Last Updated on 4 Settembre 2024 by Samuele Corona
35 Sociologi famosi che hanno lasciato il segno, tra i migliori autori nel campo della sociologia. Nel corso della storia sono state date numerose definizioni di sociologia, ognuna delle quali sottolinea aspetti differenti dell’interazione umana.
Una tale pluralità di definizioni è indice della dinamicità della disciplina e della sua capacità di ripensare continuamente il proprio oggetto secondo diverse prospettive.
Nonostante i diversi approcci, risulta comune il riferimento ai rapporti tra gli uomini e agli ordinamenti e strutture sociali in cui tali rapporti si costituiscono, lo studio degli atteggiamenti dominanti e delle motivazioni razionali che gli uomini ne danno (le ideologie), l’analisi dei gruppi minoritari e delle nuove forme di riconoscimento, la ricerca degli elementi costanti del vivere sociale all’interno delle variazioni storiche.
35 Sociologi famosi che hanno fatto la storia
Di seguito 35 sociologi famosi, protagonisti della ricerca sociologica. Il testo di riferimento, da cui ho estratto profili biografici e principali opere di sociologi famosi, è il seguente: Tutto Sociologia di Lucia de Martis.
#1. Francesco Alberoni
Francesco Alberoni
(Borgonovo Val Tidone, 31 dicembre 1929) sociologo, giornalista, scrittore, accademico e rettore italiano.
Dagli studi giovanili dedicati ai fenomeni del consumo di massa, del divismo, dell’urbanesimo, è andato via via concentrando la propria attenzione sui movimenti collettivi e le loro dinamiche.
Recuperando criticamente suggestioni di M. Weber e della Scuola di Francoforte, ha indagato i movimenti sociali di massa con Statu nascenti (1968), Movimento e istituzione (1970) e altri studi che analizzano la dialettica fra fasi di libera e creativa costituzione di interessi e valori collettivi e i successivi processi che ne producono la trasformazione in istituzioni sociali dotate di norme, vincoli e gerarchie (il paradigma dell’istituzione ecclesiastica è in questo senso estensibile alla formazione dello Stato, dei partiti politici ecc.).
Un significativo aggiornamento di queste problematiche è in Genesi (1989) e in L’arte del comando (2002), che ha fatto seguito a una serie di pubblicazioni costituenti una sorta di moderno “trattato delle passioni” (da Innamoramento e amore, 1979 a La speranza, 2001).
#2. Achille Ardigò
Achille Ardigò
(San Daniele del Friuli, 1 marzo 1921 – Bologna, 10 settembre 2008) è stato un sociologo e politico italiano.
Studioso di estrazione culturale cattolica, si è cimentato in numerose ricerche in tema di comunità, mutamento sociale, crisi dello Stato sociale e nuove forme di emarginazione, sviluppando anche un’interessante linea di ricerca teorica.
Si deve soprattutto ad Ardigò l’attenzione recente della sociologia italiana per la scuola fenomenologica e il tema dei “mondi vitali” di A. Schütz.
Fra i suoi lavori più significativi: Crisi di governabilità e mondi vitali (1980), Per una sociologia oltre il postmoderno (1988) e Volontariato e globalizzazione (2001).
#3. Zygmunt Bauman
Zygmunt Bauman (Poznan, 19 novembre 1925 – Leeds, 9 gennaio 2017) sociologo polacco, uno degli intellettuali più influenti d’Europa, noto per le opere che esaminano ampi cambiamenti nella natura della società contemporanea e dei loro effetti sulle comunità e sugli individui. Si è concentrato principalmente su come i poveri e i diseredati sono stati colpiti dai cambiamenti sociali.
Bauman e la sua famiglia fuggirono in Unione Sovietica nel 1939 dopo che la Germania invase la Polonia e durante la seconda guerra mondiale combatté in un’unità dell’esercito polacco sotto comando sovietico. Era anche membro di un’organizzazione stalinista dedita a spegnere la resistenza al comunismo.
Bauman tornò in Polonia dopo la fine della guerra e studiò sociologia e filosofia all’Università di Varsavia, dove in seguito divenne professore di sociologia. Fu costretto a lasciare il lavoro a causa di una campagna antisemita del 1968, quindi si trasferì in Israele, insegnando a Tel Aviv e Haifa. Ottenne una cattedra di sociologia presso l’Università di Leeds, dove dal 1971 al 1990 è stato professore.
- Editore: Laterza
- Autore: Zygmunt Bauman , Sergio Minucci
- Collana: Economica Laterza
- Formato: Libro in brossura
- Anno: 2006
Tra i suoi libri più celebri: Modernità e Olocausto (1989), in cui sosteneva che i paradigmi industriali e burocratici moderni rendevano immaginabile l’ Olocausto e che la macchina dell’industrialismo gli permetteva di realizzare.
Modernità liquida (2000), in cui ha esaminato gli effetti delle economie basate sul consumo, la scomparsa delle istituzioni sociali e l’ascesa della globalizzazione.
Articoli consigliati: Il disagio della Postmodernità di Zygmunt Bauman
#4. Peter L. Berger
Peter L. Berger
(Vienna, 17 marzo 1929 – Brookline, 27 giugno 2017) è stato un sociologo e teologo austriaco naturalizzato statunitense, noto principalmente come coautore insieme a Thomas Luckmann del saggio La realtà come costruzione sociale.
È uno fra i più rappresentativi ricercatori della sociologia della conoscenza e della religione. Ha formulato, complessivamente, l’ipotesi che la società sia il prodotto oggettivato e istituzionalizzato delle attività di interazione degli uomini durante la loro vita quotidiana.
Ha sviluppato nella sua opera più significativa, La realtà come costruzione sociale (scritta con A. T. Luckmann, 1966), un’interpretazione dei processi che producono la percezione collettiva del mondo sociale. A questa percezione si connettono le più complesse interazioni fra individui e gruppi.
Strumento privilegiato della comunicazione è il linguaggio, ma è la vita quotidiana nella sua interezza a dover essere posta per Berger al centro di un’efficace osservazione sociologica. È autore con H. Kellner di studi sulla frammentazione dell’identità delle persone nelle società tardo industriali.
Opere principali, oltre a quella già citata: Invito alla sociologia (1963), Un brusio di angeli (1969), Sociologia (con S. Berger, 1976); Lo smarrimento dell’uomo moderno (2010).
#5. Raymond Boudon
Raymond Boudon
(Parigi, 27 gennaio 1934 – Parigi, 10 aprile 2013) è stato un sociologo liberale francese.
Ha fornito importanti contributi allo sviluppo delle metodologie della ricerca sociale. Contro le suggestioni delle “teorie sistematiche” e in polemica con i modelli ispirati a una visione ideologica della società, ha proposto un’originale variante dell’individualismo metodologico, inteso come approccio circoscritto e sempre verificabile sul piano empirico ai singoli temi oggetto dell’osservazione del sociologo.
Boudon ha elaborato un modello che permette di spiegare i singoli casi di mutamento (anche quelli che riguardano l’intero sistema sociale) in relazione al contesto sociale e interattivo entro cui si verificano.
In particolare Boudon ritiene che le azioni individuali degli attori sociali, componendosi tra loro, producano degli effetti non previsti, anche se non necessariamente indesiderabili.
Tali conseguenze sono una fonte importante di cambiamento sociale e vincolano il ricercatore a un’attenta analisi della situazione in atto per comprendere quali siano i fattori di mutamento realmente agenti.
Fra le sue opere maggiori: Metodologia della ricerca sociologica (1974), Il posto del disordine (1985), L’ideologia. Origine dei pregiudizi (1991), A lezione dai classici (2000).
#6. Pierre Bourdieu
Pierre Bourdieu
(Denguin, 1 agosto 1930 – Parigi, 23 gennaio 2002) è stato un sociologo, antropologo, filosofo e accademico francese.
Ha privilegiato costantemente l’analisi dei fenomeni legati alla “riproduzione sociale”, dando coerenza interpretativa allo studio delle trasformazioni culturali nelle società di massa e dei nuovi compiti dell’educazione.
Ha sviluppato un complesso progetto di “critica sociale del gusto”, centrato sull’osservazione degli stili di vita delle diverse classi sociali.
Bourdieu ha incentrato la sua ricerca specialmente sull’analisi delle motivazioni alla base delle scelte di consumo, individuando due ordini di cause: la classe sociale di appartenenza, che deriva dal reddito e dal tipo di lavoro, e il capitale culturale, che dipende dall’istruzione.
Su questo punto ha osservato come il sistema culturale di ciascuna classe influenzi i bisogni degli individui e da qui ha definito il concetto di “stile di vita”, nel quale convergono atteggiamenti, consumi e impiego di oggetti da parte dei vari gruppi sociali.
