizzare e pensare a se stessi in termini astratti.
I cani non se ne stanno seduti a preoccuparsi per la carriera. I gatti non rimuginano sugli errori passati né si chiedono cosa sarebbe successo se si fossero comportati diversamente. Le scimmie non discutono delle loro prospettive future, proprio come i pesci non si chiedono se con pinne più lunghe piacerebbero di più agli altri pesci.
In quanto esseri umani, abbiamo la fortuna di poterci immaginare in situazioni ipotetiche, di contemplare tanto il passato quanto il futuro, di figurarci altre realtà o situazioni in cui le cose potrebbero essere diverse.
Ed è grazie a questa capacità mentale unica, sostiene Becker, che tutti quanti, a un certo punto, diventiamo coscienti dell’inevitabilità della nostra morte.
Poiché siamo in grado di concettualizzare versioni alternative della realtà, siamo anche gli unici animali in grado di immaginare una realtà di cui non facciamo parte.
Tale realizzazione origina quello che Becker chiama “il terrore della morte”, una profonda ansia esistenziale che sta alla base di tutto ciò che pensiamo o facciamo.
#2. Progetti di immortalità (Gli esseri umani hanno due Sé)
La seconda argomentazione di Becker inizia con la premessa che abbiamo essenzialmente due “Sé”. Il primo è quello fisico, il nostro corpo. Il secondo quello concettuale, la nostra identità, o l’immagine che abbiamo di noi stessi.
La tesi di Becker è la seguente: siamo tutti consapevoli, in qualche modo, che il nostro sé fisico dovrà morire, che questa morte è inevitabile e che tale inevitabilità, inconsciamente, ci fa una paura.
Ne consegue che al fine di compensare questa paura dell’inevitabile perdita del nostro sé fisico, cerchiamo di costruirne uno concettuale che viva in eterno.
Per questo la gente fa tanti sforzi per mettere il proprio nome su edifici, statue o dorsi dei libri. Per questo sentiamo il bisogno di dedicare tanto tempo agli altri, soprattutto ai bambini, nella speranza che la nostra influenza, il nostro sé concettuale, ci sopravviva.
Che saremo ricordati, riveriti e idolatrati molto dopo che il nostro sé fisico avrà cessato di esistere. Becker chiama questi sforzi i nostri “progetti di immortalità”, progetti che permettono al nostro sé concettuale di sopravvivere di molto alla nostra morte fisica.
L’intera civiltà umana, sostiene Becker, è sostanzialmente il risultato di progetti d’immortalità: le città, i governi, le strutture e le autorità oggi esistenti sono stati tutti progetti d’immortalità degli uomini e delle donne che ci hanno preceduti. Sono i resti dei sé concettuali che hanno smesso di morire.
Nomi come Gesù, Maometto, Napoleone e Shakespeare sono potenti oggi tanto quanto durante la vita di quegli uomini, se non di più. Ed è questo il punto.
Che si provi a farlo padroneggiando una forma artistica, conquistando una nuova terra, accumulando ricchezze o semplicemente formando una famiglia grande e amorevole che resisterà per generazioni, tutto il senso della nostra vita è modellato da questo desiderio innato di non morire mai sul serio.
Il rifiuto della morte e i progetti di immortalità
Religione, politica, sport, arte e innovazione tecnologica sono il risultato di progetti d’immortalità. Becker sostiene che guerre, rivoluzioni e massacri si verificano quando il progetto d’immortalità di un gruppo si scontra con quello di un altro.
Secoli di oppressione e bagni di sangue hanno avuto come giustificazione la difesa del progetto d’immortalità di un gruppo rispetto a quello di un altro.
Ma, quando i nostri progetti d’immortalità falliscono, quando il significato si perde, quando la prospettiva che il nostro sé concettuale sopravviva a quello fisico non sembra più possibile o probabile, il terrore della morte, quell’ansia orribile e deprimente, torna a strisciare nella nostra mente.
Può essere causata dal trauma, così come dalla vergogna e dal dileggio sociale. Come pure, sottolinea Becker, dalla malattia mentale.
I progetti d’immortalità sono i nostri valori
Secondo l’analisi di Mark Manson, autore di libri self help, tra cui il best seller La sottile arte di fare quello che c***o ti pare, i nostri progetti d’immortalità sono i nostri valori. Sono i barometri del significato e del valore delle nostre vite. E quando falliscono, falliamo anche noi, psicologicamente parlando.
Ciò che dice Becker, in sostanza, è che la paura spinge tutti a sbattersi per qualcosa, perché sbattersi per qualcosa è l’unica maniera di distrarci dalla realtà e dall’inevitabilità della nostra morte.
- Editore: Newton Compton Editori
- Autore: Mark Manson , Micol Cerato
- Collana: Grandi manuali Newton
- Formato: Libro in brossura
- Anno: 2017
Sbattersene davvero del tutto, argomenta Manson, significa raggiungere uno stato semispirituale in cui si abbraccia l’impermanenza della propria vita. In quello stato, uno è molto meno soggetto al rischio di farsi prendere dalle varie forme di narcisismo.
L’antidoto amaro
Sul suo letto di morte, Becker giunse a una rivelazione sconvolgente: i progetti d’immortalità in realtà erano il problema, non la soluzione.
Invece di tentare di migliorare, spesso con misure letali, il proprio sé concettuale, bisognerebbe metterlo in dubbio e sentirsi più a proprio agio con la realtà della morte.
Becker lo chiamò “l’antidoto amaro” e si sforzò di riconciliarsi con questa idea mentre guardava in faccia la propria dipartita.
Per brutta che sia, la morte è inevitabile. Pertanto, non dovremmo fuggire questa consapevolezza, ma piuttosto venirne a patti nel miglior modo possibile.
Perché una volta che iniziamo a sentirci a nostro agio con la realtà della nostra morte, il terrore primario, l’ansia sotterranea che motiva tutte le ambizioni frivole della vita, possiamo scegliere più liberamente i nostri valori, senza essere imprigionati dall’illogica ricerca dell’immortalità ed emancipati dai pericoli delle visioni dogmatiche.
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Bibliografia:
- “Il rifiuto della morte” di Ernest Becker
- “La sottile arte di fare quello che c***o ti pare” di Mark Manson
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