Bourdieu ha ricostruito così una mappa sociale, nella quale ogni gruppo si distingue per i beni che usa e per come li usa.
Tra le sue opere: La distinzione. Critica sociale del gusto (1979), Sul concetto di campo in sociologia (1991).
#7. Auguste Comte
Auguste Comte
(Montpellier, 19 gennaio 1798 – Parigi, 5 settembre 1857), è stato un filosofo e sociologo francese, considerato il fondatore del Positivismo.
È considerato il fondatore del positivismo e l’iniziatore della sociologia con la pubblicazione del Corso di filosofia positiva (1832-42) e di altre due due opere fondamentali, il Sistema di politica positiva o trattato di sociologia (1851-54) e il Catechismo positivista (1852), in cui formulò la legge dei tre stadi della storia umana (teologico, metafisico, positivo) e un originale modello di riclassificazione delle scienze.
Per primo Comte sviluppa, nel quadro di un approccio sistematico, il concetto di sociologia intesa come nuova scienza della società e al tempo stesso come approdo logico del processo evolutivo della conoscenza scientifica.
La “nuova scienza” s’inscrive, per Comte, in un ambizioso progetto che muove dalla matematica per toccare l’astronomia, la fisica, la chimica, la biologia fino alla sociologia, appunto, escludendo tutte le discipline non passibili di produrre risultati verificabili e “oggettivi”.
Il disegno comtiano è peraltro attraversato da una vena di misticismo e di moralismo che finisce per rappresentare la sociologia come una sorta di nuova religione dell’umanità, di cui l’intellettuale-sociologo è il sacerdote.
- 3 Stadi di sviluppo dell’umanità di Comte
Questa religiosità laica è alla base della legge dei tre stadi di sviluppo dell’umanità, rielaborazione di impronta scientistica di vecchie concezioni cicliche ed evoluzionistiche della storia, riscattate in nome dell’idea positivistica di progresso.
Il primo stadio (teologico) è connotato dall’idea di una diretta e costante presenza del sovrannaturale nell’ordine dei fenomeni naturali e degli eventi storici; prevalgono l’ordine monarchico-aristocratico, il potere militare e le culture politiche dell’assolutismo, inteso come espressione di una volontà divina.
Il secondo stadio (metafisico) si accompagna, invece, alla ricerca delle cause invisibili dei fenomeni, producendo insieme la scienza moderna e un ordine politico fondato sull’identità di cultura e di sangue (nazionalismo) e sul potere dei giuristi.
Solo nel terzo stadio (positivo), con l’avvento della società industriale, l’umanità può affrancarsi dalle eredità della tradizione e della superstizione per volgersi allo studio delle cause ultime e all’affermazione della nozione di scienza positiva.
Scienza che, da un lato, si caratterizza come individuazione dei nessi e delle sequenze sistematiche operanti dietro l’apparente casualità dei fenomeni naturali, mentre dall’altro consente all’umanità, liberata dalle tenebre della pseudo-scienza metafisica, di assicurarsi il controllo e il dominio razionale sulle energie primarie: il potere deve passare agli scienziati.
La fisica sociale (o sociologia) eredita la funzione di organizzazione del sapere propria della filosofia, trasformandola però in qualcosa di più compiuto e sistematico, dal momento che la nuova scienza studia tanto l’ordine sociale (con la statica) quanto il mutamento (con la dinamica).
La visione mistica di Comte si accentua con gli anni, portandolo a pontificare sulla nuova religione dell’umanità, incentrata sul culto del Grande Essere e su un nuovo martirologio profano, sino a giungere alle soglie della costruzione di un vero e proprio movimento esoterico.
Un approdo intellettuale per certi aspetti sconcertante, che non può però cancellare la grande intuizione di Comte, che per primo coglie l’importanza sociale della scienza, descrivendo l’incipiente società industriale come realtà dominata dal calcolo, dalla razionalità tecnica, dalla cultura degli specialismi professionali e dal continuo processo di trasformazione delle strutture e delle relazioni fra gli uomini.
- Comte, Auguste(Autore)
#8. Charles H. Cooley
Charles Horton Cooley
(Ann Arbor, 1864 – 1929) è stato un sociologo statunitense, tra i principali teorici dell’integrazionismo simbolico. Dal 1892 è stato docente di sociologia presso l’Università del Michigan
Partendo dal presupposto evoluzionistico di una relazione organica tra società e individuo, ma rigettando il determinismo psicologico, esaminò importanti fenomeni sociali, come gli aspetti dell’organizzazione, la comunicazione, lo spirito democratico, le classi sociali, le istituzioni, la volontà pubblica.
Nell’opera Organizzazione sociale, del 1909, Cooley sostenne una teoria organica della società: la società è un tutto, composto da parti differenziate, che si rende visibile e stabile attraverso le organizzazioni e le istituzioni.
Organizzazioni e istituzioni svolgono infatti una funzione positiva di integrazione sociale, incarnando al tempo stesso i processi di identificazione degli individui. Individui e società sono complementari: l’identità individuale ha origine sociale e si forma nelle relazioni faccia a faccia all’interno dei “gruppi primari”, basati sull’incontro ravvicinato, sulla familiarità e sulla cooperazione.
Tra le opere: La natura umana e l’ordine sociale (1902), Organizzazione sociale (1909), Il processo sociale (1918).
#9. Franco Crespi
Franco Crespi
(Crespi d’Adda, 24 maggio 1930) è un sociologo e accademico italiano, professore emerito di sociologia all’Università degli Studi di Perugia.
Studioso molto sensibile al rapporto fra filosofia e scienze sociali. Ha dedicato importanti ricerche e analisi ai significati simbolici dell’azione sociale e al ruolo del soggetto nei movimenti di azione collettiva.
Fra i suoi lavori principali Esistenza e simbolico (1978), Le vie della sociologia (1985), Azione sociale e potere (1989), Il pensiero sociologico (2002).
#10. Ralf Dahrendorf
Ralf Gustav Dahrendorf
(Amburgo, 1º maggio 1929 – Colonia, 17 giugno 2009), è stato un sociologo, politologo e politico tedesco naturalizzato britannico.
Critico del marxismo dogmatico, Dahrendorf ridimensiona drasticamente l’importanza della lotta di classe come conflitto fra soggetti collettivi definiti dal possesso o meno dei mezzi di produzione. Anzi, la classe nel senso di Marx o in quello, più restrittivo, di Weber gli sembra come uno dei numerosi possibili gruppi d’interesse attivi in una società complessa.
Il conflitto è perciò descritto principalmente da Dahrendorf come competizione fra gruppi sociali per la conquista di porzioni di quella merce scarsa e distribuita in modo disarmonico che è l’autorità.
La relazione fra comando e obbedienza si rivelerebbe perciò assai più forte e decisiva nel produrre gerarchie e diseguaglianze di quella legata al possesso economico delle risorse.
In questo senso, se si differenzia criticamente dal marxismo e dal conflittualismo radicale di parte della sociologia europea postbellica, Dahrendorf polemizza però anche con l’indirizzo struttural-funzionalistico nordamericano e con il suo principale teorico, T. Parsons.
A questi, preoccupato soprattutto delle ragioni dell’equilibrio e dell’ordine all’interno del sistema sociale concepito come una sorta di organismo vivente e interconnesso, Dahrendorf oppone una visione intrinsecamente positiva del conflitto come elemento dinamico e rivelatore della vitalità di una società.
In anni recenti si è dedicato a un’appassionata rivisitazione delle ideologie, sviluppando l’idea di un nuovo liberalismo progressista. Importanti i suoi contributi alla tematica europeistica.
- Quadrare Il Cerchio Ieri E Oggi. Benessere Economico, Coesione Sociale E Libertà Politica
- Tipo di prodotto: ABIS BOOK
- Brand : I Robinson Letture
- Dahrendorf, Ralf(Autore)
Sue opere principali sono: Classi e conflitto di classe nella società industriale (1957), Homo sociologicus (1964); Conflitto e libertà (1972), La libertà che cambia (1975), Il conflitto sociale nella modernità (1988), Riflessioni sulla rivoluzione in Europa (1990), Dopo la democrazia (2001).
#11. Émile Durkheim
Émile Durkheim
(Épinal, 15 aprile 1858 – Parigi, 15 novembre 1917) è stato un sociologo, filosofo e storico delle religioni francese.
La sua produzione scientifica lo colloca fra i massimi esponenti delle rinnovate scienze sociali europee. Durkheim rivendica anzitutto l’autonomia di contenuti e di metodi della sociologia rispetto alla tendenza a estendere allo studio degli uomini in società le regole e le leggi di proprie delle scienze naturali.
Critico del biologismo, afferma il primato del “fatto sociale” anche nei confronti della psicologia, dimostrando come persino fenomeni tradizionalmente indagati a partire dalla sfera della soggettività debbano essere interpretati muovendo dalla loro configurazione sociologica.
Esemplare è in materia la ricerca Il suicidio del 1897, che dimostra con rigore statistico il nesso fra declino della solidarietà e del sentimento di appartenenza comunitaria (anomia) e propensione a un tipo di suicidio “anomico”, appunto, del tutto diverso dal suicidio “altruistico” (basato sul sacrificio di sé motivato da una totale identificazione con i valori del gruppo) e da quello “egoistico”, prodotto di una disperata rivolta contro il rifiuto (tipico il suicidio d’amore).
Il concetto di Anomia
A Durkheim appartiene la prima compiuta definizione del concetto di anomia come situazione di crisi del sistema di norme e valori capace di garantire la coesione di un aggregato sociale. Una crisi a cui sarebbero particolarmente esposte proprio quelle società della modernità industriale caratterizzate da un’accentuata divisione del lavoro e specializzazione delle funzioni.
Al centro della teoria di Durkheim è, insomma, una visione complessa dell’evoluzione sociale, fuori delle ingenuità e degli schematismi della vecchia sociologia positivistica che tende a ricondurre al fatto sociale la stessa coscienza individuale.
La società nell’approccio di Durkheim, si presenta come un insieme superindividuale, a forte connotazione etica e in cui la dimensione delle norme e delle istituzioni ha un ruolo centrale.
In questa prospettiva, le relazioni fra soggetto individuale e aggregato sociale possono essere regolate da forme di solidarietà “meccanica” (legami primari di tipo familiare o comunitario, come nelle società primitive o tradizionali) o, viceversa, da dinamiche secondarie, connesse alla divisione del lavoro e a più articolate funzioni sociali (solidarietà “organica”).
Critico verso tutte le pretese di individuare leggi dello sviluppo storico, Durkheim inaugura anche attraverso importantissimi studi etnoantropologici sul mito, il totemismo e la ritualità nelle comunità primitive australiane un indirizzo di indagine particolarmente attento al significato delle funzioni sociali.
Al suo insegnamento si richiameranno infatti, seppure criticamente e con significative distinzioni di metodo, numerosi sociologi ed etnologi di scuola funzionalistica.
Tra le opere: La divisione del lavoro sociale (1893), Le regole del metodo sociologico (1895), Il suicidio (1897), Le forme elementari della vita religiosa: il sistema totemico in Australia (1912).
#12. Franco Ferrarotti
Franco Ferrarotti
(Palazzolo Vercellese, 7 aprile 1926) è un sociologo, accademico e politico italiano.
Ha introdotto nel dibattito scientifico italiano, attraverso un’opera spesso polemica di traduzione, divulgazione e aggiornamento critico, alcuni dei grandi classici del pensiero sociologico (da T. Veblen alla rilettura critica di M. Weber).
Negli anni ’50 e ’60 ha condotto ricerche sulle trasformazioni del lavoro, il sindacalismo, le comunità, nonché contributi nel campo della sociologia urbana, in particolare relativamente al caso romano e ai fenomeni di nuova emarginazione.
In seguito ha concentrato il proprio interesse sulle forme della religiosità e le loro trasformazioni in un’epoca di secolarizzazione.
Di rilievo anche la produzione orientata alla proposta di nuove metodologie di ricerca, con il recupero del metodo biografico, degli strumenti qualitativi e il perfezionamento della tecnica delle storie di vita.
- Ferrarotti, Franco(Autore)
Fra le sue opere, La protesta operaia (1955), Max Weber e il destino della ragione (1965), Il paradosso del sacro (1983), Una teologia per atei (1984), L’Italia in bilico (1990).
#13. Luciano Gallino
Luciano Gallino
(Torino, 15 maggio 1927 – Torino, 8 novembre 2015) è stato un sociologo, scrittore e docente universitario di sociologia italiano.
Uno tra i sociologi italiani più autorevoli, ha contribuito all’istituzionalizzazione della disciplina nel secondo dopoguerra, lavorando dentro e fuori l’accademia su tematiche che riguardano la sociologia dei processi economici e del lavoro, di tecnologia, di formazione e, più in generale, di teoria sociale.
Era considerato uno dei maggiori esperti italiani del rapporto tra nuove tecnologie e formazione, nonché delle trasformazioni del mercato del lavoro. I suoi principali campi di ricerca sono stati la teoria dell’azione e teoria dell’attore sociale, le implicazioni sociali e culturali della scienza e della tecnologia, gli aspetti socio-culturali delle nuove tecnologie di telecomunicazione.
Di rilievo sono anche i contributi allo studio del fenomeno dell’ingovernabilità nella società italiana in una stagione di crisi.
- Gallino, Luciano(Autore)
Tra i suoi lavori, Personalità e industrializzazione (1968), L’incerta alleanza (1992), Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità (2009).
#14. Harold Garfinkel
Harold Garfinkel
(Newark, New Jersey, 1917) sociologo statunitense È considerato il padre dell’indirizzo sociologico della etnometodologia, che si configura come una specificazione della sociologia della conoscenza, poiché il suo interesse si concentra sulle modalità con cui gli attori sociali attribuiscono significati alle azioni proprie e altrui nell’ambito delle molteplici situazioni di interazione sociale.
L’etnometodologia parte dal presupposto che l’ordine con cui la vita sociale si svolge sia il prodotto delle azioni coordinate dei partecipanti, basate sulle conoscenze di senso comune che essi condividono in quanto membri di un medesimo contesto culturale.
A differenza della sociologia tradizionale, l’etnosociologia non cerca di fornire spiegazioni astratte e generali del funzionamento della società, né cerca di garantire i propri risultati con il ricorso alla scientificità dei metodi, ma propone di concentrarsi sui singoli episodi di interazione sociale e di osservare i metodi concretamente usati dai membri di una società per definire in modo comune ciò che sta accadendo nell’interazione in corso.
Garfinkel, in particolare, ritiene che le comunicazioni fra individui e gruppi sociali, dal linguaggio al sistema delle norme e delle obbligazioni, non siano mai esplicite e di decifrazione intuitiva come l’apparenza suggerirebbe. Il compito del sociologo sarà quello, perciò, di svelare le regole non dichiarate che presiedono ai nostri comportamenti della vita quotidiana.
Particolare interesse viene così rivolto ai linguaggi non verbali, dalla mimica all’abbigliamento, dalle strategie di seduzione o di competizione al gioco, sino alla costruzione di situazioni (happening) in cui il normale andamento delle relazioni di gruppo viene artificialmente sconvolto.
È allora possibile svelare, dalla reazione dei soggetti interessati all’evento imprevisto che destruttura la routine, la trama sotterranea che regola il nostro sistema di valori e di convenzioni.
- Sena, Barbara(Autore)
Tra le sue opere principali, Studi di etnometodologia (1967).
#15. Anthony Giddens
Anthony Giddens
(Londra, 18 gennaio 1938) è un sociologo e politologo britannico.
Ha elaborato la teoria della strutturazione, che considera le mutue relazioni tra struttura sociale e azione evitando l’accento preminente sul ruolo della struttura, come nel caso del funzionalismo da Durkheim a Parsons, o dell’azione, come nella sociologia di derivazione weberiana.
Ha successivamente studiato la società contemporanea e le sue trasformazioni, mettendo in luce gli elementi di debolezza delle teorie del postmoderno e vedendola piuttosto come una radicale, e talvolta paradossale, realizzazione della “tarda modernità”, alla cui base starebbero la trasformazione del modo di concepire il tempo e lo spazio, la sfera delle relazioni intime e della sessualità, nonché delle forme di costituzione dell’identità individuale.
- Giddens, Anthony(Autore)
Tra le sue opere: Nuove regole del metodo sociologico (1976); Le conseguenze della modernità (1990); La trasformazione dell’intimità (1992), La terza via (2001).
#16. Erving Goffman
Erving Goffman
(Mannville, 11 giugno 1922 – Filadelfia, 19 novembre 1982) è stato un sociologo canadese naturalizzato statunitense.
Critico di tutte le teorie sistematiche, in particolare del funzionalismo statunitense del secondo dopoguerra, ha privilegiato nella sua produzione scientifica l’osservazione dei fenomeni e dei comportamenti collettivi, attribuendo un ruolo privilegiato alla vita quotidiana.
Esponente internazionalismo simbolico, concepisce la vita sociale come uno scenario in cui si agitano ruoli e interpretazioni di ruolo che, se correttamente indagati, gettano luce sulla più complessa e sotterranea trama delle relazioni sociali, rivelandone spesso la latente violenza.
I risultati della sua ricerca sul campo nelle isole Shetland, tra il 1949 e il 1951, sono stati raccolti nel suo primo libro, La vita quotidiana come rappresentazione, in cui presentò un approccio drammaturgico allo studio dell’agire sociale: le interazioni sono descritte come rappresentazioni teatrali svolte da equipe di attori a beneficio di un pubblico.
Successivamente condusse studi sulla vita quotidiana all’interno di ospedali psichiatrici, considerati istituzioni totali; gli esiti di queste ricerche, pubblicati in Asylums, influirono sulle teorie dell’antipsichiatria.
Quindi concentrò l’interesse sulle situazioni quotidiane di interazione faccia a faccia, cercando di mettere in luce quali regole esplicite e implicite governino tali comportamenti. Le ultime ricerche assumono come oggetto di analisi le varie forme di comunicazione umana.
Opere principali: La vita quotidiana come rappresentazione (1959), Asylums (1961), Stigma (1963), Analisi di frame (1974), Forme del parlare (1981).
#17. Jürgen Habermas
Jürgen Habermas (Düsseldorf, 18 giugno 1929) è un sociologo, filosofo, politologo, epistemologo ed accademico tedesco, tra i principali esponenti della Scuola di Francoforte (culla della teoria critica).
Nella sua vasta produzione scientifica, il tradizionale impianto filosofico è costantemente fatto reagire con l’osservazione empirica dei fenomeni sociali.
Centrale è la preoccupazione di Habermas per il declino di quella sfera pubblica (intesa come partecipazione degli individui e dei gruppi alle grandi scelte collettive) che, nelle società del capitalismo maturo, gli sembra lasci il posto a una sottile e diffusa manipolazione dei valori e delle coscienze.
Da qui un interesse particolare per la funzione assolta dal linguaggio e dalla comunicazione nelle complesse relazioni sociali della modernità. La sua teoria dell’agire comunicativo si pone così come occasione di emancipazione politica e intellettuale della razionalità: una razionalità discorsiva capace di contrapporsi al dominio della tecnologia.
Habermas vede la causa delle deviazioni patologiche della razionalità nella tendenza tipica dell’età contemporanea. I settori funzionali della società (settore economico e settore politico-amministrativo) “colonizzano” il mondo della vita (la sfera della vita quotidiana degli individui dove si rielabora e trasmette la cultura), e le procedure comunicative dell’intesa sono sostituite con la coazione degli imperativi derivanti dall’economia e dal potere burocratizzato.
Questi riducono gli attori sociali al ruolo di membri dell’organizzazione produttiva o di clienti dell’amministrazione. Il rimedio consiste nell’aumentare l’efficacia delle relazioni intersoggettive rese autonome dai condizionamenti funzionali.
- Habermas, Jürgen(Autore)
Tra le sue opere: Teoria e prassi. Studi sociofilosofici (1963), Conoscenza e interesse (1968), Tecnica e scienza come “ideologia” (1968), La crisi della razionalità nel capitalismo maturo (1973), Teoria dell’agire comunicativo (1981-86), Il discorso filosofico della modernità (1985), Fatticità e valore (1992), Il futuro della natura umana (2001).
#18. George Homans
George Homans (Boston, 11 agosto 1910 – Cambridge, 29 maggio 1989) è stato un sociologo statunitense, fondatore della sociologia comportamentale e della teoria dell’interscambio sociale (Social exchange theory).
È considerato, con Peter M. Blau, il principale esponente della scuola di pensiero denominata “sociologia dello scambio”. Per Homans è essenziale l’analisi del piccolo gruppo. Grazie a tale analisi è possibile individuare la trama di relazioni ricorrenti in ogni comportamento collettivo, cioè che nega la possibilità di un approccio puramente “sociologico”.
La Teoria dell’interscambio sociale ruota attorno a un principio fondamentale: i soggetti interagiscono tra di loro dopo aver considerato i costi e benefici passati e potenziali. I capisaldi di tale teoria sono:
- Quanto più spesso un comportamento è ricompensato, tanto più è probabile che venga ripetuto.
- Se nel passato alcuni aspetti dell’ambiente sono stati collegati ad un comportamento ricompensato, è probabile che venga ricercato quell’ambiente particolare a analogo.
- Quanto più è preziosa la ricompensa per un dato comportamento, tanto più è probabile che venga ripetuto.
- Quanto più spesso le esigenze o i desideri vengono soddisfatti, tanto meno si dà valore ad ogni ulteriore ricompensa.
Altro aspetto citato da Homans è quello dell'”umanizzazione dell’organizzazione scientifica del lavoro”. Seguendo il filone già introdotto da Chester Barnard, Homans mostra l’interesse per la ricerca di forme organizzative meno disumanizzanti di quelle basate sullo scientific management.
Fulcro della sua tesi è la creazione di differenziati gruppi umani portatori non solo di capacità fisico-intellettive, ma anche di un insieme di convinzioni e sentimenti. Le interazioni tra i gruppi sono l’elemento chiave del funzionamento tra gli stessi. Il saper gestire, da parte del management, le relazioni face to face risulta determinante per il raggiungimento dell’efficacia e dell’efficienza del fine aziendale.
Un punto chiave della posizione di Homans, che interpreta i rapporti di scambio nei termini della psicologia comportamentista, è la “proposizione sulla razionalità”, secondo cui l’attore sceglie il comportamento che ha il più grande valore di utilità moltiplicato per la probabilità di ottenerla. Ciò conduce alla costruzione di una teoria della scelta razionale che applica i principi della teoria economica al comportamento sociale.
Fra i suoi principali lavori, Il gruppo umano (1950), Il comportamento umano nelle sue forme elementari (1961).
#19. Claude Lévi-Strauss
Claude Lévi-Strauss (Bruxelles, 28 novembre 1908 – Parigi, 1 novembre 2009) è stato un antropologo, etnologo e filosofo francese.
È considerato il fondatore dell’antropologia strutturale, che interpreta i fatti sociali come messaggi e sistemi di comunicazione assumendo come guida dell’indagine antropologica il concetto di struttura quale “sistema di relazioni latenti nell’oggetto”.
Scopo delle scienze umane e sociali è allora elaborare modelli idonei a svelare le regole “latenti” che condizionano il comportamento umano. A tal fine l’antropologia si deve ispirare alla linguistica, nel presupposto che si dia una stretta corrispondenza di strutture formali tra sistemi sociali e sistemi linguistici.
Con l’analisi strutturale Lévi-Strauss applica una trattazione matematico-linguistica ai fatti sociali, dalla quale deve derivare la formulazione della logica interna ai modelli culturali. Identificando tale logica si può, a suo avviso, pervenire a una conoscenza autentica del corpo sociale, ottenendo in tal modo di anticipare osservazioni o addirittura di prevedere col ragionamento fatti che potranno poi essere verificati.
Particolare importanza ha l’applicazione del metodo strutturalistico allo studio dei miti.
Tra le opere: Le strutture elementari della parentela (1947); Tristi tropici (1955); Antropologia strutturale (1958); Il totemismo oggi (1962); Il pensiero selvaggio (1964); Mitologica: I, Il crudo e il cotto (1964), II, Dal miele alle ceneri (1966), III, L’origine delle buone maniere a tavola (1968), IV, L’uomo nudo (1974); Lo sguardo da lontano (1983); Storia di Lince (1991), Ascoltare, guardare, leggere (1999).
#20. Thomas Luckmann
Thomas Luckmann (Jesenice, 14 ottobre 1927 – 10 maggio 2016) è stato un sociologo e filosofo austriaco naturalizzato statunitense di origini slovene ha insegnato principalmente in Germania.
Rappresentante della sociologia fenomenologica, ha pubblicato, con P. Berger, La realtà come costruzione sociale (1966), in cui presenta come complementari il punto di vista di M. Weber, secondo il quale la società è il prodotto dell’agire sociale degli individui reciprocamente orientati, e quello di E. Durkheim, secondo il quale i fatti sociali sono esterni e coercitivi rispetto all’individuo.
Questi due diversi approcci separano i due momenti di un processo in realtà unico, tramite cui si costituisce la società quale originaria attribuzione di significati, che vengono successivamente istituzionalizzati dai soggetti nelle loro interazioni sociali: solo i significati istituzionalizzati vengono percepiti come sociali.
Luckmann si è dedicato anche a studi di sociologia della religione, che ha analizzato come forma di agire sociale mediante la quale gli individui entrano in una relazione privata e socialmente invisibile con ciò che percepiscono come esterno alla loro vita quotidiana (La religione invisibile, 1969; La situazione religiosa in Europa, 1999).
#21. Niklas Luhmann
Niklas Luhmann (Luneburgo, 8 dicembre 1927 – Oerlinghausen, 6 novembre 1998) è stato un sociologo e filosofo tedesco.
Uno dei maggiori esponenti della sociologia tedesca del XX secolo, Luhmann applicò alla società la teoria dei sistemi sociali (sociologia), che ebbe un forte riscontro anche nel campo della filosofia.
È considerato il capofila dell’indirizzo sistemico, o neofunzionalistico, per il quale è necessario indagare la società a partire dalla sua rete di funzioni e di articolazioni.
Per Luhmann la ricerca sociale e giuridica ha come compito primario quello di favorire la riduzione della complessità, opera, questa, necessaria a garantire la governabilità di sistemi politici e sociali sempre più complessi.
Al riguardo Luhmann ha proposto di pensare la società come un oggetto capace di autodescriversi, essendo la società un sistema autopoietico. In quanto sistema, la società può distinguersi dal proprio ambiente; in quanto autopoietica, è in grado di riprodurre autonomamente gli elementi di cui si compone, assicurando le condizioni della propria esistenza.
L’elemento base della società è costituito dalla comunicazione: ogni comunicazione può produrre nuova comunicazione, anche quando quest’ultima si presenta come negazione della prima. Da queste basi Luhmann ha sviluppato un’analisi articolata dello sviluppo della società e della continua crescita della sua complessità.
Fra le numerose pubblicazioni: Illuminismo sociologico (1970), Potere e complessità sociale (1975), Sistemi sociali (1984), La scienza della società (1990) Osservazione del moderno (1992).
#22. Karl Mannheim
Karl Mannheim (Budapest, 27 marzo 1893 – Londra, 9 gennaio 1947) è stato un sociologo tedesco di origine ebraica. Viene considerato il fondatore della sociologia della conoscenza.
La sua attività di ricerca fu prevalentemente rivolta alla sociologia della conoscenza, cioè all’analisi della conoscenza studiata in rapporto a fattori sociali. Nella sua opera, infatti, la ricerca sui fondamenti del conoscere rinvia sistematicamente ai soggetti del sapere e ai condizionamenti sociali ai quali essi sono esposti.
Da questo punto di vista, acquistano rilievo due problematiche centrali nella riflessione di Mannheim: l’ideologia e l’identità politica e sociale degli intellettuali moderni, sviluppate nella sua opera più significativa, Ideologia e Utopia (1929).
L’ideologia è per Mannheim la giustificazione, socialmente percepita, dello stato di cose esistente; a differenza dell’analisi di Marx, però, essa definisce politiche tutte le culture, anche quelle eversive, che inevitabilmente degenerano nel dogmatismo. La tensione creativa verso il cambiamento è invece presente nell’utopia, che configura il bisogno di futuro rinvenibile nelle quattro forme di mentalità utopica (chiliastica, liberal-umanitaria, conservatrice, social-comunista).
Ma il destino dell’utopia è per Mannheim condizionato dalla capacità degli intellettuali aclassisti non sottoposti, a differenza che in Antonio Gramsci, a rigidi vincoli di appartenenza a una condizione socio-economica di elaborare un’autonoma visione critica della politica e della società. Visione che dovrebbe favorire la democratizzazione fondamentale della società in cui gli intellettuali operano.
- Editore: Meltemi
- Autore: Karl Mannheim , Maurizio Merico
- Collana: Motus. Studi sulla società
- Formato: Libro in brossura
- Anno: 2019
L’analisi di Mannheim, sensibile al marxismo e allo storicismo, ma critico verso i loro esiti culturali, è stata oggetto di controverse interpretazioni. Una riflessione più orientata in senso teoretico è presente in Sociologia della conoscenza (1940). Altre opere: L’uomo e la società in un’epoca di ricostruzione (1935), Sociologia sistematica (postumo, 1957).
#23. Karl Marx
Karl Marx
(Treviri, 5 maggio 1818 – Londra, 14 marzo 1883) è stato un filosofo, economista, storico, sociologo, politologo, giornalista e politico tedesco.
La filosofia di Karl Marx sta all’origine della teoria sociologica del conflitto. Con Marx il significato rivoluzionario e innovativo del conflitto sociale viene collegato da un lato alla critica della filosofia idealistica e, dall’altro, ai caratteri della trasformazione concretamente indotta dai rapporti di produzione (rivoluzione industriale, impiego produttivo delle tecnologie, formazione di nuove classi antagonistiche).
Il conflitto di classe esprime e comprende per intero l’antagonismo sociale fondamentale che oppone capitalisti e lavoratori salariati, ma è insieme lo strumento della risoluzione di tali antagonismi.
- Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico
La formazione filosofica di Marx è segnata soprattutto da G.W.F. Hegel e da L. Feuerbach. Il primo è sottoposto a un’analisi serrata nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, probabilmente scritta nel 1841, ma pubblicata postuma nel 1927.
In Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, Karl Marx insieme alla denuncia della pretesa subordinazione della “società civile” allo “Stato politico”, smaschera la “mistificazione” logica che porta all’inversione del rapporto tra “soggetto” e “predicato”.
Il momento della universalità astratta diviene il soggetto e viceversa il concreto è ridotto a predicato o attributo da essa derivato (per esempio, la “persona” è dedotta dalla “personalità”; il “sovrano”, dalla “sovranità”).
Per dirla con il Marx di qualche anno dopo, come l’idea universale di frutto deriva dai frutti concretamente esistenti che sono “questa” mela o “questa” pera, altrettanto ogni concetto è sempre predicato di realtà individuali.
Bisogna subito precisare che Marx considerò l’essere individuale contrapposto all’astratta idea hegeliana, sempre nella relazione sociale o sotto il profilo della sua “essenza generica”.
Questo punto di vista lo portò, anche nella critica della religione come “coscienza capovolta del mondo”, a dare la preminenza all’effettiva contraddizione storicosociale tra le classi come radice di ogni “auto estraneazione umana”.
- Manoscritti economico filosofici
La divisione in classi antagoniste ha come base la divisione diseguale del lavoro. Nei Manoscritti economico filosofici del 1844 (editi sempre nel 1927) Marx poté vedere nell’individualismo capitalistico borghese e nella proprietà privata la “conseguenza necessaria” della “alienazione”, o espropriazione (sia come attività, sia nel suo prodotto) del lavoro dell’operaio.
Il lavoro in quanto espressione della “attività libera e consapevole” di ogni essere umano in un contesto di appartenenza sociale, dovrebbe realizzare la sintesi tra i fini individuali e quelli collettivi della specie.
Al raggiungimento di tale meta è preposta la società comunista, che si prefigge pure la piena integrazione di uomo e natura, cioè “il naturalismo compiuto dell’uomo e l’umanismo compiuto della natura”.
- L’ideologia tedesca
Ne L’Ideologia tedesca (redatta con Engels fra il 1845 e il 1846, ma pubblicata integralmente solo nel 1932) Marx espone la concezione materialistica della storia: “Ciò che gli individui sono coincide immediatamente con la loro produzione, tanto con ‘ciò’ che producono quanto col modo ‘come’ producono”, ovvero “ciò che gli individui sono dipende dalle condizioni materiali della loro produzione”.
Il motore della trasformazione storica risiede allora nello sviluppo delle forze produttive, o “struttura”, e nel fatto che esse entrano in contraddizione con i rapporti sociali già costituiti, con l’assetto di potere e con le idee dominanti (“sovrastruttura”).
- Tesi su Feuerbach
L’approccio marxista è precisato nelle Tesi su Feuerbach, le quali sottolineano che la realtà non è un oggetto separato dell’attività umana e che si tratta di mettere in atto un processo di “autotrasformazione” attraverso la “prassi rivoluzionaria”; di qui la celebre XI tesi, secondo cui “i filosofi hanno soltanto diversamente ‘interpretato’ il mondo, ora si tratta di ‘trasformarlo’”.
- Il Manifesto del Partito Comunista
Il tema è ripreso e ampliato ne Il Manifesto del Partito Comunista (scritto con Engels nel 1848), dove si afferma che le posizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto sopra idee o principi astratti, ma “sono soltanto espressioni generali di una lotta di classe che già esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi”.
Sulla base di tale considerazione Karl Marx si dedicò all’analisi specifica dell’economia politica. L’indagine marxista prende le mosse dalla forma capitalistico borghese della produzione della ricchezza, caratterizzata dal fatto che il mezzo per crearla è diventato il “lavoro in generale”.
“Non lavoro manifatturiero, né commerciale, né agricolo, ma tanto l’uno quanto l’altro”, e quindi si presta a essere impiegato come pura forza lavoro da offrire e acquistare come una merce.
Karl Marx pone l’accento sul carattere storico e transitorio del modo di produzione capitalistico, considerato solo come una tappa verso un sistema economico più avanzato, che dovrà nascere però dalle contraddizioni insite nello stesso meccanismo dell’accumulazione capitalistica della ricchezza, basata sullo sfruttamento del lavoro salariato e sulla crescita del proletariato come forza antagonistica destinata a superare la dominazione borghese.
La critica al sistema economico capitalistico non può essere perciò disgiunta dalla comprensione organica del nesso che governa le sue componenti: produzione, distribuzione, scambio e consumo. (Per la critica dell’economia politica, 1859 e la relativa Introduzione, del 1857, ma edita nel 1903 e in redazione più corretta nel 1939).
- Il Capitale
Da qui sorge l’esigenza da parte di Karl Marx di compiere un’analisi storica e sistematica dell’economia politica in generale e di quella capitalistica in particolare, analisi realizzata nella sua maggiore opera Il Capitale. Critica dell’economia politica.
Esso si focalizza dapprima sull’analisi dell’economia politica classica per realizzare una vera e propria “anatomia” del sistema capitalistico.
La forma capitalistico-borghese della produzione della ricchezza è caratterizzata dal fatto che il mezzo per crearla è diventato il “lavoro in generale”, cioè il lavoro che prescinde da ogni sua caratteristica particolare e si presta a essere impiegato come pura forza lavoro da offrire e acquistare come merce.
- Editore: Newton Compton Editori
- Autore: Karl Marx , Eugenio Sbardella , Ruth Meyer
- Collana: Grandi tascabili economici. I mammut Gold
- Formato: Libro rilegato
- Anno: 2015
Marx concorda con gli economisti classici (A. Smith, D. Ricardo) nel ritenere la società borghese come la più complessa organizzazione di produzione.
Tuttavia, ciò che non accetta degli economisti classici, e critica come “ideologia”, è l’attribuzione di una validità assoluta ed eterna a questi caratteri della società capitalistico borghese, la quale altro non è che il risultato di un processo storico, di per sé mai definitivo.
Questa sottolineatura del carattere storico del modo borghese di produzione apre la strada a un’economia di tipo diverso e a una compiuta teoria della rivoluzione proletaria.
Infatti, dalla trattazione “scientifica” della merce Marx giunge a formulare la previsione del crollo del capitalismo sotto la pressione della crisi economica (diminuzione del tasso di profitto e sovrapproduzione) e della crisi sociale (povertà crescente e proletarizzazione generalizzata), grazie alla presa di coscienza e all’attiva azione rivoluzionaria degli sfruttati.
Leggi: Karl Marx | Profilo biografico e principali opere
#24. George H. Mead
George Herbert Mead (South Hadley, 27 febbraio 1863 – Chicago, 26 aprile 1931) è stato un filosofo, sociologo e psicologo statunitense, considerato tra i padri fondatori della psicologia sociale.
È uno dei più importanti rappresentanti del pragmatismo statunitense ed è considerato il padre internazionalismo simbolico. Il concetto chiave della psicologia sociale di Mead è quello del sé (Self), cioè l’immagine che un individuo si forma di se stesso e che nasce dall’interazione sociale.
L’individuo al di fuori del gruppo sociale è una pura astrazione e la società è un processo continuo costituito dall’insieme delle azioni che favoriscono la sopravvivenza del gruppo e dall’insieme dei significati attribuiti alle azioni stesse e comunicati reciprocamente dai membri di un gruppo.
La coesione sociale si basa sul fatto che all’interno di un gruppo sociale ogni individuo si forma un sé stabile, che è il risultato dell’interazione dell’individuo con gli altri.
All’interno dell’individuo Mead distingue tra “io” e “me”. Il me consiste di atteggiamenti, opinioni e modi di risposta alle situazioni, condivisi dagli altri membri del proprio gruppo di appartenenza, definito “altro generalizzato”. L’io è la componente privata, personale del sé.
Il dialogo interno tra io e me conduce alla costruzione sociale del sé, secondo tre stadi: la pre-rappresentazione, o gioco imitativo; la rappresentazione, o assunzione di ruoli nel gioco simbolico; l’interiorizzazione dell’altro generalizzato. Con la socializzazione il sé impara a interpretare il valore simbolico dei gesti significativi per gli altri (per esempio, nel linguaggio) e a reagirvi.
Tra le opere, pubblicate postume: Filosofia del presente (1932), Mente, sé e società (1934), Filosofia dell’atto (1938).
#25. Robert K. Merton
Robert King Merton (pseudonimo di Meyer R. Schkolnick) (Filadelfia, 5 luglio 1910 – New York, 23 febbraio 2003) è stato un sociologo statunitense della corrente funzionalista, figlio di immigrati dell’Europa dell’Est.
Si è formato alla scuola dello struttural-funzionalismo, di cui interpreta criticamente l’analisi del sistema sociale, differenziandosi dall’eccessivo formalismo del modello di T. Parsons.
Merton ha portato l’attenzione del funzionalismo sul principale assunto metodologico della scuola di Chicago, secondo cui se un individuo definisce reale una certa situazione, essa sarà reale nelle sue conseguenze.
Questo teorema, che secondo Merton dà luogo alle “profezie che si autoadempiono”, permette di comprendere quei fenomeni risultanti dall’aggregazione e dall’interpenetrazione delle azioni individuali di molti attori e costituisce un importante elemento in comune con la tesi della tradizione fenomenologica per cui la realtà sociale è il prodotto della costruzione interattiva tra gli attori sociali.
In particolare, si deve a lui quell’analisi funzionale che, distinguendo le funzioni latenti da quelle manifeste (celebre l’esempio della danza della pioggia come manifestazione rituale degli indiani hopi), consente una lettura più penetrante dei comportamenti collettivi.
In base a questa distinzione, per conoscere un fenomeno si devono mettere in luce gli effetti da esso realmente prodotti e che spesso non corrispondono alle aspettative socialmente riconosciute e attribuite al fenomeno stesso.
Contro il grezzo empirismo di chi riduceva tutta la ricerca sociologica alla ricerca sul campo, e contro i rischi di astrazione teoretica del funzionalismo alla Parsons, Merton sostenne che solo la ricerca empirica può far emergere le funzioni latenti di un’azione o di un fenomeno e contribuire così alla riformulazione più adeguata della teoria che riguarda tale fenomeno.
- Merton, Robert K.(Autore)
Tra le opere: Teoria sociale e struttura sociale (1949), Sulla sociologia teorica (1968); Sociologia della scienza (1973), Le tradizioni sociologiche da generazione a generazione (1980), Ricerca sociale qualitativa e quantitativa (1979).
#26. Edgar Morin
Edgar Morin, pseudonimo di Edgar Nahoum (Parigi, 8 luglio 1921), è un filosofo e sociologo francese. È noto per l’approccio transdisciplinare con il quale ha trattato un’ampia gamma di argomenti, fra cui l’epistemologia.
Studioso della crisi della modernità, ha indagato il sistema della comunicazione e della produzione culturale di massa, ma anche le implicazioni sociali del nuovo orizzonte dischiuso dalla teoria dei sistemi e dalle più recenti acquisizioni scientifiche.
La sua teoria della complessità rappresenta uno sforzo di sintesi epistemologica, di cui è testimonianza la monumentale opera sul Metodo, iniziata nel 1973 e giunta al IV volume (1991).
Il pensiero di Morin si ispira alla teoria generale dei sistemi, secondo cui tutto il reale è scomponibile in unità di organizzazione autonome, dette appunto sistemi. Ogni sistema si autoregola in base a leggi proprie e realizza un fine autonomo, riducendo la complessità dell’ambiente esterno.
In campo epistemologico Morin ha sostenuto che occorre applicare al pensiero scientifico lo stesso paradigma che viene usato per interpretare l’organizzazione sociale.
Fra le altre sue opere: Il cinema o l’uomo immaginario (1956), L’industria culturale (1962), Terza-Patria (1983), I sette saperi necessari all’educazione (1999) e Connettere le conoscenze (2000).
#27. Vilfredo Pareto
Vilfredo Federico Damaso Pareto (Parigi, 15 luglio 1848 – Céligny, 19 agosto 1923) è stato un ingegnere, economista e sociologo italiano. È considerato il fondatore della teoria delle élite.
I suoi maggiori contributi nel campo della teoria economica furono molteplici: l’elaborazione del concetto di utilità (ofelimità) ordinale e l’applicazione delle curve d’indifferenza; la teoria del commercio internazionale basata sul sistema di mercati intercomunicanti; e il cosiddetto ottimo paretiano, vale a dire un criterio per stabilire quando, dato un certo ammontare di risorse, esso sia stato utilizzato al meglio.
Il nucleo del suo pensiero sociologico è contenuto nell’importante Trattato di sociologia generale (1916). Le intuizioni di Pareto sulla società come sistema che tende all’equilibrio hanno avuto influenza sullo struttural funzionalismo, e in particolare su T. Parsons.
Pareto classificò tutte le azioni sociali o come logiche o come non logiche (ma non per questo insensate). Le azioni logiche
presentano uno stretto legame tra ciò che è nell’intenzione dell’attore e ciò che si realizza oggettivamente.
Le azioni il cui fine oggettivo differisce da quello soggettivo costituiscono la categoria delle azioni non logiche. Fra queste Pareto incluse gli atti riflessi, le condotte rituali e sacrificali, gli atti eroici, rivoluzionari ecc. Questa categoria di azioni non logiche costituisce per Pareto l’oggetto di studio proprio della sociologia.
élite di governo e la teoria della circolazione delle élite
Pareto sviluppò il concetto di élite di governo e la teoria della circolazione delle élite, destinate a grande fortuna nella successiva letteratura politologica.
Per élite di governo Pareto intese tutti coloro che partecipano all’esercizio del potere e che, affermandosi esclusivamente in forza delle proprie qualità personali, sono soggetti alla legge della circolazione delle élite.
In questo modo, i vecchi gruppi dirigenti sono continuamente sostituiti da nuove élite provenienti dagli strati sociali inferiori.
Questo processo appartiene alla fisiologia del sistema politico e, qualora la circolazione individuale dei ruoli di governo risultasse ostruita, o fosse in qualche modo artificiosamente contrastata, si aprirebbe la possibilità di una circolazione collettiva del potere, ossia di un processo rivoluzionario di massa con cui salirebbe al potere una nuova èlite (classe o partito rivoluzionario).
Opere più importanti: Corso di economia politica (1896-97), Manuale di economia politica (1909), Trattato di sociologia generale (apparso in italiano nel 1916 e in francese nel 1917-19).
#28. Talcott Parsons
Talcott Parsons (Colorado Springs, 13 dicembre 1902 – Monaco di Baviera, 8 maggio 1979) è stato un sociologo statunitense.
È considerato forse il massimo esponente dell’indirizzo sociologico dello struttural-funzionalismo, a cui fornisce l’apporto di una complessa teoria generale dell’azione.
Secondo Parsons, l’azione sociale è tendenzialmente coerente con i significati che il soggetto agente (sia esso un singolo individuo o un gruppo, una comunità, un’organizzazione, un’intera civiltà) ricava dalla propria relazione con il mondo esterno e che sviluppa in un quadro di regole, norme e valori (cioè entro una cultura).
Il sistema di azione sociale assume perciò la struttura del sistema culturale (gli altri sistemi o contesti di riferimento sono per Parsons quello biologico e quello psichico). I modelli culturali sono gli elementi strutturali del sistema di azione, ma il sistema rinvia alle funzioni e alla loro articolazione per dinamiche di adattamento, di perseguimento dei fini, di integrazione e di latenza.
Sulla base di questo schema di massima è possibile analizzare a due livelli il sistema sociale: come società propriamente intesa, organizzata in analogia con un modello cibernetico, e come azione.
Il sistema sociale non va considerato come un sistema di rapporti tra individui, ma tra diverse posizioni sociali, che costituiscono lo “status” del soggetto, a cui si connettono le sue attività, che ne determinano il “ruolo”. Lo status definisce dunque una posizione sociale in un sistema considerato come struttura ed è perciò indipendente dalla personalità del singolo.
La macchinosità del modello e il suo profilo biologistico (che ha di fatto riproposto l’obsoleta analogia fra sistema sociale e organismo vivente) hanno però stimolato critiche teoriche e metodologiche concentratesi soprattutto sulla pretesa parsonsiana di dar vita a un’interpretazione globalistica e compiuta del sistema sociale.
Di qui il progressivo declino della fortuna scientifica del pensiero di Parsons, dopo la lunga egemonia esercitata nella sociologia accreditata negli anni ’40 e ’50.
Tra le opere principali: La struttura dell’azione sociale (1937), Il sistema sociale (1951), Economia e società (con N. Smelser, 1956), Saggi di teoria sociologica pura e applicata (1959), Struttura sociale e personalità (1964), Teoria sociologica e società moderna (1967).
#29. Alfred Schütz
Alfred Schütz (Vienna, 13 aprile 1899 – New York, 20 maggio 1959) è stato un filosofo e sociologo austriaco.
È considerato il fondatore della sociologia fenomenologica. Nel 1932 pubblicò la sua prima importante opera, La fenomenologia del mondo sociale. Nel 1938 lasciò l’Austria per sottrarsi al nazismo e si trasferì a New York.
L’interesse di Schütz fu principalmente volto a specificare l’oggetto di studio della sociologia a partire dal presupposto che conoscenza e realtà sociali sono il prodotto delle esperienze intersoggettive degli individui.
Secondo Schütz lo studio dell’intersoggettività non può essere condotto con i metodi della filosofia, poiché non si può identificare alcuna legge astratta sul funzionamento della conoscenza. La sociologia può pertanto concentrarsi solo sullo studio dei metodi empirici con cui l’intersoggettività viene creata e mantenuta.
La possibilità di una conoscenza intersoggettiva sembra fondarsi su una serie di tipizzazioni che danno luogo a insiemi omogenei di significati (“province finite di significato”), ovvero tutte quelle regole, nozioni, concezioni, ricette, informazioni relative ai vari campi del sapere, che gli individui imparano dai loro predecessori o da analoghe esperienze del loro passato.
L’insieme di questi elementi costituisce un patrimonio di conoscenza condivisa, che rappresenta la versione di realtà accettata dai soggetti appartenenti a un medesimo contesto sociale.
Tra le sue opere, Saggi sociologici (1971, postumi).
#30. Georg Simmel
Georg Simmel (Berlino 1858 – Strasburgo 1918) è stato un filosofo e sociologo tedesco. Studioso, fra l’altro, di estetica e di filosofia della storia, sviluppò un’opera di ampio respiro, che da alcuni decenni è oggetto di un’intensa e favorevole rivisitazione da parte dei sociologi.
La sua fortuna scientifica si spiega infatti con la costante battaglia intellettuale condotta da Simmel nei confronti del positivismo di Comte e, contemporaneamente, dello spiritualismo tedesco.
Contro le teorie dei “Grandi Sistemi” e contro quelle tendenti a considerare unico e irripetibile ogni accadimento storico (e perciò mai generalizzabile in chiave sociologica), Simmel afferma il concetto di interazione come elemento portante della stessa struttura sociale.
Un gruppo sociale (una famiglia, un partito politico, una comunità religiosa ecc.) è tale in quanto esprime e raccoglie significati e rapporti sedimentatisi nel tempo attraverso interazioni fra i suoi componenti.
Di qui il metodo della sociologia formale, attenta a cogliere la specificità delle situazioni e, insieme, gli elementi ricorrenti e comparabili di ogni sistema d’interazione (per esempio, una relazione “clientelare” abbastanza simile è rinvenibile in sistemi politici assai lontani nel tempo e nello spazio e assai differenti culturalmente).
Quello che varia sono le situazioni in cui le relazioni formali si producono. Analogamente, determinati tipi sociali (celebre è la rappresentazione dello “straniero”) vengono percepiti e interpretati in maniera simile da società e contesti molto differenti.
Importanti sono anche i contributi di Simmel alle teorie del conflitto e assai originale la sua analisi della formazione di un’economia monetaria proposta come alternativa alla teoria del valore di K. Marx.
- Editore: Einaudi
- Autore: Georg Simmel , Barbara Carnevali , Andrea Pinotti , Francesco Peri
- Collana: Piccola biblioteca Einaudi. Nuova serie
- Formato: Libro in brossura
- Anno: 2020
Fra le sue opere: La moda, Frammento postumo sull’amore, Stile moderno. Saggi di estetica sociale, Il conflitto della civiltà moderna.
#31. Neil J. Smelser
Neil J. Smelser (
Missouri, 1930 – Berkeley 2017) è stato un sociologo statunitense. Ha sviluppato analisi originali del mutamento sociale e della modernizzazione, contribuendo a innovare il filone di ricerca che fa capo a T. Parsons e alla scuola struttural-funzionalistica.
Si deve a Smelser un ambizioso tentativo di costruire una vera e propria teoria dei comportamenti collettivi. In particolare, ha rivolto il suo interesse da un lato all’applicazione e allo sviluppo della ricerca sociologica nell’ambito dell’analisi delle istituzioni economiche, del comportamento collettivo e del mutamento sociale e, dall’altro, al rapporto tra personalità e struttura sociale.
Sulla base di tali ricerche ha elaborato un modello di interpretazione della nascita dei movimenti sociali secondo cui qualsiasi comportamento collettivo può avere luogo solo a condizione che si verifichi una sequenza di fattori altamente specifici, quali: una predisposizione strutturale, una tensione sociale, la crescita e la diffusione di una credenza generale, un fattore precipitante, la mobilitazione degli attori, la mancanza o l’inadeguatezza del controllo sociale.
Con il suo maestro T. Parsons ha pubblicato Economia e società (1956).
Fra le altre sue opere: Teoria del comportamento collettivo, (1962), Sociologia della vita economica (1963), I metodi comparativi nelle scienze sociali (1976), Sociologia (1981), aggiornato nel 1996.
#32. Ferdinand Tönnies
Ferdinand Tönnies (Oldenwort, Schleswig, 1855 – Berlino1936) è stato un sociologo tedesco La sua dottrina sociologica è fondata sul concetto di opposizione fra due forme sociali: la “comunità” (Gemeinschaft) e la “società” (Gesell-schaft).
Tönnies si riferisce da un lato alle società antiche, nelle quali vede dominare il momento comunitario, e dall’altro alle società industriali, in cui prevale il momento societario.
La comunità, caratteristica del mondo preindustriale, è basata su legami di vicinanza e di consanguineità; è un raggruppamento spontaneo, naturale, che preesiste all’individuo.
La società, invece, costituisce un raggruppamento sociale volontario, fondato sul contratto e sull’adesione dei membri, e nasce da valutazioni di convenienza e di opportunità (interessi economici, culturali ecc.). Espressione della società sono gli stati moderni, le grandi città e le fabbriche, dove gli individui vivono separati ed estraniati gli uni dagli altri.
Tönnies riteneva che nella società sia impossibile raggiungere un insieme di valori generalmente condiviso: gli individui e le classi agiscono in modo egoistico e indipendente, dando luogo a un ordine sociale basato sulla composizione di interessi alternativi e non sul consenso.
Fra le sue opere: Comunità e società (1887), L’essenza della sociologia (1907), Studi e critiche sociali (1926), Introduzione alla sociologia (1931).
#33. Alain Touraine
Alain Touraine (Hermanville-sur-Mer, Calvados, 1925) sociologo francese. È stato fra i promotori della ricerca sociologica applicata alle trasformazioni culturali indotte dall’innovazione tecnologica.
Avviò alla fine degli anni ’50 un impegnativo programma di ricerca sulla condizione operaia e sui mutamenti intervenuti nell’identità sociale dei lavoratori salariati. La sua sociologia dell’azione si rivolge successivamente soprattutto all’analisi dei movimenti collettivi: celebri le ricerche sul ’68 in Francia, sul “Cile popolare”, sull’esperienza di Solidarność in Polonia e sui movimenti antinucleari in quanto portatori di storicità.
Con questo concetto Touraine intende sottolineare il carattere intenzionale di produzione di significato (in senso culturale) e di identità dell’azione collettiva. Ma in una fase più recente Touraine si è rivolto prevalentemente all’osservazione degli attori sociali, rivalutando ruoli e funzioni della soggettività in una stagione di radicale trasformazione dei paradigmi etici e ideologici.
Questa stagione è quella della società postindustriale, a cui Touraine ha dedicato uno studio centrato sulla distinzione fra paradigma emergente e classico modello della società industriale (produzione di beni simbolici e immateriali contro produttività industriale; strategie della comunicazione contro coercizione, rivendicazione dei diritti soggettivi contro appartenenze ideologiche ecc.).
L’enfasi particolare di Touraine sull’importanza dell’azione non si definisce come teoria generale, ma soprattutto come programma di ricerca adottato non solo dal sociologo, ma anche dai soggetti sociali che egli studia. Con lo stesso metodo Touraine ha esaminato i nuovi movimenti sociali come il femminismo e l’ambientalismo.
- Editore: Il Saggiatore
- Autore: Alain Touraine , Tina D'Agostini , Monica Fiorini
- Collana: La cultura
- Formato: Libro in brossura
- Anno: 2021
Fra le opere: Trattato di sociologia del lavoro (1961; in collaborazione con G. Friedmann e P. Naville), Sociologia dell’azione (1965), Produzione della società (1973), La società post-industriale (1979), Il ritorno dell’attore (1984), Critica alla modernità (1992), Libertà, uguaglianza, diversità (1997) e Come liberarsi dal liberalismo (1999).
#34. Max Weber
Max Weber (Erfurt 1864 – Monaco di Baviera 1920) è stato un sociologo tedesco. I suoi classici contributi alla metodologia delle scienze sociali costituiscono una radicale alternativa rispetto a tutti gli approcci precedenti (evoluzionismo sociale, utilitarismo ecc.), che concepivano la società, nella sua storia passata e futura, come un’entità globale dal significato univoco, pretendendo di poter dedurre le leggi del divenire sociale dalla lettura di questo significato.
Secondo Weber la sociologia non può imperniarsi, in quanto scienza autonoma, su ragionamenti deduttivi a partire da presunte verità assolute, ma in quanto scienza “comprendente”, basata cioè sulla “comprensione” (verstehen), è chiamata a interpretare criticamente la realtà sociale in termini di ipotesi suscettibili di controllo e di verifica concreta.
Il suo oggetto non sono la società e la storia intese come un tutto, ma l’agire sociale dotato di senso, vale a dire quei comportamenti individuali, influenzati dai comportamenti altrui, ai quali coloro che li pongono in essere attribuiscono uno specifico significato soggettivo.
Le scienze sociali devono attenersi al principio della “libertà” dai valori (religiosi, filosofici, ideologici). Le scienze sociali, infatti, non possono stabilire quali valori siano giusti in assoluto, ma possono solo accertare quali conseguenze derivino per l’individuo e per la società da azioni coerenti con determinate credenze.
In questa chiave il più noto tra gli studi weberiani di sociologia religiosa individua nell’ascetismo, nell’individualismo e nell’attivismo mondano predicati dalla morale protestante (specie calvinista) la mentalità che ha favorito in modo determinante l’avvento del capitalismo.
Altrettanto fondamentali i contributi di Weber in fatto di sociologia economica. Egli teorizza la coesistenza, in ogni società, di tre forme di stratificazione distinte, anche se interagenti (le classi, i partiti politici e i ceti), fondate rispettivamente sulle differenze nella distribuzione della proprietà, del potere e del prestigio.
Nella burocrazia, di cui analizza rigorosamente le caratteristiche peculiari, Weber intravede la forma di organizzazione razionale per eccellenza, vale a dire la sola rispondente ai fini delle società industriali.
Celebre la sua tipologia del potere, che può assumere tre forme (autorità razionalelegale, tradizionale e carismatica) a seconda che la sua legittimità poggi sulla fede nel diritto, nella consuetudine, o nelle eccezionali virtù attribuite a un individuo.
Opere principali: L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1904-05), L’etica economica delle religioni mondiali (1916), La politica e la scienza come professioni (1919), Economia e società (1922, postuma).
#35. Charles Wright Mills
Charles Wright Mills (Waco, Texas, 1916 – New York 1962) è stato un sociologo statunitense. È considerato l’iniziatore della sociologia critica statunitense, che si contrappone alla concezione funzionalista, accusata di difendere e perpetuare il vigente ordine politico ed economico della società.
In opposizione ai funzionalisti, Wright Mills evidenziò gli aspetti costrittivi e di manipolazione insiti nella società statunitense, le forti discriminazioni sociali nascoste dall’aspetto democratico del sistema politico dominante e lo strapotere dei grandi gruppi economici.
Si occupò inoltre degli elementi conflittuali della società, interpretandoli non tanto come disfunzioni sociali devianti, quanto come sintomi di un disagio più vasto e profondo. A Wright Mills si deve in sostanza una spietata analisi della sociologia accademica accreditata, divisa fra le suggestioni delle grandi teorie sistematiche, come nel modello di T. Parsons, e una pratica empirica di basso profilo e di scarsa capacità innovativa.
Tendenze che confluiscono per Wright Mills in una visione apologetica del sistema sociale, ignorandone le nuove diseguaglianze, i fenomeni di massificazione e manipolazione delle coscienze, la concentrazione del potere in ristrette élite.
Potere, insomma, che viene esercitato in forme apparentemente democratiche, ma sostanzialmente sottratto a qualunque possibilità di controllo.
- Wright Mills, Charles(Autore)
Originali e corrosive risultano le ricerche da lui dedicate alla nuova classe media statunitense in Colletti bianchi. Le classi medie in America (1951), ai detentori del potere sociale reale in L’élite del potere (1956), come pure i polemici contributi alla teoria sociologica in L’immaginazione sociologica (1959).
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utile ma bisogna collegarli allo sviluppo teorico della sociologia contemporanea . Cosa rimane oggi del pensiero sociologico ? cosa ” spiega” della complessità odierna ? ecc
Maurizio. Grazie per il commento.